Sole il primo – Odisseo Elitis

mercoledì 23 novembre 2011


“Il sole è il segno magico con cui Elitis esorcizza il male del mondo”.

Kimon Friar

Quello che subito colpisce in questo libretto di poesie, Sole il primo di Odisseo Elitis, tradotto da Nicola Crocetti, è la luminosità, una luminosità dolce e potente, unita a un vago sapore di onde e profumi di Grecia. Questa è una poesia che affonda nell’ebbrezza dionisiaca di un paesaggio di uliveti, vigneti, limoneti, e che si caratterizza da subito come un’interessante, potente, variazione sui temi del surrealismo.

Pubblicati nel 1943, quando il poeta greco aveva trentatré anni, questi versi affondano nel “pulsare della terra” dove però questa pulsazione avviene nel sangue stesso dell’uomo, che si fonde con la natura in un’estasi di completamento, in un’ebbrezza di fusione che lo redime dalla sua condizione di escluso, riconnettendolo potentemente con la sua origine.

E’ una “sete del mondo” che anima il poeta e con lui tutte le creature, una straordinaria passione per la totalità, dove “uccelli adolescenti “ hanno “sete della felicità del mondo” e le api ballano sulla margherita “un ballo sfrenato”e più lontano, lo “sciabordio del mare eterno”. Questa è una poesia che nutre, poesia luminosa che si fa danza di colori ed emozioni dove “ ragazze acerbe” sciolgono i loro capelli “profondi nel futuro” e “nessuna voce si perde in grembo al cielo”.

E’ contemplazione estatica della natura, restituita luogo di purificazione e libertà, luogo di luce in cui ci si può perdere pesantezza e ritrovare unità, sogno, respiro profondo dell’immensità.

Sole il primo è un libretto leggero in cui si respira felicità, gioia creativa, esaltazione panica, e sempre luce ovunque, a dettare il ritmo stesso della vita, purificata dalle sue scorie, restituita nuda come un’esperienza primigenia, esaltante, per cancellare il dolore e giungere al “ricordo della libertà”.

E’ tutta nel ritmo questa vita che splende, come nell’emozionante crescendo della poesia Bambino dal ginocchio graffiato, “fratello minore della nuvola”. Elitis ci conduce dove brucia un “cielo senza fine” dove il paesaggio non è separato dalla mente che lo pensa, ma ne rappresenta la sostanza perenne e immortale. Grande atto d’amore verso il suo paese, le sue isole, i suoi mari, Sole il primo è una testimonianza preziosa di un innamoramento e di una fusione, di un viaggio dentro la Grecia, “terra dell’ulivo e del fico e del cipresso” per restituircene il calore, la luce e la smisurata pace, situata aldilà della città umana, pressoché assente in questi versi, che brulicano di elementi naturali, con cui la presenza umana intesse un dialogo estatico e bruciante. Ed è proprio al fuoco di un bivacco cui il poeta chiede”raccontaci la vita”, perché in queste poesie è proprio l’elemento naturale a conservare il segreto dell’esistenza, l’uomo può solo consultare le nubi, i ruscelli, i monti come fossero oracoli.

Quella che emerge da questa silloge è una poesia oggettiva, che dà voce a tutte le creature, in cui il poeta è solo un veicolo delle forze naturali, un passepartout che apre alla visione di realtà extraumane.

Antirazionalistica la poesia di Elitis è una profonda immersione nella natura, raccontata con toni estatici e leggeri, e laddove la terraferma stanca con la sua pesantezza, abbiamo il sogno del viaggio in mare, vegliato da una “Vergine annunciata” e dove possiamo dire, ebbri del vento che”ozieggia tra i cotogni”, “il destino del sole”. Perché, se anche la lingua s’impiglia a una rosa rossa, il poeta non può tacere e la bellezza della luce lo innalza al canto, alla lode.

“La Bocca ch’è demone, parola, cratere
Cibo del papavero, sangue del dolore
Ch’è cumino alto della primavera
Parla con quattrocento rose la tua bocca
Sferza gli alberi e tutta la terra langue
Riversa i primi brividi nel corpo.”

Elitis racconta un mondo ubriaco di luce e pieno di una vita magica, oltreumana, in cui una ragazza può trasformarsi in arancio, come Dafne in lauro, e in cui incontriamo presenze fatate: le “spose degli abissi,” le chiare Erinni del maestrale”, “le tessitrici del sole”.

Tutto questo per tentare “una liberazione da ogni costrizione” perseguendo la poesia come fosse “una fonte d’innocenza colma di risorse rivoluzionarie”.

6 commenti:

Elena ha detto...

Sono reduce anch'io da una prosa che celebra la luce e la natura in una folle e felice fusione con la mente e la parola, prosa sfavillante di gioia e di ammirazione per Nabokov a cui quindi approdo naturalmente. Questo tuo post è accordato e in sincrono, come quelle "coincidenze" su cui proprio Nabokov amava riflettere.

Ettore Fobo ha detto...

Penso che le coincidenze facciano parte di quel mondo magico che rappresenta una nostalgia dell'infanzia, anche intesa come infanzia dell'umanità.

A me piacciono molto, mi piace esserne stupito.

giacy.nta ha detto...

Ho indugiato su questo verso:"Parla con quattrocento rose la tua bocca".
Mi ha riportato ai lirici greci e poi, a chi, più avanti, si è rifatto a loro. E' sempre emozionante constatare che esiste una sorta di legame tra i poeti che supera i secoli.
Ho letto anche le ultime tue recensioni, volevo dirti che, come al solito, sono invitanti e bellissime.
Ciao!

Ettore Fobo ha detto...

Il legame fra i poeti sfida veramente i secoli, li unifica.E' la passione per l'universale,credo, il quale, a differenza dell'attualità, non muta, non è soggetto a mode, è la sostanza stessa del nostro respiro umano.

Grazie dei complimenti, Giacinta, sei sempre gentile.

Antares666 ha detto...

Carissimo Ettore, come va? Ho predisposto la migrazione dei post, ma devo ammettere che tutta questa instabilità nuoce molto alla mia determinazione a scrivere nel web. Per ora ho importato gran parte degli archivi su Iobloggo, ma conto di trasferire il tutto su Altervista o su Blogspot.
Buon fine settimana a te!
Marco

Ettore Fobo ha detto...

Bene, sapevo di questa possibilità della migrazione. Per me tutto bene. Buon fine settimana e un abbraccio.