Trattato di ateologia - Michel Onfray

sabato 30 ottobre 2010


Forse c’eravamo esaltati troppo, troppo invaghiti del suono di una parola, Gott ist tot, Dio è morto, avevamo ingenuamente pensato che la potenza di un filosofo come Nietzsche potesse liquidare l’immensa e immonda faccenda di Dio, ci siamo svegliati in un incubo, in cui il delirio religioso continua a pulsare surrettiziamente come una bestia nelle voragini del sentire comune, e produce in tutto il mondo gli scempi che sappiamo. Così Onfray ci riporta coi piedi per terra, le favole teologiche saranno anche, come scrive Feuerbach, “patologia psichica”, ma sono immortali, destinate magari a mutare, per rimanere sempre la stessa delirante proiezione, l’edificazione di un edificio concettuale pensato dai malati ad uso dei malati. E tutto questo basato su testi di migliaia di anni fa, che appartengono all’archeologia del pensiero, ancora magico, onnipotente, libri colmi di contraddizioni, da cui si può ricavare tutto e il contrario di tutto, libri che vengono considerati verità rivelate da Dio stesso, non il frutto di una compilazione durata secoli di stratificazioni, manipolazioni, interpolazioni, come è in realtà. Il Corano, L’antico testamento, Il Vangelo, si rivelano ancora una volta, nelle parole di Onfray, testi usati principalmente da una classe sacerdotale senza pietà, per opprimere, perseguitare, dominare, asservire.

Quindi il filosofo francese prende da Bataille un termine, ateologia, e ci mostra in filigrana la storia di questa strana resistenza ad ogni forma di religiosità; denuncia che nelle principali religioni monoteistiche all’opera non vi è null’altro che una forma di infantilismo, di vera e propria regressione, gestita da gente senza scrupoli, i sacerdoti, quelli che Caraco chiama gli spirituali, non importa che siano rabbini, preti, muezzin, è la stessa strategia di dominio. Cosa agita questa gente in fin dei conti, perché riescono ancora a stregarci con le loro affatturate predicazioni? Onfray che ha letto Nietzsche e Freud può usare una parola forte: pulsione di morte, e ci conferma l’idea, che era già del filosofo tedesco, che solo attraverso l’ateismo sia possibile uscire dai millenari deserti di questo nichilismo mascherato. Onfray ripercorre così le orme lasciate dai filosofi atei, mostrandoci come l’oblio facilmente cali su di essi, pare infatti che l’uomo, essere debole e pigro, abbia necessità di aggrapparsi a questo feticcio-fantasma di Dio, e non riesca più a liberarsene. Entrare in un’epoca post religiosa, nel nostro caso post cristiana, è però l’unica possibilità per disfarci finalmente della marea di assurdità, illogicità, barbarie, da cui queste religioni del Dio misericordioso sono composte. Quanti massacri in nome della Verità, in nome di Dio, quanto sangue versato! Quanti roghi, di uomini, donne, biblioteche!

C’è da rabbrividire, l’amore del prossimo, la misericordia, sono solo i veli con cui questa orrenda realtà è ricoperta, dall’ebraismo all’islam, al cristianesimo, tutti questi monoteismi sono nati dalla sabbia del deserto, opera di quelli che Deleuze chiama appunto ” paranoici da deserto”, e si configurano come terribili nemici della materia, del corpo, della conoscenza, della vita stessa. Così Onfray è molto chiaro, blasfemo: “Mosè, Paolo, Maometto, da parte loro eccellevano rispettivamente nell’omicidio, nel pestaggio o nella razzia. Tutte variazioni sul tema dell’amore del prossimo”.

Il disprezzo, l’odio, il risentimento di Onfray, sono evidenti in questa e altre osservazioni, e mi fanno pensare che egli, come tutti noi, sia ancora vittima del cristianesimo, un ferito nella guerra contro la spiritualità, che alza la sua voce dal cumulo di rovine della cultura contemporanea, per dirci nuovamente con il tono di chi è senza speranza, il tono di molti beninteso, che queste religioni del Dio unico sono un sistema di oppressioni, crudeltà, ossessioni infantili, su un tessuto di “psicosi allucinatoria”. Verissimo, già lo sapevamo, manca ad Onfray però il tono elegante e allegro di una gaia scienza, che ci liberi veramente da tutte le farneticazioni teologiche e spirituali: solo una risata può seppellire Dio, una serena indifferenza punteggiata di ilarità. Onfray è ancora avvelenato, come tutti, e vuole vomitare il suo stesso, inevitabile perché ormai inconscio, veleno religioso; mostra il cristianesimo specialmente, ma anche islamismo e ebraismo, come una congerie di insensatezze croniche e idiozie, ma è dura combattere i miti e le chimere, se esse, in quanto finzioni, sono immortali. Da qui il senso di sfiducia che il testo comunica, Dio è troppo forte, vivo o morto che sia, l’uomo continuerà a prosternarsi davanti a un’immagine di se stesso, e la Chiesa continuerà nel suo ridicolo e mostruoso tentativo di opporsi alla scienza: si tratti di atomismo, materialismo, eliocentrismo, evoluzionismo, genetica, continuando ad imporre le sue favole che hanno trasformato l’occidente in un palese manicomio. E allora il trionfo di un’etica laica, che faccia a meno di ogni trascendenza, sembra essere un sogno; siamo destinati come specie a rimanere impantanati in questi deserti mediorientali, presi in ostaggio dagli spirituali, che disprezzano il corpo in nome di una fantomatica anima, il mondo reale in nome di un altrettanto fantomatico paradiso, l’intelligenza e la libertà, in nome dell’obbedienza e della sottomissione. Mondo di cieche pecore, o di lupi travestiti da pecore, che si inginocchiano innanzi alla voragine della propria pulsione di morte, perché la vera vita in fondo, secondo loro, si vive solo da morti, paradosso inquietante che la dice lunga sulla perversione dell’insieme.

In questo testo la sensazione è che Onfray però non vada al di là di Nietzsche e di Feuerbach, la sua proposta di ateologia è troppo livorosa per essere pienamente convincente; il filosofo rimescola i classici con abilità, ma non introduce, come per esempio aveva fatto in Cinismo, il lusso di un’etica ludica, non basata sul sacrificio, sul sangue, sul sudore. Troppo preso dalla pars destruens, Onfray non crea nessuna strategia convincente, decostruisce i miti religiosi, come hanno fatto altri prima di lui, ma non innesca nessun pensiero di reale liberazione, non ci porta oltre, grida il suo disprezzo, ma il suo grido non è abbastanza forte da svegliarci dal nostro sonno di devoti a qualche trascendenza, sia pure essa ignobile. Onfray è abile come demolitore, come creatore di una nuova strada un po’ meno, almeno in questo testo. Suscita dei dubbi anche l’esaltazione illuministica della ragione, mi sembra porti su di sé, inevitabilmente, proprio i tratti fideistici che vengono così aspramente criticati. Non è forse anche la ragione nient’altro che una strategia di dominio e di annichilimento di ogni differenza eretica? Forse era meglio insistere sulla necessità assolutamente etica del pensiero tragico, senza consolazioni, senza speranza (idea eminentemente religiosa), lucido e non connivente con le illusioni della Specie. Tra le quali io vedo lo stesso culto della Ragione, che oggi si declina soprattutto nel pensiero scientifico, divenuto, per le masse, alter ego fantasmatico di quello religioso.

Tuttavia Trattato di ateologia è un libro necessario, in un’epoca in cui il fanatismo religioso si è risvegliato bisogna ripercorrere storicamente, criticamente, la genesi della sua ascesa, disperatamente consapevoli che i credenti, siano essi cristiani, musulmani, o ebrei, continueranno a tenersi le loro venerate fette di salame sugli occhi, a negare l’evidenza, che Onfray, debitore come tutti noi verso Nietzsche, magistralmente sintetizza così:

“ I tre principali monoteismi, animati dalla stessa pulsione di morte, condividono identici disprezzi: l’odio per la ragione e l’intelligenza; l’odio della libertà, l’odio di tutti i libri in nome di uno solo; l’odio della vita; l’odio della sessualità, delle donne, del piacere; l’odio del femminile; l’odio del corpo, dei desideri, delle pulsioni. Al loro posto l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam difendono: la fede e la credenza, l’obbedienza e la sottomissione, il gusto della morte e la passione per l’aldilà, l’angelo asessuato, la castità, la verginità, la fedeltà e la monogamia, la sposa e la madre, l’anima e lo spirito. Vale a dire: la crocifissione della vita e la celebrazione del nulla.”

8 commenti:

Antares666 ha detto...

Ciao carissimo! Grazie della visita e del commento :)

Tizyana ha detto...

Un testo che fa riflettere. Buona domenica.

Ettore Fobo ha detto...

E' un po' che seguo il tuo blog Antares666. Complimenti.

Ettore Fobo ha detto...

Grazie Tizyana-Azzurraa. Buona domenica anche a te.

Kremo ha detto...

L'ateismo è in trasformazione, direi fermentazione. L'ateismo di Onfray e Nietzsche sono diversi dall'areligiosità mascherata da ateismo diffusa oggi. Nella società del XXI secolo vedo un Ritorno di dio, una Seconda risurrezione sottoforma di verme, di dio/folletto gozzovigliante. Oggi molti credono nel loro vermiciattolo metafisico. Ma è un discorso lungo...

Ettore Fobo ha detto...

Eh, sì,Kremo, anche io vedo un ritorno di Dio, per noia, ci sarà da soffire.

Yanez ha detto...

I francesi, quando sparlano di Dio, credono di camminare nelle orme di Voltaire, e invece seguono quelle di Sade.

Ettore Fobo ha detto...

Mi sa che hai ragione.