Fermata nel deserto- Josif Brodskij

lunedì 10 ottobre 2011


“ … per chiunque abbia preso la penna in mano, non v’è destino migliore che conquistarsi un pezzo di esistenza all’ombra di Dante.”

Josif Brodskij


Fermata nel deserto è il titolo di una silloge del poeta russo Josif Brodskij, la cui vita- fu perseguitato dal regime sovietico fino all’internamento in un ospedale psichiatrico carcerario e all’ espulsione dal paese - è in contrasto con la realtà letteraria. I temi biografici pur così stringenti, infatti, sono raccontati di rado e con distacco, non rappresentano il fulcro di una ricerca che va in direzione tutta letteraria, sintesi linguistica di un universo interiore, a dispetto di ogni contingenza. Proprio poesia del distacco e di distacchi mi sembra quella del poeta russo, attenta anche a registrare la tangibilità delle cose, la loro manifesta natura, la loro superficie. Alcune poesie ruotano, infatti, intorno alla celebrazione dell’oggetto, alla sua potenza di cosa inanimata.

Brodskij riconosce lucidamente che ogni forma di trascendenza è ormai retaggio di un passato anche ammirevole ma superato, e agisce di conseguenza, non sostituendo a ciò nemmeno la trascendenza della parola poetica, anzi a volte denunciandone l’inutilità, o meglio, come ha scritto Pasolini, l“ inutilizzabilità”.

Talvolta però strane figure angeliche in Enigma a un angelo o in Colloquio con un celeste, per esempio, diventano gli interlocutori privilegiati di un discorso che arde di una febbre mistica parodiata, perché in qualsiasi fede è sempre riconosciuto un vicolo cieco, “ un senso unico” del pensiero. Brodskij sa lucidamente che la sua preghiera resterà inascoltata.

E’ una poesia direi stranamene distaccata, a tratti cinica, mai consolatoria e nemmeno lasciva o aggressiva, misurata nella sua ricerca formale, e che in russo si esprime quasi unicamente utilizzando metrica e rima. La traduzione è opera di Giovanni Buttafava, in questa seconda edizione del 1987, nella collana de Lo Specchio Mondadori, arricchita anche da una breve ed esemplare nota introduttiva dello stesso traduttore. Non conoscendo il russo, mi devo fidare delle mie impressioni sull’italiano, che suona bene poeticamente, aldilà di qualche oscurità, si percepisce lo sforzo di Buttafava nel rendere nella nostra lingua le peripezie di Brodskij, i suoi pericolosi viaggi di scavo nella parola e nei concetti.

In questi versi, scritti fra il 1962 e il 1974, “un’angoscia inesplicabile” serra le vie di Mosca, dove la stessa passante è abitata da “un’angoscia che non sa spiegare”, un ”taxi pieno di malati “ imbocca una via, verso case in cui “soltanto la credenza sembrava avere un’anima” e che gli stessi spettri abbandonano.

E’ una dimensione di perdita in cui il poeta vaga solitario, tagliato da una risata “ obliqua” che “tormenta anche la strada”. Ci sono visioni in clima di surrealtà che si alternano ad altre di stretta quotidianità, su tutto aleggia la richiesta di un nulla in cui risposarsi dalle fatiche dell’esistenza, che passa comunque sotto “cieli vuoti”, e in cui il poeta è costantemente “ in disparte, fuori bordo”.

E’ una poesia lenta, meditata, che regala anche sentenze come questa “Non c’è maggiore solitudine/ della memoria del miracolo” oppure come “ Ma anche l’idea - oh sì - dell’immortalità, /amico mio, è un’idea di solitudine.”, che l’immaginazione non fatica a riconoscere come propri principi ferrei.

Qui si compie un curioso destino: “Barattare quiete in cambio di sottomissione”, per diventare delle pietre, in tutto simili a un “morto oggetto”, forse per sfuggire a un’epoca in cui sono i deboli a schiacciare i forti, e non viceversa, come nel rovesciamento operato da Nietzsche. E leggiamo anche quella che potrebbe essere considerata una bella definizione della poesia, della sua Musa: “Nube e parvenza della donna, quindi per l’uomo, o Musa, parvenza dell’anima”.

Perché prima o poi tutto tace, e tacere qui è morire e allora anche l’eternità ci sommergerà con i suoi zeri.

“ Sempre non è una parola, è una cifra,
che quando su di noi crescerà l’erba,
coprirà il tempo e l’ora coi suoi zeri

E’ interessante anche il modo con cui Brodskij rielabora la classicità greca e latina, molto presenti nei suoi versi, a significare la profonda adesione del poeta russo alle fonti stesse della nostra cultura, ma anche in questo caso Brodskij sceglie uno sguardo diverso, una prospettiva di stupefacente modernità. Perché l’Odisseo che si rivolge a Telemaco è un uomo disilluso, disgustato dalla guerra, la cui unica consolazione sembra essere che il figlio sia stato liberato, data la propria lontananza da casa,” dai tormenti di Edipo”. Quest’Odisseo a molto a che fare con la visione novecentesca di Adorno, potrebbe essere uno degli “uomini impagliati” di una poesia di Eliot, o venir fuori dal bar de L’età dell’ansia di Auden.

In cosa consiste questa deserto lo chiarisce un po’ la poesia eponima, tutta incentrata sulla distruzione di una chiesa greca per far posto a una sala da concerto, distruzione della vecchia era per far posto alla nuova. E il poeta si domanda cosa dovremo portarle in sacrificio.

E’ un mondo poetico quello di Brodskij in cui bisogna entrare con deferenza, consci di stare partecipando a un evento dell’immaginazione.

Perciò questa silloge, che ho trovato casualmente su una bancarella, è un gioiello prezioso, la poesia di Brodskij, nella traduzione di Giovanni Buttafava, ha una sua potenza lenta, s’insinua nella mente con la forza delle cose appena accennate e subito svanite, ma s’imprime a fuoco come un esempio di traduzione, direi, perché l’originale è soltanto una traccia, su cui Buttafava ha operato restituendoci sicuramente qualcosa dell’originale, ma agendo anche, io credo, sul versante della creazione artistica.

Troppo intraducibile la grande poesia ha bisogno di un interprete che in altra lingua rinnovi lo stesso incantesimo da cui la poesia nasce. In questo libro, l’interprete di Brodskij mi sembra adatto, si compie una forma di interscambio magico fra due lingue: l’italiano e il russo, fra due ombre, il premio Nobel Josif Brodskij e il critico cinematografico e slavista Giovanni Buttafava e la sensazione di assistere comunque a un piccolo miracolo si fa sentire: l’incontro, il confronto, lo scontro, di due intelligenze linguistiche.

Merita un pensiero anche la natura eversiva di queste poesie, invise a un potere, quello sovietico, che misteriosamente da esse si sentiva minacciato. Per me approfondire la lettura di Brodskij sarà la sfida per comprendere questo meccanismo.

La consapevolezza di Brodskij è illuminante nella nota che chiude il libro, scritta per l’edizione italiana:

In ultima ana­lisi, anche se uno scrit­tore pensa il con­tra­rio, egli è sol­tanto uno stru­mento della lin­gua, uno dei mezzi dell’esistenza della lin­gua. Siamo immersi nella lin­gua come dei corpi nell’acqua».

Questa è la grande consapevolezza che anima la poesia e tutti i poeti, perché forse solo la poesia può cogliere tutte le vibrazioni di quest’acqua immemore, e mostrarci, tra le altre cose, come sia vera e definitiva l’affermazione di Lacan per cui “il significato è un sasso in bocca al significante”.

La poesia però è inutile, malvista, questo straordinario libro, Fermata nel deserto, è ormai quasi irreperibile, mai più ristampato.

Tutto si è allontanato…

Tempo. Destino. L’idea del destino.
La memoria di sé è rimasta, solamente,
una voce sommessa. Niente più.”

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6 commenti:

Elise ha detto...

des proximités que je devine de votre blog au mien... et je ne lis pourtant même pas l'italien (ce que je regrette bien)!

Ettore Fobo ha detto...

Sorry, but I don’t speak French, unfortunately. I need to use a translator to understand. Perhaps you speak Italian, I’m not sure to have understood, in any case, bienvenue.
However, my love for poetry began with French poets like Baudelaire, Rimbaud, Laforgue, Corbiére, Lautreamont…

Elena ha detto...

La poesia è malvista, un tema che mi sta martellando nella testa da qualche giorno, mentre percorro altre strade.
E' toccante la storia di questo incontro, bellissimo il titolo della raccolta.
E poter ascoltare questa voce sommessa.

Elena

Ettore Fobo ha detto...

Secondo alcune statistiche, in Italia ci sono 4 milioni di lettori e di questi solo 5000 acquistano libri di poesia. E' la nicchia di una nicchia di una nicchia. Nel resto del mondo non è molto diverso(anche se suppongo leggermente meglio, perchè l'Italia è diventato ormai un paese culturalmente arretrato.) Perciò quando incontro persone che leggono poesia,come te, sono stupito e quasi non ci credo. Ti confesso che a volte pensare di dedicarmi a un'attività così poco considerata mi preoccupa, quasi mi disgusta, ma poi è più forte di me e vado avanti. Quante volte ho pensato di mollare! Ciao Elena, grazie.

Elena ha detto...

Non sono molti anni che leggo poesia, per molto tempo l'ho semplicemente ignorata, e nessuno me ne parlava. Ora penso che oltre all'indifferenza e alla disinformazione ci sia altro, perfino una strana paura del ridicolo. Un pò come con l'amore. Ci vuole molto coraggio.
Sarebbe un discorso talmente lungo, da fare lentamente. E mi piace anche solo pensare che possa accadere di parlarne.

Elena

Ettore Fobo ha detto...

Sì, capisco perfettamente, paura del ridicolo, certo, senso di vergogna. In effetti c'è sempre nella poesia come qualcosa di spudorato, e anche un pericoloso mettere a nudo le parole e persino i sentimenti, che può apparire persino violento o peggio assurdo.