Una poesia di Maria Cardamone tratta da “Fiori del Caos”

giovedì 30 ottobre 2025

 



 

Pubblico in questa sede,  per dimostrare che il Mitorealismo del Sottosuolo è sensibile a tutte le suggestioni metafisiche reali e autentiche,  la poesia-preghiera di Maria Cardamone, rivolta a Gesù Cristo. La dedico idealmente ai sopravvissuti dell’orrendo sterminio dei palestinesi a Gaza. Ecco il link al blog dell'autrice treccenere. La poesia è senza titolo. 

 

***

 



Rabbi,
dovevano piacerti molto gli ulivi,
i monti, le caverne,
le barche di pescatori,
le maree.
Ti commuoveva mai il tramonto su Gerusalemme?
Cosa hai sentito vedendo per la prima volta il Tempio?
Cosa vedevi tu nella luna?
C’erano favole nella tua infanzia, o solo verità?
Ti sei adirato all’ingiustizia dei cuori avvelenati?
Hai sentito la violenza e la disgrazia di chi rovina i sogni suoi e
altrui?
Chissà che peso avevano i tuoi piedi sul terreno,
quando ti allontanavi dalla folla. Se li riempivi di pensiero.
E nelle folle, chissà con che portamento facevi silenzio.
Per quanto tempo hai taciuto quando hai capito del tradimento?
Forse ti ha insegnato a tacere Maria, che serbava le cose meditandole
nel suo cuore.
Come hai fatto a meno di consolazione, di essere compreso?
Con che sentimento nel cuore ‒ vedendo oltre ‒
hai rinunciato a quei capelli di donna? al suo profumo?
Hai pianto? Allora, rinunciando, hai pianto?
Piangevi anche tu, sì, non per la morte di uno, quanto per
la mancanza che gli altri sentono
quando dubitano della vitalità perenne dello spirito.
Rabbi, hai detto non giurate,
ma sia il vostro sì un sì,
il vostro no un no,
e qui c’impongono di giurare
con la mano sul testo.
Hai detto non chiamate nessuno “buono”,
ma qui ci danno favole di perfezione
su cui accusare gli altri o se stessi,
su cui fingersi buoni o giustizieri.
Rabbi, la paura della morte sta dilagando più rapidamente
della giusta paura di una falsa e violenta vita.
Hai detto che tornerai,
e non può essere l’unica cosa sbagliata tra tutte queste vere.
Parleremo presto di queste cose?
Ti mostrerò le pietre che ho raccolto per strada.

***

Da “Fiori del Caos"- antologia mitorealista a cura di Ettore Fobo- Kipple Officina Libraria,febbraio 2023

Recensione di “Canti d’Amnios”, a cura di Susanna Musetti

sabato 18 ottobre 2025


 


Pubblico in questa sede la recensione fatta da Susanna Musetti, presidente del Premio Internazionale Città di Sarzana, alla mia silloge “Canti d’ Amnios”, pubblicata nel 2020 dalla Casa editrice Montedit.  La silloge è stata finalista a questo  Premio nell’edizione del 2022. La recensione è così accurata, colta e sentita,   che io mi sono entusiasmato e infine commosso. Qui un link per acquistare il libro. Buona lettura.

Ettore Fobo 

***

Nel grembo oscuro della parola

A Cura di Susanna Musetti

Ci sono libri che non si leggono, ma si attraversano come stanze oscure, come sogni a ritroso, come camere d’eco della coscienza. Canti d’Amnios di Ettore Fobo è uno di questi. Non si tratta

semplicemente di poesia: è un viaggio esoterico, una trance verbale, un labirinto metafisico che prende il lettore e lo trascina nell’“amnios” stesso della lingua, nel suo liquido amniotico primordiale.

La poesia di Ettore si muove come un’entità autonoma, simile a quelle “forme senza custode” di cui parla lui stesso, e che evocano il “pensiero che danza” di René Char. Ogni verso è un fremito, una

pulsazione che si propaga come un’onda nel vuoto, come un sussurro che attraversa l’ombra. Il poeta si pone al crocevia fra esistenzialismo e mistica negativa, dove l’assenza diventa sostanza e il nulla è grembo.

Fin dalle prime poesie, come Vertigine e Adolescenza, si ha la sensazione di leggere non parole, ma visioni o, meglio, residui di visioni. “Come quando sulla punta dell’addio / germoglia il ritorno” scrive ed è impossibile non pensare alla poetica dell’istante di Rilke, alla sua “Wendung”, quella torsione ontologica che trasforma il dolore in forma e la forma in conoscenza.

Ettore è colto, certo, ma non è mai pretenzioso. I suoi testi traboccano di riferimenti impliciti: Borges (a cui dedica un testo esplicito e straordinario), Pessoa, Eliot, Mark Strand, Lautréamont, Corbière, ma anche Rimbaud, che “è ancora qui”, come un nume tutelare dietro il sipario. È come se ogni poesia si muovesse nell’alveo di una grande costellazione letteraria, eppure la voce è unica, riconoscibile, lacerata, intima.

In Sette movimenti notturni e Salvezza, la parola si fa ferita, cosmo, pianto e danza. C’è una continua tensione tra pathos e pensiero, tra oracolo e confessione. In questo senso, la raccolta potrebbe

leggersi accanto a Fari nella tempesta di Paul Celan, non solo per l’uso rarefatto della lingua, ma per il continuo confronto con l’impossibile: “la verità è che la mente umana è nulla, un piccolo nulla provinciale”.

In testi come Manifesto o Scacco matto, emerge la vena più ironica e provocatoria di Ettore. Qui il poeta si pone come outsider del mercato letterario, nemico delle “azalee” e della “grazia”: vuole seminare tempeste, incendiare il silenzio, riportare la poesia alla sua funzione arcaica di gesto insurrezionale, di atto sciamanico. “Ho bevuto l’incendio dei millenni” scrive e sembra rispondere, a distanza, all’“ho visto le più belle menti della mia generazione distrutte dalla pazzia” di Ginsberg.

Ma la sua è una pazzia controllata, direbbe Foucault, una follia che conosce bene i propri strumenti e che si serve della maschera per scardinare la realtà.

Un intero ciclo della raccolta si muove nel vuoto post-metafisico. In io, Dio, network, Ettore dichiara la sua estraneità al rumore di fondo del nostro tempo. È un poeta disconnesso, “idiota e selvaggio”, come Thoreau, come Artaud, come chiunque abbia provato a restare umano nel cuore della tempesta. Non ha account, non ha risposte. Eppure, è proprio questa “nudità primigenia” che gli consente di articolare un discorso poetico non conciliante, radicale, necessario.

L'ultimo componimento, Senza parole, è la chiusa perfetta: un commiato dal logos, una resa al mistero, un invito alla sparizione come forma suprema di poesia.

 

Canti d’Amnios è una raccolta che si legge a occhi chiusi, con l’orecchio interiore. Non si offre al consumo rapido, non cerca l’applauso. Esige tempo, ascolto, disarmo. È un’opera liminare, che interroga più che spiegare, che canta più che dichiarare.

Come scrive Ettore stesso:


“Non piango perché mi urge un canto,/ non canto perché mi urge l’immenso.”

In questo immenso ci perdiamo. E ringraziamo di poterlo fare con un poeta così autentico.

 


 

Per una mobilitazione generale

sabato 4 ottobre 2025

 





Qualche giorno fa K8inka, - al secolo Francesca Cristiani- illustratrice e disegnatrice di fumetti, auspicava sul suo profillo FB che il nostro addormentato paese, da sempre o quasi refrattario a svegliarsi, a seguito delle orribili vicende di Gaza, uscisse dal suo ottuso e cinico torpore. Ora sembra che qualcosa stia accadendo. Riporto integralmente il suo intervento e la ringrazio dell’opportunità di pubblicarlo. Finirà tutto in una bolla di sapone? Nelle ultime righe K8inka abbozza un tentativo di spiegazione per l’atavica apatia degli italiani. Vi lascio alle sue parole non prima di aver ricordato il suo profilo Instagram e Facebook. Grazie dell’ascolto.



“Prova a immaginare
La Folla Inferocita.
È questo che puntualizzavo.
L'umanità non può cancellare la propria Bestialità
Siamo pur sempre nell'ordine Naturale come
Animali.
Ma possiamo guidarla e renderla unita
Cambiare le cose
Con la "Gioia".
Non so se mi spiego
Hai presente i cortei contro il Coso Arancione
In USA degli ultimi mesi?
Ecco
Quelli
Dovrebbero essere i nostri esempi
E stanno facendo una grossa differenza lì
L'attuale amministrazione è in enormi difficoltà.
Possiamo farlo anche noi
In Italia
Se mettiamo a tacere il nostro tipico Disfattismo.”

(Francesca Cristiani aka  K8inka)