Fuori di casa – Eugenio Montale

domenica 16 settembre 2018




Fuori di casa raccoglie scritture di viaggio che Montale produsse per Il Corriere della Sera fra il 1946 e 1964. Qui si può assaporare la sua ironia spesso amara, altre volte invece puramente divertita, il suo sguardo da antropologo sui generis, le sue raffinate, da erudito autodidatta qual era, riflessioni sulla pittura, le sue investigazioni sulla poesia del suo e di altri tempi. Scritti di viaggio non organizzati cronologicamente ma inseguendo un’ideale mappatura geografica. Si parte dalla Cinque Terre per poi approdare in successione in Scozia, Inghilterra, Siria, Libano, Svizzera, New York, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Israele e Giordania. Con un linguaggio a tratti morbido, a tratti ruvido, stilisticamente sobrio, Montale percorre queste terre da viaggiatore svagato quasi blasè. Si avverte che il ruolo del viaggiatore non gli si confà pienamente, la sua curiosità è per paesaggi descritti con chirurgica attenzione e improvvisi, ma sempre misurati, slanci lirici.

Montale non si entusiasma mai più di tanto, pigramente condotto dagli eventi a osservare un mondo che lo interessa solo a tratti e su cui già vede profilarsi come un’ombra la melassa degli spettacoli televisivi che l’avrebbe presto deformato. Ne parla diffusamente come un pericolo.

S’illumina soprattutto quando scrive di poesia: Mistral, Kavafis, Char, Auden o di pittura, spaziando dagli Impressionisti a Picasso, da Braque (che incontra nel suo buen retiro spagnolo) ai meno noti Bonnard e Nonnel.

Il suo procedere linguistico sopra le cose senza intaccarle, rimanendo da loro distante, può apparire perfino stucchevole, e Fuori di casa risente della tendenza montaliana a rimanere fuori dai subbugli epici o miseri della Storia.

Osservatore neutrale, distante, con uno sguardo sì penetrante ma sostanzialmente perso nelle sue lontananze di poeta. 

Fuori di casa, edito da Mondadori in una nuova edizione nel 2017, è un libro di viaggi di un non viaggiatore, capace più di esplorare dentro se stesso che restituirci il fascino del lontano e dell’esotico. La sensazione è che non si fosse trattato del suo lavoro per il Corriere della Sera, se ne sarebbe rimasto volentieri a casa, fra le ungarettiane “quattro capriole di fumo del focolare”, piuttosto che incontrare la gelata e ostile indifferenza di Brancusi o la freddezza da monumento vivente di Braque. 

Di conseguenza di questo testo non rimane molto nella memoria. Impressioni fugaci, ritratti di scrittori come Malraux, Mauriac, e certe affinità elettive (con Char e con Auden).  Sopravvive la  bellezza della scrittura, nitida, esatta, un po’ esangue però, priva di quell’impeto che fa spesso la sostanza di un libro di viaggio.

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