Azzeccare i cavalli vincenti - Charles Bukowski

domenica 1 settembre 2013







Anche nelle cose meno felici Bukowski è sempre fonte d’ispirazione, per una persona creativa. Così anche questo Azzeccare i cavalli vincenti, tradotto per Feltrinelli da Simona Viciani,  ci porta nel cuore dei suoi territori - le paludi del disincanto, le spinose radure del disadattamento, gli incerti confini del disagio - con i  suoi vorticosi mélange di prosa poetica, racconto, saggio. E’ quasi un genere a sé Bukowski, che per uscire dall’infernaccio di questa vita si è dovuto inventare la sua letteratura, il suo immaginario lusso privato, e per guidarci oltre la dannazione di una vita spenta, standardizzata, ci racconta delle sue bevute e delle sue letture e non si sa cosa lo ubriachi di più, se le parole di Artaud o  un robusto vino italiano, se la sofisticata poesia di Ezra Pound o del whiskey  invecchiato. 

Ci sono, in questa raccolta diseguale, cose buone e cose meno buone, racconti giovanili in cui il suo talento albeggia, prose poetiche in cui si perde un po’,  scritti critici in cui Bukowski mostra un’intelligenza corrosiva e affilata ma l’onestà della ricerca dello scrittore americano è sempre evidente: egli cerca perle  nell’immondezzaio della vita quotidiana, e non ha paura di sporcarsi .

Per Bukowski sono tutti dei morti  viventi, i poeti inamidati, i professori, gli eruditi, i funzionari, le persone politicamente impegnate, gli editori, gli scrittori accademici, che nascondono con la spocchia la loro vacuità, i bottegai, insomma tutto quel bestiario borghese che detta legge e costringe i veri artisti a una vita d’isolamento e pazzia.  Meglio essere uno sguattero poco istruito ma vivo, che un laureato servo della normalità filistea, meglio ubriacarsi di pessimo vino, rimanendo liberi, che piegarsi alle convenzioni che ci rendono tutti schiavi. Certo la visione di Bukowski è estrema, ed egli ci racconta della mancanza di amore e di bellezza che fa del mondo troppo spesso uno spiacevole luogo di reclusione.
  
La prosa poetica di Confessioni di un ubriacone non mi convince, originale ma troppo artificiosa, sforzata. Altra cosa la secca prosa de Il vecchio sporcaccione si confessa, dove un Bukowski ispirato racconta della sua vita letteraria, dagli esordi su riviste underground, ai primi libri di poesia, dalle sue peripezie di morto di fame, fino al successo, che lo incorona a quasi cinquant’anni di età, dopo una vita spesa facendo tutti i mestieri e incontrando tutti i bagordi e tutti gli eccessi.

 Il tema principe, come si capisce anche dai titoli dei brani qui antologizzati, è la confessione, perché Bukowski non ha paura di mettersi a nudo, mostrando l’anima come fosse una piaga della sua stessa carne, oscillando fra tenerezze ancestrali e rabbiose requisitorie contro l’uomo comune e la sua pavida acquiescenza al sistema che regge le vite umane.

Per Bukowski gli uomini mancano di coraggio e accettano vite insulse per vigliaccheria, non osando quasi mai alzare il capo contro il sopruso e anche quando lo fanno un meccanismo li stritola impietoso e li trasforma nuovamente in servi, soffocati dalla paura.

In tutto questo i pochi artisti sono, come nelle parole di Artaud, dei suicidati della società. Memorabile a tal proposito quello che scrive Bukowski proprio in un suo breve saggio sul visionario artista francese:

“Il pubblico appassionato d’Arte è sempre indecente. Ammira un uomo più per il suo stile di vita che per le sue opere. Predilige soprattutto pazzi, assassini, drogati, suicidi, casi di morte per denutrizione… eppure, lo stesso pubblico appassionato d’Arte che in seguito venera uno di questi è quello STESSO pubblico che lo ha spinto a bere da matti, a dare di matto, a drogarsi da matti, perché non sopportava più la vista dei loro brutti musi o i loro modi di fare “

La pulsione autobiografica permette a Bukowski di creare una mitologia personale, consapevole che i lettori vogliono soprattutto un personaggio, da idolatrare, da odiare, da invidiare. Così in ogni racconto parlando di sé, dei suoi reading, ci mostra oltre ogni dubbio che la cultura è una cosa sporca, una volgare mistificazione delle cosiddette élite, che la poesia è una maledizione o un imbroglio, e che l’uomo è sempre invariabilmente destinato alla rovina e alla sconfitta.

Non c’è nessuna consolante prospettiva sociale, né illusioni politiche o utopie da due soldi. Bukowski ci sbatte in faccia la realtà della desolazione, e facendo questo si guadagna la nostra stima. E’ troppo umano in un mondo di automi disumanizzati. Talvolta è ripetitivo  ma questa è la prova che, come tutti i grandi artisti, egli è mosso dalle vertigini di un’ossessione, un’ossessione per la vita così com’è,  con le sue perenni angosce e i suoi attimi di beatitudine che per lo scrittore americano sono legati, soprattutto,  all’evento principale delle sue giornate: la scrittura. Ed è proprio nell’elogio dell’attività creativa che Bukowski pare commuoversi e trovare il bandolo della matassa di una vita in fondo vissuta a sfinimento.


6 commenti:

johnny doe ha detto...

Uno dei miei preferiti,di cui pure io ho fatto un post.
Céline e Buk,Plutarco li avrebbe inseriti in Vite Parallele....

Ettore Fobo ha detto...


Céline e Bukowski: due modi di intendere la letteratura come lotta alle convenzioni, alle liturgie culturali o pseudo culturali, ai conformismi borghesi. Plutarco avrebbe avuto pane per i suoi denti.

johnny doe ha detto...

L'altro giorno rileggevo il capitolo africano del Viaggio....mi chiedo come si possa poi leggere le ciofeche di tante vispe terese del panorama attuale,specie italiano.
Non si accorgono che quanto spesso vanno scrivendo da impiegati del catasto,é stato già detto in un non plus ultra dal Nostro,da Joyce,da Flaubert,Tolstoi,Fedor,Kafka.....che magari manco hanno letto.
De profundis

PS - Se ti interessa,insieme ad adrea Lombardi, abbiamo su FB il gruppo CELINIANA.

https://www.facebook.com/groups/rigodon/

mariadambra ha detto...

Asociale, provocatore, "osceno" (ma c'è qualcosa di più osceno del conformismo?) e dunque poeta geniale, spregiudicato, che dipinge la società americana cogliendone gli aspetti più evidenti, la violenza, la mediocrità, l'ipocrisia... Bukowski ha sempre avuto un posto speciale tra gli autori che amo...
Caro Ettore è sempre un piacere leggere le tue recensioni dalle quali traspare la tua passione, ma in assenza di inutile enfasi, tu inviti ad entrare nell'ottica degli autori lasciando aperte tutte le porte, senza imporre un unico punto di vista...
un abbraccio

Ettore Fobo ha detto...

@Johnny Doe

Di Céline ne nasce uno al secolo,le nullità pretenziose, invece, affollano il mondo, oggi come ieri. Bisogna aver vissuto molto intensamente, molto visto, molto amato, molto odiato, letto moltissimo e bene, per scrivere una riga decente. E spesso è inutile, in un mondo che privilegia l’immondizia, perché facilmente fruibile. La vostra pagina m’interessa, anche se non ho un profilo Facebook, troverò il modo di visitarla, grazie dell’invito.

Ettore Fobo ha detto...

@ Maria

Anche per me Bukowski ha un posto d’onore fra tutti gli scrittori che ho letto: sotto la scorza del cinico ho sempre intuito e ammirato la sua umanità un po’ scostante, la sua schiettezza senza fronzoli. Avere lettori così attenti e speciali come te, Maria, è una cosa che mi riempie di gioia, grazie.