Matteo Gennari nasce nel 1975 a Milano e
vive per lungo tempo nella periferia milanese. Prima dei trent’anni, roso da
un’insolubile inquietudine, disgustato dalla Milano da bere e da un’Italia
oramai priva di realtà e drogata di televisione, decide di emigrare, per
stringere in pugno qualcosa in più della solita polvere e sceglie il sud del
mondo, il Brasile. Attraversa la grande
acqua, non tornerà più indietro.
Decide di partecipare a un progetto
umanitario nella più grande favela di Rio de Janeiro, la favela Rocinha. Passa
da una periferia all’altra. Dalla periferia paranoica di Milano alla baraonda
caotica e pericolosa di Rio. Cambia continente, cielo, sguardo. In favela lavora
con una Ong, si occupa di bambini, l’ambiente è difficile: sparatorie,
delinquenza, rischi. Incontra la
religione dell’Umbanda, si interessa di spiriti guida, di possessione ma
capisce presto che la sua vera possessione, il suo daimon è da sempre la letteratura.
Scrive come un pazzo o un dannato. Dalla
sua immaginazione escono romanzi e raccolte di racconti come Favelado, Come perdere l’anima, Il fumo
della pipa va lontano, Cristo si è fermato a Rio, poesie, canzoni. Sulla
sua officina creativa non tramonta mai il sole. Poi improvvisa come una colata
lavica Rio gli fornisce il materiale e lo scenario per immaginare questa storia
che diventa suggestiva, nonostante sia di degrado. Conturbante e affascinante, il
personaggio di Helena vi colpirà, vi sedurrà, vi ammalierà. Non la potrete più
dimenticare. Perché non ne possiamo più
di questa letteratura che mima miseramente il linguaggio delle fiction televisive,
di questa letteratura per famiglie, di questa sociologia da torri d’avorio, e
vogliamo stringere in pugno la realtà anche se ha le spine e fa male, anche se
è amara.
”Helena” è un romanzo breve e perturbante,
qui Gennari è alla sua prova più riuscita. Romanzo di cuore e di sesso, romanzo
maledetto come il mondo in cui è ambientato, quello che Majakovskij chiamava ”l’infernaccio
brutto della città”, in questo caso Rio de Janeiro, vista aldilà del mito cartolinato per turisti, nel cuore addolorato e indecente delle sue
contraddizioni di megalopoli smisurata, senza misura, in quella ubris che è
essenza del mondo moderno.
Helena è il personaggio attraverso cui
Gennari mostra le piaghe e le pieghe di un pornocapitalismo che ci è entrato
oramai nel sangue. Inutile anzi stupido continuare con le tiritere
moralistiche, con l’ipocrisia di chi, ammoniva Moravia, si scandalizza, Gennari
spacca un muro di carne e da questo muro gronda quel sangue che noi chiamiamo
il reale. Helena emerge, splendida e forte, con le sue ferite naturalmente, i
gravi traumi subiti ma è come se la sua femminilità fosse rimasta intatta e
brillasse come immagine potente, essendo Helena una vittima sì di un mondo che
si crede moderno e che sessualmente non è ancora uscito dalle caverne, ma anche
artefice del suo destino di puttana. Destino abietto? Smettiamola con queste
cretinerie parrocchiali, funzione necessaria di un pornocapitalismo ormai omnicomprensivo,
divenuto scenario linguistico sempre più pervasivo. Non è un caso che il
monologo di Helena sia raccontato via webcam in un incontro di sessualità
virtuale con un cliente che è solo una lucina verde sul computer di lei e mai
compare nel testo ma cui il testo è rivolto. Inutile girarci intorno: quella
lucina verde siamo noi.
Helena è un personaggio a tutto tondo di
puttana che rivendica il corpo come luogo e teatro di una guerra simbolica. Contro il Padre, Gennari a tratti pare
suggerire questa lettura psicoanalitica ma c’è di più. Perché la pornografia,
come ha mostrato Ballard, come ha confermato Baudrillard, è il linguaggio
stesso della contemporaneità, con l’ipertrofico culto per il realismo, il
dettaglio esasperato, lo zoom sulla lacrima, i funerali del papa in diretta, la
descrizione scientifica di un intervento di mastoplastica, la sexy morte di
Diana Spencer in crash automobilistico, raccontata nel minimo dettaglio
dell’ultimo respiro… Ovunque, ovunque, pornocapitalismo in atto. Che fare?
Mettersi a fare i Giovenale oggidì non conviene, ma il sesso è qualcosa che va reinventato, si sa: aldilà
delle seducenti forme dei suoi feticci contemporanei.
Helena queste cose non le sa, è solo una
“ragazzina”, ma attorno al suo corpo si addensano tutti i sogni e gli incubi di
una Rio de Janeiro più nera che mai.
Ettore Fobo
***
Il romanzo può essere acquistato in prevendita a questo link.