domenica 22 marzo 2020
Eppure colpisco il silenzio con
un maglio filosofico, qualche scintilla per generare di verità segreta, così
segreta da essere ignota alla coscienza, scolpita nell’anima. Essere brevi è la
magia dei poeti ma poeti e maghi sono imbroglioni entrambi, la verità ha bisogno
di lunghi discorsi, farò dunque una mediazione
fra la concisione e la densità di pensiero, seguitemi, se ne avete voglia.
Da esteta potrei sintetizzare
tutto in una boutade detta bevendo un
tè verde, in questo deserto a precipizio sul dolore umano perché so che anche la
sofferenza si giustifica come fenomeno estetico e che l’impalcatura morale del
mondo si è spezzata lasciando tutti orfani di Dio, quindi liberi, liberati
anche dal libero arbitrio, nell’infelice terra degli irresponsabili che solo
attraverso il dolore possono riconoscere questa orfanità come la base del loro
vaneggiare.
La libertà, ricorda C.B, è un grande
deserto. Ora il deserto, dopo lunga, millenaria degenza in platonica e plutonica caverna, si è
manifestato a se stesso, si è svelato in questa pandemia d’ignoto che sta
facendo saltare il banco. Il mio augurio è che tutti noi, esteti o nemici dell’estetica,
poeti o nemici della poesia, ci
riveliamo degni di questo deserto. E ora? Che accade? Quanta pazzia, quanto inferno ci sono voluti per arrivare a dire “Io sono libero”?
Mi auguro che questo deserto
ricordi - almeno a coloro che sanno
parlare al proprio orecchio anche in pieno mercato- di essere da-per sempre anche il bosco
interiore in cui rifugiarsi quando gli ignobili dilagano in città con la
pestilenza emotiva della loro essenza di
schiavi nati. Manteniamo la lucidità, amici.