Campo de’ Fiori
Patate, bulli, pertiche, pignatte,
uccelli, gufi, plastica, tegami,
camicie, pantaloni, ciarlatani,
vere occasioni che non sono tali.
Prezzemolo, Frascati, agli, ciabatte,
cravatte, funghi, stoffe, gamberetti,
lire scorrenti con cui metti l’ali,
mille volte tu sciogli e mille leghi.
Campo de’ Fiori, Campo de las Flores,
prodigo dispensiere di colori,
luce, grazia, clamore, complimenti…
Sopra i tuoi vivi fuochi, ormai smorzati,
tristissimo monarca dei mercati,
arde Giordano Bruno eternamente.
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da “Roma, pericolo per i
viandanti" - Rafael Alberti - traduzione di Vittorio Bodini - Mondadori - marzo 1972
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La poesia non è una merce e
dunque non può essere mercificata, ha
mostrato Pasolini, in maniera
indubitabile, scientificamente, nella
scienza propria dei poeti, quella del
canto, della parola purificata, risvegliata dal sonno antiestetico della mera
comunicazione. Non è una merce perché non può essere consumata, non si logora
con l’uso ma anzi più viene letta e meditata più risplende. È il caso di questi
versi scritti dal poeta spagnolo Rafael Alberti, nella splendida versione in
endecasillabi fluenti di Vittorio Bodini, poeta anch’egli.
La poesia non sa che farsene
dell’io del poeta che come vedete in questi versi, per esempio, è completamente assente; io, questo
pronome che certifica solo la nostra nullità di spettri nel panorama
mobile del mondo, mondo qui
splendidamente reso nel suo dinamismo pittorico, melodico; il mercato di Campo de’ Fiori è oggettivato
nello spettacolo di merci che lo contraddistingue. Enumerazione caotica che
mostra la cifra della modernità in cui già Marx vedeva proprio un frenetico
accumularsi di merci. Più recentemente il poeta italiano Guido Oldani, con il suo Realismo terminale, ha visto nella merce la forza che ha mutato
alla radice il modo stesso di fare poesia nel mondo.
È qui raffigurato un tumulto di suoni, materie,
colori, contrattazioni, con il denaro
che passa di mano in mano; qualcuno viene truffato, qualcuno truffa, su tutto
svetta questa luce clamorosa, in cui i
colori si mescolano. Al di sopra di tutti questi colori vorticanti sembra
trionfare il rosso del rogo di Giordano Bruno, la cui statua domina la piazza, eternamente nel suo ardore riecheggiando
la Storia, che non è lo sfondo ma l’ambiente stesso in cui questa città, Roma,
è immersa.
Ed eccola nei versi di questa raccolta del poeta spagnolo, Rafael
Alberti: Roma, pericolo per i viandanti,
che uscì per Mondadori, nella prestigiosa collana Lo Specchio, nel
marzo 1972, pochi mesi dopo che il poeta fosse
insignito del Premio Nobel per la
letteratura.
Qui, comunque, più che la Roma storica, museo a cielo aperto,
è quella dei vicoli a essere protagonista, con il suo tumulto, sospeso fra festa e lutto,
città cui l’apparenza di gaudente dolce vita è violata da una profonda
inclinazione alla decadenza, quella decadenza propria di quelle città che molto
hanno vissuto e fagocitato: anime, corpi, secoli, ere, popoli, tumulti…