Niente - Janne Teller

sabato 8 dicembre 2012





La letteratura spaventa, se essa non si limita ad essere mera confezione di storie consolatorie o sterile intrattenimento della nostra ebetudine quotidiana. E ancora oggi quando essa indaga il reale e ce lo riporta scevro da illusioni, talvolta arriva la censura a imbavagliarla. Così questo romanzo, in apparenza così inoffensivo, Niente di Janne Teller,  poco più di cento pagine, è caduto fra le maglie di una subdola censura in diversi paesi,  Norvegia, Germania, Francia, Spagna, trovando  l’opposizione dei librai che si rifiutarono di esporlo, arrivando ad essere escluso dai programmi scolastici perché ritenuto pericoloso.

Fu pressoché ignorato nel 2004,  al tempo della prima edizione italiana di Fanucci, intitolata L’innocenza  di Sofie, ritorna nelle nostre librerie in una edizione Feltrinelli, con la traduzione fedele del titolo originario,  dal danese  Intet, Niente,  appunto.  Si tratta ormai,  a dodici anni dalla sua uscita in Danimarca, di un romanzo di culto e come spesso capita le polemiche ne hanno  accresciuto la fama di libro maledetto. Perché di questo si tratta, di un romanzo maledetto, che ci parla in termini freddi  e crudeli dell’adolescenza,  ricordando in questo senso Il signore delle mosche di William Golding.

Lo scandalo è accresciuto dal fatto che il romanzo sembra inizialmente rivolto a un pubblico di ragazzi, ma è un’illusione, Teller costruisce una fiaba nera, un thriller psicologico,  ambientato fra i ragazzini danesi,   che parla però della crisi di valori della nostra epoca, parla in termini che mescolano crudeltà e candore del nichilismo che permea i nostri giorni  e invade subdolamente  le nostre coscienze.

All’alba dei suoi quattordici anni, un ragazzino danese, Pierre Anthon, fa la scoperta dell’inutilità della vita, della sua mancanza di senso. Come il Barone rampante di Calvino, si rifugia allora  su un albero da dove, simile a  un filosofo nichilista, sferza i suoi compagni con considerazioni amare  sulla vacuità dell’esistenza.
Tale condotta sconcerta i suoi compagni che  rispondono  al suo precoce nichilismo pensando di proporgli una raccolta di cose che nel loro mondo hanno significato.

Partono con cose banali: un pallone da calcio, un paio di sandali, una bicicletta, una canna da pesca,  ma la faccenda prende loro la mano e ben presto si trovano a fare i conti con le logiche  del branco, in un  vortice di vendette personali, in un crescendo parossistico di sacrifici.

Tutti questi oggetti finiscono ammonticchiati in un magazzino, a formare quella che loro stessi chiamano “la catasta del significato”, luogo che ben presto si rivela un inquietante patchwork, un mostruoso totem, a cui i ragazzini in un crescendo di follia  dedicano tutte le loro energie, nel disperato tentativo di ridare senso all’esistenza.

In questo mondo gli adulti sono assenti, la loro legge, smascherata come finzione, non serve a contenere la rabbia di questi adolescenti che progressivamente perdono il senso della realtà, soggiogati da quella che inizialmente pareva una dimensione ludica, e si rivela infine, in un freddo gioco al rilancio, simile a quello che nelle antiche culture dei nativi americani si chiamava potlach, cerimonia in cui beni di prestigio venivano distrutti. La ricerca di significato precipita così nella farsa, nella blasfemia, nell’incubo.

Perché fatalmente il  tentativo di dare senso alla vita finisce per  coincidere con la dissipazione della stessa, la loro ricerca di significato li mette davanti al deserto e al niente, che il mondo degli adulti nasconde a se stesso, mentre essi sono costretti dall’improvvisa diserzione del loro compagno a fissare questo baratro di insensatezza e vanità del tutto.  L’esito, proprio come ne Il signore delle mosche,  è la follia e la barbarie.
La “catasta del significato” sembra così essere una metafora della nostra epoca, luogo in cui i valori sociali, religiosi, politici,  finiscono ammucchiati come carabattole senza valore.

Janne Teller così,  mettendo insieme genialmente  pochi elementi,  crea un romanzo asciutto, crudele e definitivo, che dietro il niente del titolo nasconde tutto l’orrore di una adolescenza abbandonata a se stessa, obbligata a trovare da sola un senso alla vita, senso che il mondo degli adulti ha ormai rinunciato a dare.

6 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Subito tra i miei desiderata!

E grazie.

Ettore Fobo ha detto...


E’ uno dei romanzi più belli che ho letto quest’anno.
Ciao Euridice.

mariadambra ha detto...

Non avevo mai sentito parlare di questo libro. La catasta del significato è davvero spaventosa, più che del senso dà l'idea del nonsenso della nostra vita, di come diamo importanza a cose che non ne hanno affatto, tralasciando ciò che non si può quantificare, l'essenza...
Dato il tuo trasporto di sicuro ne vale la pena leggerlo, me lo compro!
un abbraccio

Ettore Fobo ha detto...


Sì, Maria, il libro mi è piaciuto molto. E’ paradigmatico della condizione contemporanea. Quando l’avrai letto, mi dirai. Ciao.

Mia Euridice ha detto...

Come promesso:

http://www.lankelot.eu/letteratura/teller-janne-niente.html

Grazie di nuovo.

Ettore Fobo ha detto...


Sono davvero contento che il libro ti sia piaciuto e ti abbia ispirato quest’ articolo intenso. Grazie del complimento che mi hai fatto, sei molto gentile. A presto, Euridice.