da Insetti senza frontiere- Guido Ceronetti- Adelphi

sabato 30 maggio 2009

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Se le gesta isolate della benemerita scuola cinica fossero diventate la regola(la regola del Nessuna Regola, del nessun controllo e intoppo sociale ), la convivenza civile come ancora la subiamo, sempre meno liberi nei movimenti, nel parlare, nell'urinare ( perfino nelle sepolture, spazi dei colombari ) sarebbe stata impossibile. Fumi di Caos ci avrebbero cullati, non avremmo imposto chiuse alle acque alle città mura.Meno sangue versato più straccioni; poca terra coltivata, poco lavoro alle ostetriche, nelle zone fredde nessun abitante, nudismo vuole caldo. Nelle Utopie si è tentato spesso di uscire dalle galere della civiltà, nessuna finita bene. Oggi l'unico orizzonte possibile è la schiavitù illimitata.

Insetti senza frontiere- Guido Ceronetti

venerdì 29 maggio 2009


Il rischio, leggendo un libro di Ceronetti, è quello di aprire gli occhi e perdere quella rassicurante cecità che ci permette di credere ancora che la nostra vita sia qualcosa di più che una squallida reclusione in una cella di rigore, ogni tanto rischiarata da una vertigine metafisica presto dimenticata. Pochissimi hanno nel sangue la percezione di un male radicale, a cui nessuna creatura vivente sfugge, quanto l’artista torinese, e ciò lo fa assomigliare ai grandi del pensiero. Ammiro in Ceronetti il coraggio di essere anti umano perché l’uomo è il più “falso degli idoli”, va rinnegato e non è forse questo a renderci migliori? Nella consapevolezza di far parte di un’orrida genia non possiamo più dirci, come nella visione di Nietzsche, Iperborei ? Leggendo Ceronetti lo possiamo fare, ponendoci con lui al di sopra di un monte, per guardare il mondo come un mito di ferocia sconfinata, un’orrida realtà impastata della più nera avidità e riconoscendoci in questo specchio affidiamo ai residui della nostra sensibilità schiacciata il compito morale di essere orripilata.
Questo Insetti senza frontiere è un libro di filosofia che cerca di sfuggire alla pensosità accademica e professionale degli addetti ai lavori, ed è insieme, come al solito, l’acuta indagine di uno spirito libero che si sa condannato all’universale schiavitù, nell’impensabile voragine della vita contemporanea. Come è possibile per l’uomo, creatura votata al male, resistere alle miserie radicali, all’abbruttimento del sentire comune, se sin da bambini, scrive Ceronetti, si barattano le proprie ali per una pizza e una Coca Cola? E quando si è incapsulati in una vita tremenda, fatta di conformismo bestiale e stolta obbedienza , in un mondo in cui in ogni momento la quantità di gente massacrata da ogni parte sgomenta, come è possibile dire che la vita è bella ?Non è forse un sopruso godersela in questo sfacelo? Eppure bisogna rassegnarsi all’ordine vigente di simulare la felicità, non si ha il coraggio di guardarsi allo specchio e ammutolire. Questo specchio ce lo mostra Ceronetti , che in questi aforismi, lascia vibrare Van Gogh accanto a Sironi,Dostoevskij insieme a Cechov ; ci mostra la sua passione per l’arte in ogni sua forma, dalla pittura, alla scrittura, al teatro, e al tempo stesso attraverso Heidegger ci dice che l’uomo razionale è scomparso per lasciare posto a una “bestia da fatica”, tenuta in piedi dall’allucinante mito del lavoro, come unico strumento di redenzione. “Sopravvivrai automa” sembra scritto all’ingresso della vita moderna ; il resto è scivolare in una vita di demenza, a stento mascherata e trattenuta,sempre, come in Cioran, asfissiati da una rabbia senza motivo, tutti partecipano all’espansione della violenza collettiva che diventa diktat, assicura l’ordine del male si perpetui e l’agonia dei pochi angeli feriti non interessa a nessuno .Lungi dal teorizzare una natura innocente, Ceronetti colpisce per la virtù di porsi contro la vita, avendola vissuta all’ennesima potenza, grazie alle proprie folgorazioni di artista, che riconosce, e porta in sé la pena di tutti. Pensare contro la vita ,significa averla compresa profondamente e allora ci coglie quella sorta di incantamento, di meraviglia che è alla base del pensiero filosofico, a partire dai Greci. Innanzitutto per lo stile di scrittura di Ceronetti , in cui uno sdegno di natura morale è sempre presente perché “ L’uomo fa orrore” , e si è volontariamente incarcerato in una vita di fatica senza senso. L’affinità con Cioran, testimoniata dalla loro amicizia, affiora spesso nelle parole dell’artista torinese, che ha il coraggio di scavalcare gli steccati che dividono il sapere, e mostrare come in lui le figure del filosofo e del poeta convivano, e che è una presunzione volerli separare. Ci vogliono occhi come quelli di Ceronetti, è necessario si posi su di noi il suo profondo sguardo di estraneo, che sembra aver capito tutto della nostra natura, avida, irresponsabile, sanguinaria: “ Siamo tutti figli delle foreste, ex belve che poco basta a rifare tali e peggio , ex lupi mannari ridotti a corsette perdichili in giungle d’asfalto … succhiamo il nulla, rematori di un’unica colossale galera … e un megafono imbecille ci ripete incessantemente che abbiamo un fine, che c’è un senso …”


Attraverso le parole di Euripide ci invita a vivere nascosti, per sottrarci alla famelica attenzione, e alla letale disattenzione degli altri, ci guida ad assaporare lo splendore della filosofia,e con nostalgia la rievoca dal fondo di uno smarrimento universale, mostrandoci sempre l’impossibilità della libertà in una società che votata al crimine più efferato- eliminare le differenze , schiacciarci in comportamenti alienati, in un universo che è dominato dal male e da un dolore, che solo in poesia può trovare la sua chiarezza di rivelazione.
Ceronetti ha “necessità di sublime”, e lo cerca fra le fiamme del mondo, servendosi della sua sterminata conoscenza delle lingue per seminare ovunque l’ignoto, e stupirci; attacca i carnivori, difende gli animali dalle loro fauci, annuncia l’orrore per ogni massacro, ci fa percepire lo sfacelo del corpo invecchiato e malato, e ci confessa il disgusto per la propria vecchiezza, e al tempo stesso il piacere che si prova ad ascoltarlo,- Ceronetti ha più di ottanta anni - ci fa percepire quanto in quella vecchiezza sia stato speso bene, al servizio di una passione dominante,per la filosofia , per l’arte, per la poesia, e sono molti i versi che Ceronetti cita nei suoi aforismi, spesso stratificati e intessuti di parole altrui, altre volte brevi e folgoranti. La trama delle sue parole è sempre attraversata da una tensione per il sacro, da una dimensione religiosa che non ha più nulla a che vedere con il monoteismo, condannato da Ceronetti in un aforisma, perché colpevole di aver mozzato il capo a quel divino” policefalo “la cui ricchezza impediva l’ossessività del rapporto con un unico Dio e del resto i cristiani “Hanno preso la via più facile: deificare Cristo, invece di comprenderlo”.
Nelle parole di Ceronetti il cristianesimo è quella realtà al servizio del male, soprattutto nella voracità con cui pretende carne umana uscita da ventri gravidi, quando ormai è risaputo che solo l’ignoranza e l’irresponsabilità sono al lavoro in quelle realtà in cui tragicamente si generano molti figli. La procreazione perpetua il male, dà il suo assenso a un mondo in cui ogni infanzia è bruttata e violata per sempre. Ne vien fuori un’umanità di disperati quando va bene, di assassini quando va male. .” Il filosofo ignoto” ci guida in un mondo che ha perso : “… il paesaggio, l’amore –passione, la Poesia di rivelazione … le fotografie in bianco e nero .. i misteri del corpo e dell’anima” e sostituendo tutto questo con la cacofonia dei giornali, della televisione, di internet,sostituendo il ronzio degli alveari col brusio sempiterno delle apparecchiature elettriche , questo mondo che precipita, crede di aver raggiunto il suo scopo sacro. Invece nelle parole accorate dell’autore de La carta è stanca, il dominio della tenebra, di cui consiste la vita da sempre, ha raggiunto oggi uno dei suoi vertici. Siamo dentro una tragedia dai colori sgargianti, ci hanno truffato, per venderci degli incubi. Dalla penna di Ceronetti escono alcune verità lapidarie come questa : “ Solo alla luce del Tragico il mondo non è inesplicabile.” Lo sguardo tragico, che non accetta compromessi, innervato di sensibilità e potenza etica, è necessario a questi tempi come il più urgente dei farmaci. Pensare l’orrore è tutto, ” la filosofia è onnipotente”, non servendo a nulla, non serve il Nulla . Meglio ascoltare il brusio degli insetti, il canto delle cicale, che affondare nel frastuono delle automobili, delle televisioni, meglio abbandonarsi alla contemplazione di quella minima vita brulicante, che è un po’ come guardare le stelle, cercando un luogo fuori dal mondo in cui l’infinito parli ancora all’uomo.

La prova- Jorge Luis Borges-poesia

giovedì 21 maggio 2009

Dall'altro lato della porta un uomo
espelle la sua corruzione. Invano
alzerà questa notte una preghiera
al suo curioso dio, che è tre, due, uno,
e si dirà immortale. Adesso
ode la profezia della sua morte
e sa di essere un animale seduto.
Fratello sei quell'uomo. Ringraziamo
i vermi e l'oblio.

Da La cifra- Jorge Luis Borges-traduzione Domenico Porzio- Mondadori)

Vitaiolo- Charles Cros-poesia

sabato 16 maggio 2009

Dopo aver vuotato tutte le coppe, tutte!
Alla fine devo rientrare; poiché le mie fibre dissolte,
Nei caffè rumorosi, frequentati da sgualdrine,
Hanno freddo nella notte pesante e negli incerti mattini.
Camminiamo.Ecco già brulicare la gente dei mercati.
Arrossisco, ortolani, nel vedervi, i grembiuli sporchi,
Rinfrescati dall'odore lontano degli aratri.
Lavoratori, ignari dei malsani amori,
Ammucchiate cavoli sul marciapiede, senza nemmeno
Immaginare l'orrore che segue il pallido passante.

(traduzione Aga-Rossi )

Hotel Insonnia- Charles Simic

venerdì 15 maggio 2009

Quella di Simic è una poesia della quotidianità, dove un incontro con un mendicante, una macelleria, un mozzicone di matita diventano segni emblematici di un’adesione ai dati della realtà, e raramente sono simboli di un cosmo trascendentale. L’unica vera trascendenza sembra essere quella del silenzio stellare, che va ascoltato e che nella sua lontananza è l’unico aspetto divino di una realtà che talvolta sorprende con la sua banalità, altre volte, nasconde dentro un oggetto il suo desiderio quasi sempre inappagato di trascendersi , laddove anche Dio si segnala per la sua “terrificante assenza”. Una scrittura a tratti aforistica che attrae per il residuo di rivelazione, che in essa ama nascondersi fra i dettagli, che lascia pulsare la sua vena gnomica distrattamente, senza darci peso. Così in una strada qualunque, si può incontrare “ questo secolo strano “ e in una testa di bambola che sogghigna scorgere la più implacabile delle derisioni, in una macchinetta di chewing gum ritrovare il contatto con la divinità, terrestre come i personaggi che affollano il libro. Diventare un sasso, un sacco sulle spalle di uno stracciaiolo, sono il tentativo di Simic di essere aderente a una dimensione di perdita e probabilmente di sconfitta, coltivando lo smarrimento come chiave per interpretare il proprio essere nel mondo, cercando di dare un senso alle “moltitudini / chine su un giorno/di lavoro mirabilmente inutile” Anche agli ingannevoli eroismi della mitologia Simic oppone una dimensione In cui “ gli dei tengono il becco chiuso “ permettendo agli uomini che la vita riprenda il suo corso naturale.

E’ una poesia quella di Simic costantemente attenta a quelle piccole cose che costituiscono il fulcro dell’esperienza, aldilà di tutte le esaltazioni, è una poesia fredda, caustica e pungente, costruita con semplicità, che non dà l’impressione di andare abbastanza a fondo e di rimanere volutamente sulla superficie spoglia delle cose. Il poeta non è il creatore di paradisi artificiali, ma l’umile cronista il cui sguardo ironico e disincantato offre la visione di un mondo che sa essere “ freddo come la tomba di un imperatore infante” e fra scazzottate e incontri con un'umanità violenta, il poeta s’inchina davanti agli oggetti di uso quotidiano, quando essi gli rivelano tangibile la sua stessa presenza, altrimenti destinata a una strana evanescenza. L’attitudine alla contemplazione permette a Simic di scindere l’esperienza in frammenti che la restituiscano nella sua potenzialità di fascinazione, così un paio di scarpe, una forchetta, degli insetti, diventano protagonisti della sua poesia, segni di una realtà destinata a essere imperscrutabile, sondata solo attraverso uno sguardo al tempo sprezzante e ironico.

Simic blocca gli oggetti e gli eventi in una sospensione fotografica, ed essi acquistano talvolta un aspetto nobile o inquietante, che cozza con la familiarità ad essi solitamente accordata. Una forchetta può, per esempio, apparire come un uccello mostruoso, le formiche alla ricerca di briciole sembrano indossare “cappelli da quaccheri”, lo specchio è degno di adorazione, ombrelli rotti paiono”funebri aquiloni”. Antieroico- scrive di godere della morte di Achille, Ettore e di tutti gli eroi dell’Iliade - Simic predilige raccontare della gente comune, e così baristi, avventori, vicini di casa, sono l’affresco di umanità di questi versi , impregnati di eventi minimi, con l’interiorità di questi personaggi che non è quasi mai messa in rilievo, essi si segnalano per la loro presenza spesso muta, che rimanda a un più generale mutismo della città stessa ,che parla solo attraverso delle inezie: una donna che si aggiusta la gonna, un barista che riempie il bicchiere del soggetto poetante, un mendicante bambino che agita una bambola, il poeta che legge Shelley e in esso trova il “sempiterno universo delle cose”, delinquenti che passeggiano con la loro aria di sfida.

Un mondo stranamente sospeso in un’opaca rassegnazione evapora nei versi di Simic, impegnato in un viaggio che non porta ad alcuna verità, ma in cui il poeta si propone di aggirare il proprio smarrimento di sradicato con una ironia capace di vedere nelle cose il loro aspetto comico, talvolta farsesco, ma se “i nostri governanti sono pazzi “sulla città raccontata da Simic aleggia come un incubo raggelato, che nessuno, neanche il poeta, ha voglia di fissare fino in fondo. La desolazione scorre su una superficie di ilare indifferenza, o se vogliamo di indulgente rassegnazione, che è come una corazza che protegge il poeta e il lettore con lui da certe catastrofiche miserie subodorate nei versi. Simic lascia pezzi di sé ovunque e la sua poesia appare traversata da una malinconica nostalgia di una dimensione metafisica irrimediabilmente perduta e l’ostentata banalità dei suoi temi testimonia del suo sforzo di recuperare l’incantesimo di una terrestre, quotidiana, o anche solamente simbolica, natura spirituale delle cose.

Hotel Insonnia- Charles Simic- traduzione Andrea Molesini- Adelphi

Scena di strada- Charles Simic- poesia

domenica 10 maggio 2009

Un ragazzino cieco
con un cartello fissato al petto.
Troppo piccolo per stare fuori
da solo a mendicare,
ma tant'è.

Questo secolo strano
con la sua strage degli innocenti,
e il volo sulla luna-
ora mi sta aspettando
in una città strana,
nella via in cui mi sono perso.

Mi sentì avvicinare
e si tolse un giocattolo
di gomma dalla bocca
come per dire qualcosa
ma non fu così.

Era la testa, la testa di una bambola,
tutta masticata,
la tenne alta per farmela vedere.
Il duplice sogghigno era per me.

(traduzione Andrea Molesini )

Per farla finita col giudizio di dio- Antonin Artaud

"Quando la follia scioglierà il suo legame con la malattia mentale, l'opera di Artaud apparterrà al suolo stesso del nostro linguaggio e non alla sua rottura"


Michel Foucault


Artaud ha degli incubi e questi incubi sono fatti del tessuto di una poesia in rivolta contro se stessa, sono fatti di pensieri e grida, la cui potenza schiacciante rischia di obnubilare l'autore e il lettore con lui. Poiché questo è Artaud: uno che si gioca la mente alla roulette dell'assurdo, piantando il chiodo della sua insofferenza nella carne del mondo, con la scrittura che pare voler uscire dalla sua immobilità e ritornare pura oralità, in uno slancio che dice tutta la profonda onestà dell'autore francese,che affronta la vita a muso duro, per piegarla alle logiche dell'impossibile; così la poesia stessa viene meno, urge il caos, la terra trema sotto i nostri piedi.

Se il poeta attacca gli Stati Uniti d'America è per dimostrare che la loro potenza si fonda sull'equivoco di una natura da dominare, di un mondo asservito alle logiche disumane della produzione e del profitto. Se parla del corpo è per farlo danzare in una vertigine che vada aldilà della stessa anatomia, poiché "non si è ancora finito di costruire la realtà ", non c'è una essenza da indagare analiticamente, ma qualcosa di sconosciuto deve emergere, irrompendo sulla scena del linguaggio. Così la poesia diventa un atto magico, per liberare l'umanità da tutte quelle realtà metafisiche che vivono da parassiti sul corpo dell'uomo. Artaud usa un bisturi per vivisezionare concetti come Dio, l'essere, lo spirito, il corpo, e il disordine della sua stessa mente, folgorata da uno strano fervore, si connette con degli strati geologici di pensiero e sembra fuoriuscire da quelle profondità con un 'enorme carica eversiva.

Non è una poesia di concetti quella di Artaud, ma di vibrazioni occulte che arrivano anche alla glossolalia, nel tentativo di far tacere la lingua stessa, nella prorompente caducità del suo sconvolgimento acustico, per farla diventare significante puro di un dissenso radicale, che rifiuti esegesi e liquidi così millenni di letteratura. Perché quella di Artaud è una lotta che in Per farla finita col giudizio di dio, in ogni verso si estenua, arrivando a scatenare quelle forze che stanno sotto o aldilà del pensiero, così come esso si è voluto. Artaud, insofferente verso la stessa poesia,vuole uscire dalle trappole del linguaggio, frantumare le concettualizzazioni, che esso opera in nome di una più che millenaria oppressione del corpo, vuole forzare la parola per far uscire il suo grido primitivo, la sua urgenza dionisiaca, la sua follia di balbettio sconnesso, per far saltare i codici e gli statuti linguistici, che fondano il valore. Infrange le tavole della legge, per conquistare una notte di silenzio inesprimibile, in cui taccia per sempre la logica che vuole elettrochoc e roghi, guerre e carneficine. La sua violenza verbale è sicuramente quello "sputo in faccia all'arte" di cui scrive Henry Miller, e nessuno meglio di Artaud ha realizzato la perfezione dell'insulto a "dio" privato anche della maiuscola, in quanto simbolo di tutti i dispotismi, nessuno ha puntato il dito accusatore, in maniera più radicale, contro ogni forma di oppressione fatta in nome della ragione, contro quel "succubato occultatorio di massa " che è la società umana.

Così Artaud si lascia attraversare da deliri, per sfondare i limiti della percezione, per fondare una prospettiva diversa e creare uno sguardo non più assoggettato a nient'altro che il proprio grido.
L'operazione di rottura costò a questo testo, pensato per la radio francese, l'intervento della censura: la trasmissione, benché fosse stata realizzata, non venne mai diffusa.
Così oltre ad essere un libro scritto martirizzando la lingua francese, è un libro parlato, destinato alla vocalità di Artaud stesso, acuta ai limiti delle possibilità umane, anzi un libro gridato, dove una "danza terribile " viene costantemente evocata, per frantumare la staticità pensosa della letteratura classicamente intesa.

L'edizione italiana di Stampa Alternativa unisce così al teso un cd in cui i versi sono recitati da Artaud stesso, e da altri attori che con lui hanno collaborato. E'un florilegio di voci, xilofoni, tamburi, che ha il potere di agghiacciare, e al tempo stesso elevare la poesia alla sfera pericolosa dell'indicibile. C'è qualcosa che non può essere detto, uno sfondamento del linguaggio, che non può esaurire sulla pagina il suo effetto di straniamento, e le parole diventano fuochi fatui che per un attimo come onde increspano la superficie del linguaggio. La lingua viene costantemente torturata da Artaud, che palesemente in questa operazione ci mette tutto se stesso, nello sforzo di cogliere, lo si percepisce, qualcosa di assoluto che la lingua stessa imprigiona. In questo paradossale desiderio di trasformazione della vita Artaud opera con crudeltà, polverizzando se stesso, e tutti quei concetti che si oppongono al caos delle forze che il poeta sente schiacciate dentro di dalle potenze della metafisica: Dio, la ragione, l'essere.

Per farla finita col giudizio di dio doveva essere il primo spettacolo del teatro della crudeltà, ma fu giudicato troppo forte per le orecchie dei francesi, ed a distanza di sessanta anni la sua potenza di scandalo è ancora viva, e sopravvivrà a tutte le mode, perché la ferocia di Artaud permette la dissoluzione di ogni pregiudizio, della "inconscia animalità dell'uomo", i suoi disgusti aprono una dimensione in cui il linguaggio mostra le sue crepe, e ciò che è consacrato odora di escrementi; tutto questo per liberare l'uomo da quelle potenze, da quelle illusioni di senso e di totalità, che lo separano dal proprio corpo, e lo trascinano dentro un vortice di idee, che alienandolo, lo privano della sua forza vitale. Ed è il corpo di Artaud, dominato, violato, sottoposto a decine di devastanti elettrochoc, che grida per tutti noi la rivincita del corpo stesso, contro tutto quello che nei secoli lo ha asservito; corpo vampirizzato dalla religione, dalla scienza, dall'ontologia, strumenti di un'alienazione che Artaud ha combattuto stando, coraggiosamente, dalla parte del delirio.

La sigaretta- Jules Laforgue-poesia

lunedì 4 maggio 2009


Sì, questo mondo è piatto, e quanto all'altro, frottole.
Senza speranza vado mansueto alla mia sorte;
per ammazzare il tempo, aspettando la morte,
fumo in faccia agli dei sottili sigarette.

Su,viventi, affannatevi, o scheletri futuri.
Me, l'azzurro meandro che verso il cielo si torce
mi sprofonda in un'estasi infinita e m'addorme
come ai morenti aromi di mille bruciatori.

Ed entro nel fiorito eden dai sogni chiari,
dove elefanti in fregola si intrecciano alla fioca
danza delle zanzare, in fantasiosi valzer.

E quando poi pensando ai miei versi mi scuoto,
contemplo, il cuore pieno di dolce gioia,il caro
mio pollice arrostito come un cosciotto d'oca.

(traduzione Luciana Frezza)

La letteratura e il male- Georges Bataille

sabato 2 maggio 2009

" Tutto lascia pensare che esista un luogo dello spirito a partire dal quale la vita e la morte, il reale e l'immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile, cessano di essere percepiti in maniera contraddittoria."

André Breton

Il discorso di Bataille parte da una definizione di bene e male, che non è così automatica e per comprenderlo bisogna faticosamente entrare in un labirinto in cui lo scrittore francese ci guida fra riflessioni sulla letteratura ed a volte oscuri excursus filosofici.
Scrivendo di Baudelaire Bataille definisce il bene come ciò che la volontà persegue per l'avvenire, la difesa di una morale dell'utile e del vantaggioso, mentre il male sarebbe la dispersione dell'istantaneo, frutto di una volontà ambigua che arriva a non volere ciò che vuole e a volere ciò che non vuole. Questa impasse è chiaramente leggibile proprio in Baudelaire, che è uno degli otto scrittori di cui Bataille si propone di scandagliare il rapporto con la colpa originaria che sta nella letteratura.Questa è la tesi che Bataille cerca di dimostrare: l'impulso letterario, affondando nell'infanzia e traendo da essa il suo nutrimento, si contrappone all'ordine stabilito da ciò che la società umana ha deciso essere il bene, cioè appunto quella morale che pone nell'avvenire il suo senso e nella conservazione della vita il suo fondamento. Ma la letteratura è essenzialmente lotta contro quest'ordine, per affermare la dispersione dell'istante e il rifiuto infantile del mondo degli adulti, con la loro progettualità volta a garantire senso e durata, cui i bambini e gli artisti come Baudelaire contrappongono un eterno presente senza avvenire e in questo modo affermano le potenzialità della loro libertà, posto che questa libertà è inquietante, presuppone il deserto, in quanto aldilà delle convenzioni sociali che conferiscono alla vita il suo aspetto c'è una zona pericolosa, dove la ribellione allo status quo si realizza a volte nella distruttività, come in Sade, altrove nel "silenzio della volontà" come in Baudelaire, o nel desiderio di abiezione, come in Genet.
"L'uomo non può amarsi fino in fondo se non si condanna" e questa è una delle convinzioni che lo scrittore francese cerca di dimostrare e che cozzano contro il senso comune, contro il bene stesso, che sarebbe anche l'insieme di tutte quelle convenzioni e interdizioni, che rendono possibile la convivenza fra gli uomini, ma che la letteratura ha il compito di mettere in crisi, in questo senso realizzandosi come trasgressione di quelle realtà solide che gli uomini tendono a chiamare bene.
Così la figura di Baudelaire è tratteggiata attraverso questa fondamentale idea del poeta come colui che preferisce rimanere nell'attimo presente, alla ricerca di un piacere che gli sfugge, piuttosto che trovare nel lavoro, nell'utile, nel fluire del tempo, la soddisfazione e la pace che è priorità delle nature più prosaiche, che non perseguono la conoscenza, cioè quella fusione di soggetto e oggetto che sarebbe il fine della filosofia, ma solo il proprio vantaggio, il proprio bene. Il poeta sarebbe allora il demiurgo che cerca di sottrarsi alla dimensione in cui la coscienza non è nient'altro che il riflesso delle cose, per ricercare piuttosto l'impossibile, cioè la fusione con esse.
Bataille insiste molto sulla necessità per il letterato di volere l'impossibile, e proprio per questo sia Baudelaire che Sade si scontrano con un violento senso di impotenza, che però è all'origine del loro sforzo conoscitivo, invece la soddisfazione non produce quella particolare coscienza necessaria per indagare la realtà.
Il romanticismo è quel fenomeno che rifuggendo la consacrazione dell'utile, propugnata dalla mentalità borghese, in seno alla stessa borghesia, persegue obiettivi più naturali, laddove però la natura è il luogo di una grandiosa dissipazione, che raggiunge nella morte la sua forma più eclatante. Nell' indagare il rapporto fra sessualità e morte Bataille scrive di un racconto di Kafka, che si conclude con un suicidio; le ultime parole "In quel momento la circolazione sul ponte era addirittura senza limiti " vengono associate da Kafka in una lettera a Max Brod ad una" violenta eiaculazione".
In cosa consista questo rapporto Bataille lo vede nel superamento dell'interdizione, che realizza pienamente l'aspirazione fondamentale dell'uomo a raggiungere la vertigine del suo "scatenamento". L'uomo differisce dall'animale proprio per l'esistenza di divieti e dunque della possibilità e talvolta della necessità della loro trasgressione, mantenendo sempre la consapevolezza che questa infrazione della norma è comunque colpevole, in questo ritrovando però un surplus di godimento, fermo restando che "L'infrazione spaventa, come la morte; tuttavia essa attrae , come se l'essere ci tenesse alla durata solo per debolezza, e come se l'esuberanza comportasse, al contrario, un disprezzo per la morte, che è necessario non appena la regola viene infranta."
In Sade Bataille scorge la ricerca di uno stato paradossale di "esasperazione", uno sconvolgimento prolungato causato da una eccitazione sessuale sproporzionata e senza limiti, in un contesto in cui la depravazione diventa un atto di devozione al male assoluto. E' davvero l'estasi dell'annientamento anche del proprio; l'opera di Sade è un deserto che agghiaccia per la sua monotonia infernale, che stupisce per il fervore con cui il male, ciò che è esecrabile, viene esaltato, in un parossismo che distrugge tutti i valori e gode di questo, ma il desiderio di distruzione è il segno della reclusione. Sade crea un universo concentrazionario che è il riflesso della sua stessa prigionia, restituendoci" la solitudine dell'universo" e affermando così una verità clamorosa: lo " scatenamento", e la perdita di coscienza che esso permette, sono il segreto perturbante dell'uomo.

Scrivendo di Kafka Bataille sottolinea nuovamente un aspetto dell'isolamento dell'artista, e la sua conseguente insofferenza verso la società: la puerilità.
Così Kafka sconta la sua esclusione già nella figura paterna, che considera infantile ciò che per Kafka è una preoccupazione profonda: la letteratura. La letteratura è quella colpa, quella trasgressione delle leggi dell'utile, che il mondo della "attività efficiente" non vuole e non può riconoscere. Kafka non reagisce allora con la rivolta, ma con la sottomissione- "Nella lotta fra te e il mondo stai dalla parte del mondo -creando con le sue storie un disordine che mina le certezze logiche su cui si fonda la razionalità, alla ricerca di quello smarrimento che solo può dare il senso della propria presenza, seppure schiacciata da una fatalità oscura.
Nel rifiuto di diventare padre, Kafka rivendica il suo diritto all'irresponsabilità e al sogno- "Non sposerò Frida, non entrerò in comunità "- e ancora questo è un atteggiamento colpevole.
La letteratura è quel crogiolo di forze esorbitanti, di tristezza da esiliato, di gioie che in definitiva solo la morte può suscitare e contenere ;ma la sottomissione di Kafka verso la società è per Bataille più violenta di qualsiasi rivolta, affermando la propria nullità l'artista spezza ogni legame, trasfigurato, egli non è più il Prometeo che ruba il fuoco agli dei, ma un bambino che cerca nel sogno la propria verità di escluso: "Restai seduto e mi chinai come prima su quel foglio che dunque non serviva a nulla..., ma in realtà ero stato espulso di un colpo dalla società".
Questa umiliante condizione è il prezzo che Kafka paga per mantenere intatta la propria vocazione e la propria libertà, nel rifiuto della "attività efficiente" e della schiacciante fatalità del mondo.
Diversamente William Blake nella visione di Bataille oscilla fra paganesimo e un cristianesimo paradossale, elaborando una personale mitologia, in cui la materia è in perenne trasformazione e l'energia è"eterno piacere". Rivendica la sessualità contro ogni forma di imposizione religiosa o sociale, e nel tentativo di fondere cielo e inferno cerca di superare la dualità del pensiero occidentale.Per Blake la verità sta nell'immaginazione, e le religioni, nate da un impulso poetico, sono colpevoli di aver tradito la loro origine, rifugiandosi in un dogmatismo infecondo, non riconoscendo più la propria affinità con l'attività creatrice, sempre in qualche modo perturbatrice dell'ordine stabilito dalla ragione, sempre tesa a un godimento impossibile, ad una affermazione potente della vita.
Certo per Blake la poesia è dalla parte del male, cioè dell'attivo, dell'esuberanza,della stessa energia creativa e sessuale mentre il bene è "il passivo che obbedisce alla ragione". La condanna della legge morale fatta dal poeta inglese , scrive Bataille, è tutta nell'affermazione della necessità della gioia erotica, del piacere sensuale, per riappropriarsi del corpo, sequestrato dalla morale ebraico-cristiana e sottoposto alla tortura di una vita dichiarata colpevole, nella consapevolezza che, come si legge in Matrimonio fra cielo e inferno " Senza contrari non v'è alcun progredire.Attrazione e repulsione, Ragione ed Energia, Amore ed Odio sono necessari all'esistenza umana."
Scrivendo di Genet Bataille affronta il tema della sovranità che è "il potere di innalzarsi, nell'indifferenza alla morte al di sopra delle leggi che assicurano il mantenimento della vita"
e scrive dell' operazione compiuta dall'autore di Diario del ladro:infrangere il limite imposto dalle interdizioni, per generare un 'estetica del male, che è il rovescio inquietante della santità e presuppone la stessa tensione e lo stesso rigore. Così Genet delinquente e ladro, raggiunge nell'abiezione più profonda quella zona dove il male è la cifra di un'affermazione di sé paradossale ed inquietante.Il superamento della morale tradizionale, l'annullamento di ogni interdizione è strettamente legato alla coscienza di stare compiendo una violazione, e in un crescendo di crimini il rischio è quello che non ci sia più nulla da infrangere e dunque il vuoto. Scrivendo anche di Bronte, Michelet , Proust, Bataille compie così il suo percorso circolare, mostrando come i suoi assunti iniziali siano validi: la letteratura è dunque il luogo in cui l'esistenza raggiunge l'acme della sua dissipazione,e poiché essa non è nient'altro che il "sospirato ritrovamento dell'infanzia"non le resta che dichiararsi colpevole .