Gottfried Benn

mercoledì 29 dicembre 2021



“Già fra i centocinquanta geni  dell’Occidente troviamo cinquanta casi di tendenze omoerotiche e istinti deviati, legioni di consumatori di droghe, i celibi e senza figli sono la regola, alta la percentuale di storpi e degenerati, ovunque ci si accosti all’ elemento produttivo, esso è intessuto di anomalie, stigmate, parossismi. Naturalmente esistono anche Goethe e Rubens, ricchi, stabili, quasi mai assunto alcol né droghe, si volesse mai immaginare gli dei: eccoli, ma loro sono un’eccezione, è un’evidenza dimostrata, un’evidenza statistica, che l’arte degli ultimi cinque secoli è stata,  in massima parte, l’arte potenziata di psicopatici, alcolizzati, disadattati, vagabondi, di casa negli ospizi di mendicità, nevrotici, pervertiti, con le orecchie ad ansa – questa fu la loro vita e i loro busti si ergono nell’abbazia di Westminster e al Pantheon, e al di sopra dell’uno e dell’altro si ergono le loro opere: perfette, eterne, fioritura e fulgore del mondo.”

 

da “Doppia vita” - Gottfried Benn- traduzione Amelia Valtolina – ottobre 2021 - Adelphi

 

Un incipit di Irvin D. Yalom

giovedì 23 dicembre 2021

 



“Amsterdam - aprile 1656

Mentre gli ultimi raggi di luce occhieggiano dalle acque dello Zwanenburgwal, Amsterdam chiude i battenti. I tintori raccolgono le stoffe color magenta e cremisi che sono state stese ad asciugare sulle rive di pietra del canale. I mercanti arrotolano i tendoni e chiudono le saracinesche delle loro bancarelle. Qualche operaio che arranca verso casa si ferma per uno spuntino e un bicchiere di grappa olandese ai chioschi d’aringhe lungo il canale per poi continuare la sua strada. Amsterdam si muove lentamente: la città è in lutto, sta ancora cercando di riprendersi dalla pestilenza che solo pochi mesi prima ha ucciso una persona su nove.”

da “Il problema Spinoza”- Irvin D. Yalom – traduzione di Serena Prina- agosto 2021- Neri Pozza Editore

Omissis

sabato 11 dicembre 2021



Lankenauta ha appena pubblicato una mia riflessione sulla silloge “Omissis” di Carlo Gregorio Bellinvia, edita da Arcipelago itaca. Buona lettura.

Ettore Fobo

 

Stephen King

lunedì 6 dicembre 2021



“È un meccanismo perfetto e bilanciato di voci ed echi che fanno da rotelle e leve, onirico orologio che rintocca oltre il vetro degli arcani che chiamiamo vita. Oltre? Sotto? Intorno? Caos, tempeste. Uomini con martelli, uomini con coltelli, uomini con pistole. Donne che pervertono ciò che non possono dominare e denigrano ciò che non possono capire. Un universo di orrore e smarrimento circonda un palcoscenico illuminato, sul quale noi mortali danziamo per sfidare le tenebre.”

da “22.11.63”- Stephen King- traduzione Wu Ming 1- Sperling e Kupfer

 

Il riecheggiar del dire oltre il concetto

sabato 20 novembre 2021



Da lettore di poesia conosco ormai la sensazione di restare, leggendola, sempre con il fiato sospeso, in attesa che un pensiero squarci il velo del chiacchiericcio interiore e si riveli rivelatorio di una dimensione del reale a me fino allora preclusa. Questo accade davanti alla vera poesia e non alle sue molte falsificazioni o semplificazioni sentimentali o presunte tali. Benché l’espressione vera poesia sia forse un po’ fatua essa stessa, se dietro di essa si cela qualche professorone con il ditone alzato.

In poesia il “cosa accade?” ha risonanze dentro le vertigini di un’alchimia profonda delle parole, sostanziale, originaria, vediamo lo schiudersi di pensiero dal contatto fra energie semantiche differenti e spesso opposte ma in un modo così segreto ed enigmatico che la confusione e l’ambiguità sono massime, e la logica stessa viene incendiata dalla sua profanazione più rigorosa. La poesia, violando il principio di non contraddizione sistematicamente, esplora una dimensione più ampia dello spettro dell’esperienza, ben oltre gli opprimenti dualismi del Significato Unico Dio, nelle regioni di una polifonia musicale che si fa beffe di ogni teologia dell’ego, di quell’ego cartesiano che si crede separato dal mondo, mondo di monadi tra l’altro, che il capitalismo vuole in lotta fra loro.

Nessuna empatia, nessuna risonanza, quindi nessuna musica perché empatia significa risuonare con l’altrui musica interiore. Si tratta di finirla con quella che Fondane chiama “la tutela del luogo comune” che tanto peso ha nelle umane vicende e che ha fatto scrivere a Nietzsche “Ogni parola è pregiudizio”.

Il fatto che il luogo comune ci tuteli e in un certo senso ci conservi è vera. Chi è per la dissipazione, la depense, è per un’altra economia che quella regolata dal tragico e molesto buon senso che è un modo diverso di chiamare il luogo comune che,  se ci conserva,  lo fa a danno delle nostre potenzialità di esploratori psichici. La pazzia? È un rischio. Che questa vitale follia degeneri in malattia mentale è una possibilità. Già Platone “il poeta non sa quel che dice”. È l’ispirato folle che sa fingersi sapiente ma non appartiene alla schiera dei saggi dei forti dei giusti. Ma non appartiene neanche alla schiera di chi ha smarrito ogni chance comunicativa, intrappolato in se stesso e solitario fra  le mura del carcere che è il suo cranio dove solo rimbomba il suono delle sue catene: l’alienato classico. Tuttavia il poeta, scrive Adorno, ha ormai come suo interlocutore privilegiato solo Dio, purché morto. E questo è un fatto.

La poesia è quella musica che sa intercettare le profondità del silenzio originario dove le parole dell’essere si dischiudono. La poesia non parla ma dice. Che cosa dice? L’infinita rotazione semantica dei significanti non è dissimile dal nulla. La poesia dice il nulla ma perché questo accada il poeta deve scomparire in questo nulla e lasciare che forze impersonali sgorghino nel canto che egli non conosce e che  lo trascendono. Da qui l’universalità della poesia. Se l’ego vien meno, se Dio, il suo garante ontologico, si dissolve, emergono sotto il segno che, ci ricorda Sini, è un residuo teologico, tutte le potenze numinose e oscure che preesistono a ogni concettualizzazione.

Così  Carmelo Bene può dare della poesia questa definizione tranchant: ”La poesia è  il riecheggiar del dire oltre il concetto.“ Benissimo. E dunque? Ogni concetto esploso è un’infinità di frammenti con cui eliotianamente puntellare le nostre rovine? O piuttosto la materia per una riformulazione, per nuove cristallizzazioni, nuovi eternoritornanti valori? Le parole non sono isole sono piuttosto ponti. Verso l’ignoto? E sia.