Ultimamente il Corriere della Sera
ha un’intensa, ricca, a tratti stupefacente, congerie di attività collaterali al giornale.
C’è stata la splendida collana di poesia,
curata da Nicola Crocetti, la
bella iniziativa di graphic journalism, l’interessante collana di autrici femminili,
curata da Dacia Maraini, e ora approda nelle edicole una riedizione di
trenta romanzi di uno scrittore che a suo modo ha segnato un’ epoca, soprattutto
come autore di gialli e di noir: Giorgio
Scerbanenco. E’ un autore che desidero leggere da tempo e che non ho affrontato
ancora, perché non ho trovato mai suoi libri in giro, pur cercandoli, l’iniziativa del Corriere colma così un vuoto.
Il primo romanzo pubblicato è “Venere privata” che risale al 1966. E’ anche il primo in cui compare il personaggio
simbolo di Duca Lamberti, medico radiato
dall’albo per aver compiuto un’eutanasia con un’ iniezione su una paziente
terminale.
Duca Lamberti è per quei tempi un personaggio innovativo in
ambito della letteratura noir ma a suo modo
è il classico antieroe, in questo
romanzo si trova a indagare, suo malgrado, nell’oscuro mondo della
prostituzione milanese.
E’ un romanzo interessante con una scrittura limpida, con la sua durezza
di testimonianza della Milano anni ‘60. Non vorrei svilirlo definendolo solo interessante, si tratta di un bel romanzo, che
funziona abbastanza bene ma che denuncia alcuni limiti. Se i personaggi sono
credibili e affascinanti, alcuni aspetti della trama mi hanno lasciato
perplesso. Trovo che le motivazioni con cui alcuni personaggi (oltre a Duca
Lamberti, penso a Livia Ussaro) si gettano sulle tracce degli assassini e degli sfruttatori sessuali, siano un po’ vaghe, sembra che non valgano il
rischio. E’ che, in fondo,
Venere privata, anche se lo dissimula, è un romanzo di eroi ed eroine, di atti di
sacrificio, di dedizione alla causa della giustizia, in cui viene iniziato un
ciclo e si ha la sensazione che in sé sia
come una prova generale, un preludio. I romanzi dedicati a Duca Lamberti
sono, infatti, quattro. La fama
internazionale arrivò per Scerbanenco proprio grazie a questi romanzi.
Quella che emerge prepotentemente
è Milano, la Milano degli anni ‘60, nella topografia delle sue strade, nella
crudeltà del suo anonimato, nella durezza ferita dello stesso personaggio
principale, Duca Lamberti, che viene coinvolto nella vicenda perché deve, da medico, sebbene radiato dall’Ordine, aiutare un ragazzo a smettere di bere.
Lamberti ci metterà poco a capire che questo ragazzo, Davide Auseri, nasconde dentro di sé l’ombra di un segreto.
La sensazione, però, è
che la trama scorra via in un lampo, dietro “Venere privata” si intuisce la necessità di un romanzo più corposo, che sviluppasse più in profondità i
personaggi. E’ il capitolo primo di una quadrilogia e in quanto tale è
fisiologicamente monco.
I luoghi sono emblematici, dalla
periferia di Rogoredo a piazza Piola, da via Verdi a piazza della Scala, Milano
è fotografata con una minuzia quasi ossessiva e pare in fondo un luogo
spettrale, notturno, gelido, perché Scerbanenco indaga dentro l’oscurità della
prostituzione, dove si muovono personaggi che fondono la più mostruosa crudeltà
alla perversione sadica, mettendo la propria psicopatologia al servizio della Mafia, che organizza lo
sfruttamento della prostitute con precisione scientifica.
La Venere privata del titolo in
fondo non può esistere: cioè la figura di una prostituta occasionale, che
agisce da sola, senza essere cooptata da un struttura organizzativa
delinquenziale.
Il romanzo si esalta nella ricostruzione di una Milano di notte che ha
una notevole profondità onirica.
Oltretutto“ Venere privata” viene letto
con avidità perché la storia funziona, lascia gioco forza nella mente come
l’impressione di qualcosa di incompiuto ma anche la sensazione che Giorgio Scerbanenco
sia un autore da leggere e che la sua idea di realismo sia una visione della
letteratura che può essere ancora attuale e, per quel che più conta, raccontarci l’umanità nelle sue lacerazioni. A suo modo, egli è sicuramente un classico
e questa collana del Corriere, ben
curata anche graficamente, con una bella copertina a firma di Iacopo
Bruno, può essere vista come la sua consacrazione postuma a più di quarant’anni
dalla morte avvenuta nel 1969. Unica nota negativa, almeno per il momento: la
mancanza di un apparato critico, che contestualizzi l’opera di Scerbanenco, e
ne cristallizzi le linee guida. C’è in
questa prima uscita, però, oltre al
romanzo, un scritto autobiografico molto interessante dello scrittore e in
fondo è più giusto iniziare così.