Pochi scrittori hanno la maestria
di Yukio Mishima nel ritrarre la psicologia dei propri personaggi. In
particolare in questo La scuola della
carne, Mishima è abile soprattutto nel tratteggiare i contorni dei propri
personaggi femminili, su tutte la protagonista Asano Taeko, di cui come
nell’usanza nipponica riportiamo prima il cognome poi il nome. Il romanzo risale
al 1963, e dopo cinquant’anni, per esattezza nel novembre del 2013, esce per la
prima volta in italiano per Feltrinelli nella traduzione di Carlotta Rapisarda.
Si tratta di un romanzo
bellissimo, che è profondamente erotico, nel senso che eros rappresenta il
fulcro della storia che, però, non ha nulla, davvero nulla di pornografico,
nessun atto sessuale vi è descritto.
Eros che conquista la mente della
protagonista, una borghese di circa quarant’anni, proprietaria di una boutique a Tokyo, che
letteralmente perde la testa per un ragazzo dei bassifondi, che in maniera del
tutto inspiegabile conquista il suo cuore e soprattutto il suo corpo.
Capacità di ritrarre le
psicologie, dicevamo, e soprattutto, di raccontare una storia ambigua,
profondamente carnale, raccontando con tono distaccato la complessità della
realtà erotica. Ma non è l’atto sessuale in sé, nella sua ripetitività
stereotipata, che interessa il grande scrittore giapponese bensì la molto più
complicata ”nudità delle emozioni”,
per usare la sua stessa espressione.
E allora il mistero trionfa
perché nulla, né negli atti di questi personaggi, né nelle loro riflessioni, è
prevedibile: su tutto domina l’enigma erotico con le sue molteplici malie, con
i suoi numerosi paradossi. Ed è il mistero a legare i due protagonisti della
vicenda che si rivelerà, soprattutto per Taeko, pedagogica, dove l’insegnamento
principale è già raccontato dal titolo che se ci parla di una scuola della
carne, ci racconta della straordinaria complessità del sesso.
E sarà una storia d’inganni, una
storia di contraddizioni fra mente e corpo, dove la dignità borghese rischierà
di essere frantumata dall’irruenza della
passione.
“Nudità delle emozioni” scrive Mishima, perché la sua protagonista, che si rivelerà vittima di un’illusione, si
lascia andare, si denuda appunto, perde il controllo ma non completamente
perché il percorso erotico si rivela un cammino iniziatico che la muta nel
profondo.
Profondamente femminile, la
scrittura di Mishima è una magia che agisce nel profondo di coloro che lo
leggono, un sapiente miscuglio di raffinatezza e brutalità sembra essere il
sesso raccontato dallo scrittore giapponese, che si conferma in questo romanzo
una delle grandi voci del Novecento.
Il romanzo mette in scena una
vicenda simile per certi versi a quella raccontata da Guy de Maupassant in Bel ami, che per altri versi ricorda le
atmosfere di un film di Resnais, Hiroshima
mon amour, e al tempo stesso
racconta di una donna, Taeko,
intrappolata nel labirinto di Eros, elegante signora giapponese presa nel
vortice di una passione che non sa capire.
Personalmente uso poco la parola
capolavoro per descrivere un libro. Credo che La scuola della carne sia uno di quei romanzi per cui essa non è
sprecata. Romanzo in cui eros è una realtà potente, magica e pericolosa, contro
la quale, come nelle tragedie greche, la mente umana non può nulla, esso
soggioga la protagonista in una maniera del tutto inaspettata. Romanzo in cui
le delicatezze dell’amore erotico s’incontrano con la crudeltà e in cui la
passione pare essere un letale narcotico. Romanzo in cui l’intelligenza
femminile con la sua capacità di empatia e pietà soverchia la bruta natura
maschile, l’amante di Taeko, Senkhichi, si rivelerà, infatti, inadatto a
qualsiasi ruolo tragico, fosse anche quello della vittima, mostrando di essere
soltanto un’inconsistente marionetta nelle mani dell’amante. Chi è la vittima, chi è il carnefice? Si
chiede l’anonimo estensore della terza di copertina. Secondo me, è il maschile
a soccombere, nella sua incapacità di leggere le emozioni, nella sua
indifferenza verso la complessità, mentre il femminile mostra tutta la sua
potenza di comprensione, la sua capacità di assumere su di sé tutta la
tragicità, la conflittualità dell’esistenza. Bisogna lodare Mishima anche per
la trama, lineare e avvincente, piena di colpi di scena che, come sempre nella
grande letteratura, non hanno nulla di artificioso, ma paiono evidenti e
necessari, del tutto naturali e non forzati.