Raramente mi trovo d’accordo con
gli articoli che scrive Massimo Fini. Troppo spesso mi sembra che le sue siano
le ostentate provocazioni di chi ormai si sente marginalizzato. Penso per esempio
alla sua recente difesa del pentastellato Di Battista, duramente e giustamente
criticato per le sue affermazioni sull’
Isis. O ancora trovo discutibile e
pericoloso quanto scritto nell’articolo: “Quei
delitti orribili nella società ‘per bene’ delle villette a schiera”:
“E l’aggressività che è una componente fondamentale e vitale dell’essere
umano, compressa come una molla risalta fuori nelle forme più mostruose. Io
cedo che se Lissi non fosse stato costretto dal contesto sociale a condurre una
vita così perfettina, se avesse potuto dare un paio di ceffoni a una moglie che
evidentemente non sopportava più senza rischiare la galera per maltrattamenti,
se avesse potuto insultare il capoufficio o dare un cazzotto a un collega senza essere immediatamente licenziato, se
avesse potuto andare allo stadio senza recitare la parte del tifoso per bene ma
di “Genny a carogna”, forse, sfogatosi in un altro modo, non avrebbe ucciso.”
Come dire
che compiere violenze minori ci preserva da quelle maggiori. Mi sembra un
delirio.
È quindi con
un certo scetticismo che leggo questi due pamphlet polemici contro la modernità
e contro la democrazia “Il vizio oscuro
dell’Occidente” e “Sudditi”, che
Marsilio pubblica nel 2012 in un’unica soluzione. Sono entrambi un po’ datati risalendo
rispettivamente al 2002 e al 2004.
La tesi di
fondo è presto detta, la anticipa lo stesso Fini nella nuova introduzione:
“Il filo che
unisce questi due libri […] è la pretesa totalizzante dell’Occidente (il suo ‘
vizio oscuro ’) di omologare l’intero esistente al proprio modello (economico,
sociale, valoriale) il cui involucro legittimante è la democrazia.“
Lo stile di
scrittura è all’insegna della scorrevolezza e della leggibilità di tipo
giornalistico più che di un approfondimento filosofico o storico. Fini fa un
po’ fatica a togliersi di dosso l’abito di opinionista, seppur abile, e i due
libri - soprattutto il primo - risentono
a tratti di un approccio eccessivamente
semplificato. Bisogna dire, a onor del vero, che Fini ha il coraggio intellettuale di proporre una
visione che è eretica, o quantomeno eterodossa. Chi discute oggi il concetto di
democrazia, totem cui si immola ogni diversità inconciliabile, ogni pensiero
realmente antagonista? Ancor più difficile criticare la democrazia senza
passare per un sostenitore della tirannide.
Fini scrive
che la democrazia, lungi dall’essere “governo del popolo”, come vorrebbe
l’etimologia, è un insieme di oligarchie, di lobby, che cercano e trovano il
consenso popolare attraverso le mistificazioni della macchina propagandistica
costruita dalle televisioni e dai giornali. Fin qui possiamo essere tutti
d’accordo, sono realtà sotto i nostri occhi da sempre.
Sarebbe attraverso
un tipo di narrazione della realtà fallace, compiuta dai media, che le guerre
in Iraq, in Jugoslavia, in Afghanistan, per esempio, passano per essere
“missioni di pace”, o concetti come “guerra preventiva” si fanno strada
nell’opinione pubblica, quando invece queste operazioni sono il proseguimento
del colonialismo, all’insegna del motto latino ”si vis pacem,
para bellum”. La democrazia occidentale si servirebbe allora dei
concetti di libertà, uguaglianza, giustizia, per legittimare la sua profonda
anima totalitaria. Le guerre giuste
sarebbero allora quelle in cui l’Occidente impone il suo modello democratico, o
falsamente democratico – ma per Fini le due cose a volte sembrano coincidere- a popolazioni che hanno culture diverse
refrattarie alla democrazia, culture per le quali esse sarebbe anzi un veleno. In
questo discorso c’è una falla ed essa consiste nell’equiparazione superficiale
di operazioni di guerra così diverse come quella in Jugoslavia, fatta per
impedire un genocidio, e quelle in Iraq e Afghanistan che invece sono più
propriamente guerre di conquista mascherate, guerre per cui il discorso di Fini
è dunque più appropriato.
Come ormai
sappiamo e Fini ribadisce, le nostre vite sono ormai regolate dal mercato,
mercato “di cui la democrazia è solo
l’involucro legittimante, la carta più o meno luccicante che ricopre la
caramella avvelenata.” La polemica
di Fini contro la democrazia e contro la modernità, contro la globalizzazione e
l’affermarsi del pensiero unico, appaiono quindi sensate, anche se non così
inedite, fino a che ci muoviamo nel regno della critica pura. Quando esaminiamo
le alternative che propone lo scrittore, ci muoviamo nel vuoto, a meno che non sia
più di una provocazione il riferimento alla cultura Nuar che fa parte di quelle
“società acefale”, “anarchie ordinate”, che Fini definisce ”nient’affatto rare nel Continente Nero”.
Il pensiero
di Fini è quindi quello di un anarchico che sembra avere paura di pronunciare la parola
anarchia, che nei due libri compare solo nell’esempio sopra riportato e in
un’altra occasione.
I due testi
così hanno un’efficacia polemica, mostrano i loro limiti sul piano delle
soluzioni proposte, delle alternative al modello dominante.
Rimane
perciò valida la caustica frase di Churchill che cita lo stesso Fini:
“È stato detto che la democrazia è la peggior
forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono
sperimentate fino ad ora.”
Governo dei mediocri, sistema in
cui ”il popolo è bastonato su mandato del
popolo” come nelle parole di Carmelo Bene, o come chiosa forse meno
elegantemente Fini ”un modo per metterlo
nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso”; la
democrazia, secondo Fini, come tutti i
poteri, non ha legittimazione alcuna (al
misticismo del sangue e della dinastia, proprio del feudalesimo, si sostituisce quello del consenso e del
voto) e si è imposta con la sola forza
della propaganda e ora viene addirittura esportata a cannonate. Il consenso
sarebbe dunque estorto, cancellata ogni possibilità di una reale opposizione,
se destra e sinistra sono, in tutto il mondo, solo due lobby che si spartiscono
il potere, dando unicamente l’illusione
di un’alternanza. La passione politica è così equiparata a quella calcistica,
il valore del cittadino in un sistema democratico è lo stesso che in un regime
autoritario: zero. Anche il voto è solo un vuoto rituale che serve come
legittimazione per i soprusi compiuti dalle oligarchie che ci dominano.
Bene, ma qual è l’alternativa?
Questa domanda non può che
attraversare la mente di chi legge questi due testi, dove la critica alla
democrazia non è solo una critica all’Occidente ma una critica allo stesso
concetto di potere. Chi ha diritto di governare un altro o addirittura un
popolo? E soprattutto, sembra chiedersi Fini, che tipo di uomo è quello che si
fa governare? Forse qui lo scrittore sottovaluta la propensione umana a farsi
gregge, dimentica che, come ha detto Nietzsche, anche quando si ubbidisce lo si
fa per soddisfare la propria volontà di potenza.
In conclusione, sia Il vizio oscuro dell’Occidente che Sudditi paiono semplificazioni di
qualcosa di troppo complesso per essere liquidato in due pamphlet, per quanto
corrosivi, la critica alla democrazia è
un tema interessante ed è vero che nella nostra società è un tabù, ma andrebbe
sviluppata proponendo alternative più sostanziose del semplice comunitarismo e
del bioregionalismo. Se queste alternative mancano, la critica è insufficiente,
e il povero cittadino risulta essere ancora più schiacciato da un senso di
impotenza. Alcune delle pagine più efficaci di Sudditi sono dedicate alla dimostrazione che la democrazia non è il
fine e la fine della storia, come sostengono i suoi corifei. Secondo Fini, come
tutte le istituzioni umane essa un giorno finirà nella “spazzatura della Storia”.
C’è infine da considerare che è
proprio perché siamo in una democrazia (pur con tutti i suoi enormi limiti) che
essa può essere criticata anche duramente come fa Fini. Che poi la democrazia,
per la sua natura livellante, equipari tutte le idee in una melassa di opinioni
equivalenti e ugualmente inoffensive, è un altro discorso.