sabato 13 aprile 2019
In fondo oggi c’è un'unica legge, un unico
despota: il Mercato, di cui, come degli aruspici o degli indovini, bisogna
interpretare, e poi assecondare, il volere. Qui, in questo regno della magia nera
economica, il profitto è regolatore del destino dell’individuo. Finché non si
scopre che non c’è più l’individuo, è
una merce anche lui. Bisognerebbe
superare questa logica ma manca l’utopia o anche lei è una merce. In questo
contesto senza speranza, bisogna elevare, comunque, se non un canto, un grido, di speranza. Speranza nella bellezza e giustezza di un cosmo che,
comunque, per dirla brutalmente, ci ha votato alla morte, ci ha consegnato in suo
potere. Ridere di questo e, pur
contraddicendo ogni trascendenza, scoprire,
nella meraviglia bambina e nel gioco assurdo del caso, la propria beatitudine. “Bisogna immaginare
Sisifo felice”, come scriveva Albert
Camus. O affidarsi alla risata di Zarathustra. Dove ci porterà quel folle
giullare?
4 commenti:
"Ma il pastore morse, come gli aveva consigliato il mio grido: egli morse per bene! Lontano da sé egli rigettò la testa del serpente: — e sorse in piedi.
Non più un pastore, non più un uomo — ma un rinnovato, un illuminato, che rideva!
Non mai ancora sulla terra uomo rise al pari di lui!
O miei fratelli, io udii un riso che non era umano, — ed ora una sete mi divora, un desiderio che non ha tregua". [Così parlò Zarathustra, III parte, Della visione e dell'enigma]
Un riso del tutto opposto a quello satirico (carico di disprezzo e di pusillanimità borghese).
Perfetto Humachina, grazie della citazione. Aggiungo che la risata dei pusillanimi è carica di risentimento e di rancore.
Dove ci porterà?
Alla salvazione?
Difficile saperlo, Euridice, ma potrebbe anche darsi.
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