Leggere

lunedì 26 marzo 2018




Leggere è sempre esercizio di umiltà: aprirsi all’altro, immergendosi nella scrittura e nei suoi vuoti, non comprendendo ma tentando di indovinare. La scrittura, se è tale e non imitazione di un dato modello consumistico di leggibilità, è sempre oracolare. Si tasta qualcosa, come i ciechi con il linguaggio Braille, e sulle mani rimangono sentori di galassie, fremiti di abissi, echi spettrali di caverne. Massimamente questo accade con la poesia e la filosofia, in cui la parola cessa di comunicare e s-comunica la lingua, il suo imperativo fascista di esaurire il tutto. Non c’è tutto ma miriade di particelle e frammenti che non cercano più unità, si dissolvono.

La possibilità di un’isola – Michel Houellebecq

domenica 18 marzo 2018




Dopo una manciata di romanzi di Houellebecq, leggo,  edito da Bompiani nella traduzione di Fabrizio Ascari,  il suo La possibilità di un’isola, e ne traggo idee  divergenti. Si tratta di letteratura indubbiamente, il che non è poco. Oltretutto estremamente  contemporanea, perché gioca, a tratti anche con destrezza, a tratti invece con ingenuità,  con i generi, romanzo realistico da una parte e fantascienza dall’altra, per affrontare i temi eterni dell’umano: l’amore, l’invecchiamento, la morte.

Difficile evitare un minimo di spoiler; chi voglia preservare completamente la sorpresa del romanzo non legga le righe che seguono.

 Il personaggio protagonista,  Daniel,  è un comico di successo che per motivi che non svelo racconta la sua storia. Altri personaggi misteriosi denominati Daniel 24 e Daniel 25  la commentano da un lontano futuro. Essi appartengono a un’altra razza di cui nel corso del romanzo saranno rivelate le origini.

Il Daniel che vive nel nostro tempo è il classico personaggio di Houellebecq, cinico, disilluso, giunto alla mezza età con la consapevolezza che la vita è un declino inarrestabile. I personaggi dello scrittore francese si assomigliano tutti, sono palesi alter ego dell’autore e dopo un po’ smettono di sorprenderci. La vita è mediocre, solo il sesso sembra poterla rendere interessante. Prospettiva molto contemporanea ma francamente illusoria. Non solo sesso, ovviamente. Per sua stessa ammissione Daniel appartiene ancora alla generazione (egli ha 47 anni ) per cui l’amore era una componente fondamentale. Per le nuove generazioni, egli sostiene che non è più così, la monogamia è in crisi, si afferma il libertinaggio, in una società liquida in cui certe coordinate di stabilità sono saltate.

La possibilità di un’isola è in parte incentrato sulla crisi di mezza età di un uomo la cui vita, segnata dall’umorismo come professione, non ha più nulla di divertente. Affascinato da donne giovani, egli sconta drammaticamente un divario generazionale.  Poi c’è l’aspetto fantascientifico egli viene catapultato in una vicenda che muterà sorprendentemente la storia della razza umana, coll’affermarsi di una religione che venera esseri extraterrestri gli Elohim e  che promette la vita eterna, con il meccanismo della clonazione umana.

Questa parte del romanzo non è gestita al meglio, errori narrativi, (per esempio l’eccessiva facilità in cui i poliziotti si bevono una storia inverosimile o l’eccessiva velocità con cui le religioni tradizionali entrano in crisi a contatto con la religione Elohim). Leggiamo un romanzo come un’allegoria: la crisi religiosa dell’Occidente produce una nuova religione edonistica e consumistica che promette l’eterna giovinezza al prezzo però, si vedrà, della propria umanità, per cui i neoumani avranno con i loro predecessori solo una lontana parentela.

La possibilità di un’isola è dunque un romanzo che si legge anche con piacere ma che non riserva le soprese della grande letteratura e ricade troppo nei cliché dei romanzi di Houellebecq. Sono due romanzi cuciti insieme, uno realistico e uno di fantascienza. Non brutti ma nemmeno memorabili. In sostanza è un libro che difende la necessità dall’amore, unico movente delle azioni umane in grado di conferire senso all’esistenza, in un mondo però in cui esso sta progressivamente riducendosi ad essere mero  reperto museale di un’epoca passata, in cui avevano ancora senso le relazioni umane.
  
Per questo la fantascienza dà credibilità a  questo romanzo perché è probabile che questa deriva divenga in futuro sempre più reale e le vecchie coordinate relazionali siano abbandonate col sopraggiungere di nuove scoperte tecnologiche che renderanno desueto il nostro stesso modo di comportarci. È quella che alcuni scrittori di fantascienza chiamano singolarità, un evento in grado di modificare per sempre la vita umana, più di quanto abbiano fatto la scoperta del fuoco, della ruota o delle stampa. Houellebecq ci parla di una singolarità che pare,  però,  paradossalmente già desueta. È probabile che non sarà la clonazione l’evento definitivo ma qualcosa di non ancora pensabile che ha a che fare con l’aumento di supporti tecnologici destinati a interagire con la coscienza umana, fino a mutare radicalmente ogni nostra concezione.

I canti di Mihyar il damasceno - Adonis

sabato 10 marzo 2018





 Il dubbio, l’esilio, lo sradicamento, la mutazione perenne, l’attesa, lo smarrimento, lo smarrimento soprattutto, sono gli attributi di Mihyar, il “santo barbaro” di questo poema o prosimetro del poeta siriano naturalizzato libanese Adonis, I canti di Mihyar il damasceno , che Mondadori ha proposto  nella traduzione  di Fawzi Al  Delmi nel giugno 2017.  

È un libro originariamente pubblicato nel 1961, che diede fama al poeta in tutto il mondo arabo. Quasi ogni sezione di poesie è preceduta da una prosa, intitolata significativamente  Salmo, a rimarcare la sacralità dell’operazione. Ma è un sacro ambiguo quello che persegue Adonis, sulle orme di Nietzsche e del suo Zarathustra di cui Mihyar è evidentemente una rielaborazione.

Cogliamo sin da subito la densità oracolare e le suggestioni misteriche di questa scrittura vertiginosa. Quasi a ogni riga, in ogni passo di questo arduo cammino,  intravediamo una rivelazione e siamo in attesa e con il fiato sospeso. “Là dove passo scendono le cascate di un altro mondo”,  “E’ la realtà e il suo contrario,  la vita e ciò che non lo è”,  Sono la ferita del divenire”, così si definisce o viene definito Mihyar ma ogni definizione è solo un passaggio, perché in definitiva egli è un flusso di contraddizioni, un fiume che trascina immagini, maschere, specchi, miti, archetipi, da Sisifo ad Adamo da Noè a Satana, da poeti arabi come Abu Nuwas a Ulisse, da Diogene il cinico a Orfeo,  in quello  che si configura come un dialogo fra questa condensazione di personaggi e la “lingua dispersa/ […]/ nell’arcipelago dell’antica caduta.” Un dialogo fra culture, quella araba e quella greca, quella cristiana e quella ebraica, fra  il paganesimo e l’ateismo, con il Dio morto nietzschiano a fare da garante di questa dissoluzione. Perché tutte queste culture si dissolvono in un’unica figura, questa di Mihyar, colui che “vive nel reame del vento/ e regna sulla terra dei misteri”.  

Qui viene adombrata l’idea eliotiana del poema come sintesi suprema di filosofia, poesia, religione, mitologia, così pare titanico lo sforzo di Adonis di trovare una formula che metta in connessione ciò che in apparenza è lontano. Così la sua lingua è densa di analogie, echi, allegorie, invocazioni, evocazioni, sintesi altamente densa di contenuti culturali e psichici divergenti. Da qui la modernità sconcertante e predittiva dell’insieme. Perché questo testo,  come tutti i capolavori,  a distanza di quasi sessant’anni non ha ancora esaurito la sua forza di testimonianza dell’enorme frammentazione e disgregazione della cultura, anticipando anzi con forza visionaria la mescolanza,  l’ibridazione e la fusione in atto oggi a tutti i livelli.

Libro in cui la sacralità è presente ma che rifiuta ogni codifica di questo processo come dimostra la poesia intitolata Dialogo, dove Mihyar, messo davanti alla scelta fra Dio e Satana, non sceglie nessuno perché “ambedue sono muro/ ambedue mi sigillano gli occhi,/ dovrei cambiare un muro con un muro?” . La sua scelta è l’incertezza, perché essa illumina meglio il percorso, l’incertezza è propria del saggio che “sa  ogni cosa”. Antinomia, paradosso, che avrebbe potuto proferire Zarathustra. Così Mihyar va aldilà del bene e del male, cancella “la lingua del peccato”, oltrepassa Dio e Satana, sconfigge ogni dualità, armonizza gli opposti, fonde grazia e crimine, rende indistinguibile la trama di cui il mondo è tessuto, in questo modo arrivando alla profondità di una verità che forse uccide  o rende folli. Ancora una volta è Zarathustra di cui sembra risuonare il suo “Amici io v’insegno l’oltreuomo. L’oltreuomo è il fulmine e la demenza.”

Questa è una scrittura di vibrazioni,  di oscillazioni fra il sacro e il profano,  di veloci immersioni e subitanee riemersioni in cui la parola è scavata e fatta esplodere, sospesa su una fune sopra il silenzio, immaginifica fino a disegnare arcobaleni, abbagliante e insieme incline alla penombra,   la pagina di Adonis  pare la tavolozza di un pittore che sa usare i colori in tutte le loro sfumature. La parola che più designa questo straordinario poema è:  arabesco, laddove però alla cultura araba Adonis fonde un’idea occidentale di letteratura, raggiungendo a forza di fusioni l’universalità propria della poesia più profonda.

Il poeta,  incantatore della polvere”, vive  nelle parole che dona a un “mondo cieco” di cui non può o non vuole più essere la guida. A Mihyar non resta che essere presagio di un “dio che verrà”, abitare da poeta il nomadismo di “parole vagabonde”, abitare la sua patria che è il lontano, il fuggevole, “riconciliare gli dei ciechi/ e gli dei veggenti/per un’ultima volta”, sprofondando nello smarrimento, nello smarrimento che è “splendore” mentre “il resto è maschera”.

Una poesia di Adonis

mercoledì 7 marzo 2018





Dialogo

-Chi sei, chi scegli o Mihyar?
Ovunque ti dirigi c’è Dio o l’abisso satanico
un abisso va, un abisso viene
il mondo è una scelta.

-Non scelgo né Dio né Satana
ambedue sono muro
ambedue mi sigillano gli occhi
dovrei cambiare un muro con un muro?
La mia incertezza è quella di chi illumina
è l’incertezza di chi sa ogni cosa…

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da “I canti di Mihyar il damasceno” - Adonis- traduzione Fawzi Al Delmi – Mondadori - giugno 2017