Tra me e il mondo è scritto da Ta - Nehisi Coates - giornalista di
colore che lavora tra l’altro per “The Atlantic”, “The Washington Post”, “Time” -
ed è stato pubblicato in Italia da Codice Edizioni nel maggio 2016, per la traduzione di Chiara Stangalino. Il
libro potrebbe essere giudicato da qualcuno un sasso gettato nello stagno
dell’ipocrisia Wasp, ma a me sin dalle prime pagine è parso soprattutto il
classico libro buono per lavare la coscienza dei radical chic bianchi, progressisti, americani. Per questo,
probabilmente, ha vinto ogni genere di premio prestigioso (fra cui il National
Book Award) e vanta in quarta di copertina giudizi esaltanti che vanno dallo “straordinario”
del New Yorker all’”epocale” di “Le Monde”, che pure è un giornale francese e
dovrebbe avere gli anticorpi verso questa letteratura apparentemente impegnata,
in realtà furba, tanto più quando ostenta
la propria autenticità. Addirittura imbarazzante il giudizio che ne dà
“Publisher’ s Weekly”: “Immenso. Un classico che rimarrà nei secoli". Più si
procede nella lettura, infatti, più questi giudizi altisonanti paiono
grotteschi.
Si tratta di un libro strutturato
come lettera dell’autore al figlio quindicenne, che tradisce dunque una volontà
pedagogica e che ha il merito di esibire una certa compattezza. Estremamente
ripetitivo e noioso, però, specie nella prima parte, fino a rasentare l’ossessività, questo è un
atto d’accusa contro quella società
bianca, che, in nome di ciò che l’autore chiama “il Sogno”, per preservare i suoi prati ben
tagliati, i suoi arrosti ben cotti, le sue torte alle fragole, costringe i neri
a vivere nella paura che il loro corpo sia distrutto e li considera cittadini inferiori. Questa è l’ossessione dell’autore, il corpo.
Ossessione che dopo un po’ che si procede nella lettura diventa persino stucchevole.
Quello di Ta - Nehisi Coates è il racconto di
come un nero si costruisca un’identità in un mondo in cui è considerato sostanzialmente
un paria, un reietto, un escluso. E fin qui va bene, ma la sensazione è che
l’autore parli troppo di sé e per giunta spesso senza interessare e che le sue analisi
sociologiche siano manchevoli. In fondo, lungi dal raggiungere l’universalità
della grande letteratura, Tra me e il
mondo rimane nel limbo dei libri che si occupano di problemi locali: la
condizione dei neri negli Stati Uniti, infatti è infarcito da riferimenti
comprensibili solo da un americano. E
per un americano deve esser anche uno shock
leggere che l’omicidio dei neri da parte
della polizia non sia causato da incidenti cui si può porre rimedio ma dallo
stesso sistema che si dice democratico. Anche se non particolarmente originale,
questa è la verità più profonda del libro e devo ammettere che l’autore la
sostiene con lucidità.
Il tono sofferto e a tratti viscerale
di Ta - Nehisi Coates non toglie comunque il sospetto che tutto sia costruito ad hoc per suscitare una certa
indignazione che fa tanto bene ai radical
chic di cui sopra. Oltretutto, il fatto che il testo sia tutto rivolto al
figlio lo trovo irritante. C’è qualcosa di fastidioso, di artefatto, di
retorico, di querulo, addirittura di melenso, in questa prosa, che ne depotenzia
gli aspetti più vitali, aggressivi, e di denuncia sociale.
Ricordo un pugile di colore che
una volta disse: “Una volta diventato
ricco ho cessato di essere nero”. Questa frase nella sua sintesi dice di
più di questo pamphlet che in fondo,
nonostante tutte le intenzioni, si riduce a essere uno sterile resoconto
autobiografico. La sua denuncia non colpisce il sistema economico su cui è
fondato il razzismo, non contesta alla radice l’escalation performativa e produttiva richiesta dalla nostra
società. Tra me e il mondo è,
inoltre, tra i libri più noiosi che abbia letto quest’anno. E dunque perché
tanto clamore, intorno alla storia di un borghese che narra al figlio quanto
sia difficile essere neri?
Probabilmente perché è il momento
perfetto per una storia simile. I neri della generazione di Coates si
riconoscono, i radical chic gongolano, qualche rapper farà una canzone
su questo intellettuale come nuovo eroe nero (c’è già un fumetto della Marvel) e
tutti saranno più contenti. Un po’ di
denuncia, un po’ di rabbia (come quando scrive che le scuole andrebbero
bruciate), un po’ di cultura nera, un
po’ di Malcom X, un po’ di qualunquismo (scrive testualmente: “la nostra nazione è governata da una
maggioranza di porci”), e la
coscienza può tornare a occuparsi dei suoi prati ben tagliati, dei suoi
arrosti, delle sue torte della nonna. Tutto espresso in uno stile che qualcuno
ha definito impeccabile e che a me è parso invece fin troppo piatto e scontato;
tutt’al più quella di Coates è una discreta
scrittura giornalistica senza lampi
annacquata nel brodo di una prosa spesso eccessivamente sentimentale.
Sì, la denuncia di Coates è un boomerang e Tra me e il mondo è un libro
poco interessante, da evitare. Alla
faccia del “classico che rimarrà nei secoli”.
E a chi
è interessato a questi temi consiglio piuttosto ”Ragazzo negro” di Richard
Wright. Questo sì, “straordinario”.