sabato 27 maggio 2017
Nutro qualche riserva verso i
romanzi che hanno come titolo versi di canzoni famose. Tuttavia, Massimo
Carlotto, in questo Niente, più niente al
mondo, ne fa comunque un uso intelligente. Il verso della canzone di Gino
Paoli, Il cielo in una stanza,
diventa, infatti, un allucinato refrain per
la protagonista di questo intenso monologo, una colf torinese di mezza età, con
marito ex metalmeccanico divenuto magazziniere e la figlia che svolge attività
di Pony Express. Una famiglia
torinese all’apparenza “normale” in realtà agitata all’interno da
insoddisfazioni e da un’infelicità letali. Si tratta di un ritratto sociologico
dell’Italia davvero impietoso e inquietante.
Attraverso la vieta e ostentata
normalità della donna di cui Carlotto scrive il monologo, viene descritta
un’Italia soffocata dalla televisione e dai suoi luoghi comuni, in perenne crisi economica, che mina le
sicurezze esistenziali di questi personaggi, in un vuoto culturale abissale che schiaccia
la protagonista e la porta in territori di pura psicosi.
Questo è un romanzo breve o racconto lungo in
cui Carlotto si esprime con semplicità e immediatezza dimostrando ancora una
volta di essere uno scrittore di talento.
È un noir questo monologo? Sì perché vi sono alcuni elementi, compreso
un delitto, che appartengono al genere ma è un noir
vagamente atipico in cui l’aspetto sociologico prende il sopravvento e in
cui viene raccontata un’umanità di consumatori alienati e disperati. Una
famiglia media del ceto povero ma non
così povera da non avere desideri di riscatto sociale. Ma la mediocrità vince e
si scopre forse che è la mediocrità nazional popolare di un intero paese.
Il monologo è breve, circa 70
pagine, ma denso. Si apprezza la capacità mimetica di Carlotto nel ricreare
sulla pagina la mentalità di una donna gretta, razzista, qualunquista, e far
diventare questo monologo il ritratto della parte peggiore del nostro paese. È,
infatti, un romanzo molto italiano questo e bisogna decidere se è un demerito o
un pregio. Io propendo per la seconda ipotesi e penso che Niente, più niente al mondo sia un gioiellino di letteratura nera
mescolata a una riflessione sociale profonda e veritiera.
Il delirio della protagonista, di
cui non viene citato il nome, è la trama e la forma di un’alienazione
collettiva, in un paese in cui, soprattutto in quegli anni - il romanzo fu
pubblicato da E/O nel 2004, la televisione è diventata, più ancora che maestra
di vita come la Storia, le vita e la Storia stesse. Niente,
più niente al mondo diventa così romanzo sull’esclusione che la televisione
comunica, condannando tutti alla
marginalità di spettatori.
Viene svolta una critica
implicita, e per questo tanto più efficace, a una società che mercifica tutto e
costringe gli esseri umani all’avvilente condizione di consumatori. Perciò la rivincita della figlia e la sua
unica possibilità di autoaffermazione sarà semplicemente comprare collezioni di
oggetti inutili in edicola; per la madre il sogno che la figlia sfondi in
televisione o si trovi un “buon partito”
diventerà un’ossessione di scalata sociale; il padre è la classica figura detronizzata e
sconfitta del nostro tempo, in cui i padri hanno perso autorevolezza.
Un uomo buono che la moglie
disprezza e la figlia ama e forse venera, perché a differenza della madre
accetta la vita così com’è e non come la rappresenta il televisore, protagonista
del monologo al pari dei personaggi, luogo in cui l’immaginario povero della
protagonista si può riflettere nel suo delirio oppure agente davvero segreto della sua follia e, in fondo, della
follia di un intero paese.