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Ti dico astrali

mercoledì 13 settembre 2023

 

 


Mi rendo sempre più conto che il blog sta diventando, insieme alle mie altre interazioni social, una sorta di diario pubblico in cui io registro quel poco o pochissimo che voglio traspaia di me stesso, in presa diretta,  per così dire, perché penso che tutto ciò che ambisce a un' attualità sia da per sempre corrotto e sono stanco, da buon criceto di mondo, di far girare la ruota dei fatti, come qualsiasi funzionario dell’apparato metafisico, che ci determina profondamente,  opprimendoci spesso in maniera mostruosa, aldilà dei fatti, reali o immaginari che siano. È il leopardiano ”brutto poter che,  ascoso, a comun danno impera”.

 Questo per lasciare una traccia di me nel risicato non sense che ci assedia da più parti. E allora oggi ho ricevuto notizia di essere stato insignito al Premio Apollo Dionisiaco 2023 del Riconoscimento al Merito con la poesia “Ti dico astrali”. La poesia in passato è stata premiata al concorso Ossi dei seppia con il Gran Premio Speciale della Giuria e nel 2020 è risultata fra le poesie  finaliste al Premio Lorenzo Montano.

Essa è stata pubblicata nell’antologia collettiva “Fiori del Caos” , edita quest’anno da Kipple Officina Libraria.

Eccola di seguito:

a Piermaria Zannier (in memoria)



Ti dico astrali
reminiscenze senza riflessione,
come il battito del tirso
nell’osso sacro dove nasce
il serpente squamato d’innocenza.
 
Pulsazione ritmica che impiega
i millenni di una segreta strategia
per diventare tempo e mondo nella luce
imperitura,  se  il  guscio transitorio
di una tenebra profonda  ancora ci protegge.
 
Colui che dilapida venti nel segreto
dilagare nell’ebrezza e nel dono
ci assiste con il permanere
ci trema dentro con  la dissolvenza;
nella dinamica intraducibile di una danza
che dal magma incandescente della terra
sale fino a diventare una vertigine
nella mente di un dio che allo specchio
 vede se stesso moltiplicarsi e divenire.
 
Così l’aedo la metamorfosi onora
disperdendo il suo volto nell’eccesso,
mentre nella sabbia con il tirso
disegna la fugacità e la contraddice.
 
Ettore Fobo

Crudalinfa – la poesia di Giovanna Menegus

lunedì 25 luglio 2016




Quella di Giovanna Menegus è una poesia che si segnala subito per il suo nitore, è una poesia tersa che racconta l’esperienza umana in ciò che essa ha di essenziale, la sua linfa, appunto come dice il nome stesso del sito da lei gestito, Crudalinfa. E così è la natura a essere spesso protagonista, in ciò che essa ha di enigmatico e di generante, di sorgivo. Così i tigli, le robinie, i platani, i larici, diventano un segno, un’epifania per il passante che li contempla e rimane come inebriato dai loro freschi colori. La natura è il luogo di un’azione costante, di una generazione incessante. La poesia ne raccoglie umilmente il canto, ne riporta la potenza di rivelazione dagli accenti orfici. Attenzione, però, nulla di più fragile ed evanescente della poesia, che vive per un attimo sul confine del silenzio, prima di sparire, di fondersi con esso, ritornando così alla sua origine:

“Il verso è   ora 
subito poi svanisce
si cancella
sgorga dal silenzio
dal silenzio
viene riassorbito”

Ciò nonostante il poeta, che nulla possiede, è destinato a creare l’intero mondo, che è suono, luce, linguaggio, canto. Perciò nulla di meglio che usare una foglia di magnolia come segnalibro per un testo di Dylan Thomas, a suggellare così la contiguità fra verso  e natura.   

Questa poesia è costellata di rimandi ad altri poeti, Dickinson, Rilke, Bonnefoy, Merini, Sexton, Eluard, Rosselli, fra gli altri, a definire così la poesia come colloquio fra i secoli e i mondi, dove un’intersoggettività segreta incontra l’alterità. La citazione di Marina Cvetaeva che Giovanna Menegus riporta è perciò emblematica, ”la lettura è prima di tutto con-creazione”, dove si esprime una grande verità: il lettore crea insieme all’autore i versi che crede di leggere. Anche in Borges, fra gli altri, si trova una consapevolezza simile. Forse questo sforzo richiesto al lettore è uno dei motivi per cui la poesia è così spesso negletta.

I poeti entrano e ci conducono nella “vertiginosa fessura fra tutto e nulla”, si dibattono “fra disperazione del silenzio/e corpo a corpo/ con la forma”, e sono spesso voci  femminili che Giovanna Menegus incontra in questo viaggio fra vertigine e  stupore, fra cupio dissolvi  ed estasi, fra abbandono e creazione.  


La vita stessa può essere eco del mare in una conchiglia o la musichetta irritante di un carillon; Dio stesso può essere ridotto dall’uomo a diventare un grigio contabile di “spiccioli raccolti durante la messa”, poiché si cerca di quantificare “l’ineffabile” forse per non esserne sopraffatti; anche a Milano soffia come un’aria di mare, strana magia, che avvertono tutti, misteriosamente, dai manager che paiono squali muniti di valigetta al senegalese che sta all’angolo. Ma c’è anche un’amara constatazione della “dittatura delle immagini” che ci impone la nostra società, dove “il nostro infinito è un centro commerciale /senza centro” e gli umani diventano tutti  ugualmente invisibili”.
In qualche modo, però, le parole ci salvano dall’essere sommersi dalla vacuità contemporanea.

Così Menegus scrive: “Le parole devono suonare insieme, /generate vive/d’uno stesso seme:/fiorire tenere come viole,/maturare su un muro/volto al sole.” Ancora una volta per sottolineare l’urgenza di una parola naturale come la viola che può fiorire o seccarsi.

Tuttavia è il silenzio che dà forma alla parola, è il silenzio che ci dà senso, e che ci ospita - “inesauribile grembo di silenzio” viene chiamato - come confermano questi  versi che concludono la sezione intitolata Illuminazioni, intonazioni, etc:

“Nell’arco teso del silenzio
sospese le parole e i suoni
aboliti tutti – solo qui abito,
solo qui m’è data forma d’esistenza”.


Il verbo è “foresta pietrificata”, le sillabe sono foglie, il canto ha radici, i larici profondono le loro benedizioni, il linguaggio del poeta s’immerge nelle profondità terrestri, questa poesia racconta se stessa come un evento naturale, come manifestazione di un’armonia segreta ma profondamente connessa con le vibrazioni primordiali della vita.


Così la poesia di Giovanna Menegus oscilla fra silenzio e rivelazione, fra istanze bucoliche e rivoli orfici -  raccontando anche la quotidianità dei non luoghi (banche, discount,  centri commerciali) -   e nella sua semplicità incantata mostra in fondo al lettore delicatezze d’altri tempi. È una poesia realistica, scevra di onirismi, mi sembra,  pittorica, con una sensibilità estrema verso il colore  e la luce, che racconta la città come agente di alienazione e la natura come luogo di una riconciliazione con le forze primigenie.


Il Web, il tempo, l’oblio

martedì 24 luglio 2012



Mi rendo conto che il blog impone la sua cadenza, e che scrivere  o pubblicare un post risponda a un proprio orologio interno, attraverso il blog si dà un ritmo al proprio tempo. Ogni blog ha la sua pulsazione, come quella di una stella, che annuncia la dissoluzione del tempo stesso, perché su internet tutto si svolge più veloce e “ Il mezzo è il messaggio”.  

 Attraverso un blog, piccolo strumento, partecipare all’impresa collettiva di costruire una memoria, o addirittura una mente universale,  che sembra lo scopo della nostra nascente epoca. Tutto procede però a ritmo di dissoluzioni, e ho il sospetto che di tutto questo sforzo fra un secolo non resterà  nulla. Penso che qualcosa esisterà a livello di frammento. Ma Internet dà l’idea, spossante ed esaltante al tempo stesso,  di un’espansione illimitata delle possibilità di essere in contatto  e che tutto sia memorizzato. Sembra aver sconfitto l’oblio ma io ho sempre avuto la sensazione che lavori  per esso.

La molteplicità e la velocità della rete sono affascinanti come un gioco. E’ bello essere connessi, è una sensazione di unità e insieme  di massima dispersione.  Ritengo che internet abbia reso la televisione come passatempo assolutamente obsoleta.  Ho la sensazione però che tutto svanirà, che altre tecnologie renderanno il Web stesso obsoleto. Per il momento il Web è il massimo come multidisciplinarietà, come simultaneità, come  accesso immediato. Inoltre,  sento che dietro c’è un’illusione. E mi piace.

 ***
 Strani giorni  ha la sua chiusura estiva. Ci risentiamo  a fine agosto, inizio  settembre.  Buone vacanze a tutti.

Chiude “Lo Specchio di Nigromontanus"

sabato 2 giugno 2012





“Noi viviamo di questa possibilità: sfuggire alle funzioni.”
Ernst Jünger, da “ Trattato del Ribelle

Qualche giorno fa Yanez ha posto fine al suo blog in progress, Lo Specchio di Nigromontanus, che è stata negli anni una delle letture più appassionanti  per me nel pur ricco materiale dei blog.  

Nigromontanus, parlando del nostro presente come fosse un mito o una memoria ormai sepolta, per me ha saputo incarnare una differenza, una resistenza, cercando di svelare il funzionamento delle nostre mitologie contemporanee, forse tentando di smascherare il reale nella tana del sogno, o più semplicemente mostrandoci che la gran desolazione avanza e che bisogna resistere; in qualche modo bisogna tenerle testa e farlo, possibilmente, da uomini liberi.
    
Quelli raccolti nel blog erano - e sono tuttora, perché il blog non è stato cancellato- scritti che mescolavano intuizioni filosofiche con l’evocazione poetica e con interessanti vertigini narrative.

 Quella di Yanez - che ha saputo dissimulare se stesso e la figura dell’autore- è parsa una voce fuori dal coro o meglio una voce che in pieno mercato, come quella di Epitteto, parla al proprio orecchio. Il personaggio di Nigromontanus gli è servito per portare i suoi lettori in un’atmosfera di meraviglia, come quando si percepisce qualcosa sostanzialmente fuori dal tempo.   Ne è venuta fuori un’idea di sapienza impossibile, una finzione di sapienza, perché la realtà è ambigua,  ne è  venuta fuori  la  consapevolezza che forse tutto è perduto per noi moderni,  arsi dalla Tecnica e dai suoi nuovi miti, divenuti ormai meri funzionari degli apparati della Tecnica.  Ma anche se forse  tutto è perduto,  fissando negli occhi l’orrore, non facendoci sommergere,  possiamo  resistere allo sfacelo,  recuperando  i  bagliori di un’antica bellezza.

Resa misteriosa da una prosa affascinante, decentrata rispetto al discorso comune, finzione capace di contenere verità scomode, ma letteralmente sotto gli occhi di tutti, questa raccolta di scritti sospesi fra filosofia e narrativa- nata come tributo a Ernst Jünger e al suo personaggio Nigromontanus- è stata, secondo me, una piccola scheggia di consapevolezza nel grigio dormiveglia che ci fa da sfondo: oso dire di una consapevolezza stranamente sottratta ai pericolosi sproloqui di quella cosa chiamata attualità.  

Una prosa evocativa ha messo il blog in una zona di pericolo e di mistero, che assomiglia tanto alla letteratura, a quella letteratura che noi cerchiamo come ossigeno per i nostri pensieri.

Sotto il segno di Jünger, ” la grande testa vulcanica”, maestro che dà speranza con il rigore e l’esattezza della sua prosa,   “ Lo Specchio di Nigromontanus”  è stata   per me l’ennesima  dimostrazione che grande è la potenza dello strumento blog,  quando è affidato, come nel caso di Yanez, a una persona di  talento, oltretutto abitata da una visione, capace di creare una mistificazione così efficace e coerente. 

Il suo talento è consistito, per sua scelta, soprattutto nell’onorare l’opera di un maestro-  parola antica e colma di risonanze- Jünger, appunto, del quale ricorrono tuttora nel blog aforismi e detti memorabili tratti dalle sue opere. Frammenti sempre illuminanti, scelti con cura, con quella cura che solo la passione può dare. Tra questi voglio citare, oltre a quella posta in esergo, almeno questa frase, anch’essa tratta da “Trattato del Ribelle”:

La poesia conferma che l’uomo è potuto penetrare nei giardini fuori del tempo.”

Il blog si chiude così, con queste parole, che ne sintetizzano il percorso:

Nel complesso, dunque, queste pagine rappresentano un miscuglio di invenzioni là dove dovrebbe esservi verità, e di verità là dove dovrebbe esservi invenzione.”

Così, attraverso il suo blog, Yanez ha mostrato ai suoi lettori qualcosa di sempre più raro: una visione del mondo, uno stile.

Chiude "La scuola dei cadaveri"

martedì 28 giugno 2011


Ora che Daniz ha deciso di cancellare il suo blog "La scuola dei cadaveri" mi sento di dire, e non penso di stare esagerando, che la blogosfera diventa più povera. In questi pochi mesi in cui ho seguito il blog, infatti, mi sono imbattuto in una delle scritture più intense, stranite e stranianti, che mi è capitato di leggere on line.

Un gioco stilistico, anche fastidioso, intelligentemente cattivo, scabro ma con le sue belle piroette e le sue sacrosante pernacchie. Ed è un peccato che non potremo accedere più a esse. Ma, anche se dolorosa, è bella la scelta radicale di Daniz, che spero però abbia una copia delle sue creazioni. Ecco, scrivo queste poche righe e non vi nascondo una certa emozione. Lascerò per un po’ il link, come testimonianza di un passaggio e paesaggio non comune.

Comunque, complimenti, Daniz, la tua è stata un’operazione artistica, e come tale, giustamente, votata all’effimero.