Hold your own/Resta te stessa – Kate Tempest

giovedì 6 dicembre 2018




Dopo aver letto il bel romanzo Le buone intenzioni e lo splendido  poemetto Che mangino caos questo poema della poetessa inglese Kate Tempest, edito da e/o nell'agosto del 2018, “Hold your own/Resta te stessa   è una vera delusione. È un poema incentrato su Tiresia, la cui metamorfosi, da uomo a donna e ancora a uomo, è usata come pretesto per elaborare la storia biografica dell’autrice, una delle voci più rappresentative della poesia europea under 35,  in chiave di mito contemporaneo fra visioni pop e strascichi punk, con frammenti  di confessional poetry e momenti di quella  poesia rappata che in Inghilterra l’hanno resa famosa. Ma il tutto, anche se ben tradotto da Riccardo Duranti, non convince.

Sarà che il tono da bad girl qui risulta manierato fin quasi alla caricatura, sarà che i versi simulano un’urgenza che pare fittizia, sarà che la vicenda mitica è solo lo sfondo di vicende biografiche, sarà che tutto pare una furbata per convalidare alcune mitologie contemporanee, ma il poema non ha la forza dei libri precedentemente citati.

Oltretutto, tanto Le buone intenzioni, che il poemetto Che mangino caos erano letture interessanti, appassionanti,  a tratti travolgenti, tanto questa è  invece noiosa. Molto   interessante la poesia contro la scuola, dove la critica all’istituzione scolastica, però,  non viene approfondita e parlo  della poesia che considero la  migliore di questo testo diseguale. Alcuni consigli che si danno nella poesia Le cose che so sfiorano il ridicolo, nella loro conclamata banalità:” Se oggi sei stato stronzo/ ammettilo. /Cerca di non esserlo anche  domani.”

Le parolacce sono usate in modo manieristico, perdono la loro forza eversiva e diventano sterili refrain, che denotano scarsa invenzione linguistica. Indulgere in questo linguaggio “giovane” è il modo migliore per far apparire tutto vecchio e datato. Alcuni versi sono di una banalità sconcertante: ”Nessun uomo è troppo uomo per fare a meno dell’amore”. A un certo punto riprende il celebre incipit di “Urlo” di Ginsberg e lo imbruttisce senza pietà. “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte da pazzia” diventa un pessimo ”distrutte dagli smartphone”. Come disintegrare dei bei versi, in definitiva. Sarà anche ironia ma storco il naso.  Anche la critica alla nostra società dei consumi di massa ha qualcosa di debole, fatuo e moralistico. Confesso una lettura distratta nella parte finale, perché il libro mi ha stancato e irritato. Ho faticato a star dietro a questi versi, fintamente eversivi, dove la poetessa sembra strizzare l’occhio al suo target. Ecco in questo libro ho trovato più marketing che vera poesia. La seconda lettura del testo ha confermato le prime impressioni negative.

Non dico di non salvare niente, ma di trovare questo libro velleitario nel suo tentativo di sintetizzare critica alla contemporaneità, mito greco e vicenda biografica.  Di buono c’è che Kate Tempest fonde la poesia inglese con il rap, usando la rima  e le assonanze con l’ossessività dei rapper. Ciò rende tutto molto contemporaneo. 

Ecco un esempio: “She turns and retreats/ Find herself deep/ In the smog and the heat/ The fog and the meat/Of the bodies that beat out their lives/In the throb of the street. /She learns to be small and discreet/She learns to be thankfukl  for all the she eats.”

Mancano però i versi da ricordare, il tono colloquiale dopo un po’ stufa, Kate Tempest esce  un po’ ridimensionata, dopo questa deludente lettura. Il poema era ambizioso, ma la resa non è stata all’altezza. Qui  la poetessa,  che tanto mi aveva coinvolto con il poemetto Che mangino caos, il quale  comunque originariamente in Inghilterra fu pubblicato dopo questo, è un’autrice ancora in cerca della propria voce profonda. Si può giustificare il passo falso  considerando che la poesia, soprattutto in giovane età, procede per tentativi. Quando questo poema è uscito nel 2014 Kate Tempest aveva 29 anni. Un’età in cui, tutto sommato,  un libro si può anche sbagliare.

***

Il 6 dicembre 2008 pubblicai il primo post di questo blog. Il titolo era un laconico ”Benvenuti”. Per quanto cosa piccola,  è bello per me  ricordare che quindi oggi ricorre il decennale di “Strani giorni”. Rinnovo a tutti il mio ”Benvenuti” di allora.

Ettore Fobo



2 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Che peccato restare delusi da un libro. A me è accaduto di recente con l'amato Tommaso Pincio il cui ultimo libro non mi ha convinta né conquistata.

Auguri al tuo blog, dunque. Buon compleanno!

Ettore Fobo ha detto...


Sì, la delusione è brutta soprattutto nei casi di autori o autrici di cui si prova stima come in questo caso o come nel caso di Tommaso Pincio per te. Considero comunque tuttora Kate Tempest una poetessa di primo piano. Per il resto, grazie degli auguri Euridice.