Le amanti – Elfriede Jelinek

sabato 5 novembre 2011


La protagonista di questo romanzo Le amanti, scritto dal premio Nobel Elfriede Jelinek, potrebbe essere la provincia, quel luogo in cui le cose si decantano, come scrive Brodskij, che sia la provincia austriaca è quasi un dettaglio. Oppure potrebbe essere Eros, con le sue angosce, le sue spesso fallaci promesse. La scrittrice austriaca prende due vite, quella di Brigitte, operaia in una fabbrica di reggiseni, e quella di Paula, quindicenne che per sfuggire a una vita senza prospettive lotta contro i genitori per studiare da sarta.

Ma il vero protagonista, come sempre capita nella grande letteratura, è il linguaggio, Jelinek ne elabora uno di grande impatto, irruente e sofisticato, giocato sul filo del calembour e del paradosso, indagando la crudeltà dei rapporti, l’insensatezza della vita lavorativa, le ossessioni di queste donne che si aspettano che dall’amore venga fuori il riscatto di un’esistenza altrimenti insignificante. Brigitte ha le idee chiare: accaparrarsi con le unghie e con i denti l’amore di Heinz, futuro imprenditore, per compiere quella scalata sociale che le permetterebbe di sentirsi finalmente un essere umano. Paula, data la giovane età, è più confusa, ma anche lei s’innamora, perché solo l’amore sembra poter dare senso alla sua esistenza di oggetto nella mani di genitori crudeli, per i quali essa è solamente una schiava.

Jelinek indaga la psicologia dei suoi personaggi, mettendo in risalto la meschinità della famiglia, unicamente interessata a sfruttare la forza lavoro dei figli, che siano maschi o femmine non importa, in un contesto in cui i primi sono condannati un lavoro pesante e all’ubriachezza, le seconde alla monotonia della vita familiare e all’incubo della solitudine, giacché questi maschi sono unicamente interessati a soddisfare la propria libidine, sentimentalmente handicappati, poveri di idee e ubriaconi.

E’ una provincia terribile nella sua banalità claustrofobica, i personaggi anche quando dicono di amare sono in realtà animati da un odio profondo, insaziabile, da una noia che li mina nel profondo. Jelinek mima in maniera parodistica il linguaggio della favola, con un tono quasi infantile, soprattutto nella prefazione e nell’epilogo, per far meglio risaltare il profondo divario fra i sogni delle protagoniste e la realtà con cui si trovano a fare i conti, regalandoci un romanzo crudo, cattivo, in cui non ci sono personaggi o sentimenti positivi, e tutta la vita scivola in una terrificante inerzia verso l’infelicità e il fallimento. Tra Eros e brutalità vince sempre la seconda, l’essere umano per Jelinek non ha scampo, e anche quando i sogni si realizzano, si rivelano in tutta la loro miseria come cascami del male di vivere, propaggini di quel tedio e di quell’insignificanza da cui si voleva con tutte le proprie forze fuggire.

Il linguaggio, dicevamo, è la grande forza di questo romanzo, in cui viene descritta quasi con leggerezza sarcastica la misera condizione delle due donne, dominate da maschi violenti e brutali, o semplicemente stupidi ed egoisti, vittime di famiglie in cui la povertà dei sentimenti causa una sorta di letargo idiota, di paralisi imbecille e simile alla morte.

E’ un affresco quello di Jelinek che non lascia spazio a nessuna consolazione e speranza, l’umanità sembra composta d’idioti cui solo la crudeltà conferisce un miserabile alito di vita, ma è una crudeltà animalesca, priva d’intelligenza. Le Amanti, pubblicato nel 1975, è una sorta di romanzo satirico, in cui la satira prende come oggetto la retorica su Eros, che si rivela l’ennesima mistificazione dell’essere umano per non vedere la povertà dei suoi orizzonti. Così Brigitte otterrà ciò che desidera, ma il sogno piccolo borghese della casetta e del negozio è una prigione inquietante, lei, però, non avrà l’intelligenza per capirlo, Paula farà una scelta sbagliata che distruggerà la sua esistenza, intorno a loro la provincia, con la sua stupidità, il suo tedio, la sua folle meschinità.

La crudeltà della scrittrice austriaca sta nel mostrarci gli esseri umani nella loro primordiale e selvatica solitudine, nella loro opaca insignificanza, la loro vita scorre fra piccole e grandi cattiverie, la coatta vicinanza della famiglia è solo una delle tante prigioni e lo spettro di Eros non fa altro che inasprirli e indurirli ulteriormente, facendo baluginare davanti a loro la carota di una felicità impossibile, o così mediocre da rivelarsi anch’essa un incubo.

“ se qualcuno vive un destino, allora non qui. se qualcuno ha un destino, è un uomo. se qualcuno riceve un destino, è una donna. disgraziatamente qui la vita passa, solo il lavoro resta. qualche volta una delle donne cerca di unirsi alla vita che passa e di chiacchierare un po’ con lei. ma spesso la vita va via in macchina, troppo veloce per la bicicletta, arrivederci!”

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