mercoledì 19 aprile 2017
Bisogna essere grati a chi come
Zygmunt Bauman, sociologo polacco morto pochi mesi fa, ha affilato l’arma di
una critica alla società che affonda
nella profondità di un pensiero che, pur cogliendo le tragedie del nostro
tempo, sa mostrare a noi naufraghi una sintesi di lunghe riflessioni cui aggrapparsi per non sprofondare nel
silenzio. In un mondo sempre più alla deriva, pensare il mondo e questa sua deriva,
è una grande sfida.
Così bisogna leggere questo suo
saggio, La solitudine del cittadino
globale, edito nuovamente da Feltrinelli nel 2015, nella traduzione di
Giovanna Bettini, anche come una sfida lanciata contro il pensiero unico e il
conformismo ormai militante di chi precipita nell’apatia e nel silenzio. L’edizione
originale in inglese è del 1999, eppure la sua attualità non è del tutto venuta
meno, perché alcuni temi di questo nuovo millennio vi sono già abbozzati: l’impotenza
dell’individuo, il collasso e la paralisi della politica, l’onnipotenza del
Mercato con la conseguente insicurezza generalizzata, la precarietà, la
solitudine, la crisi del modello di comunità e di famiglia e la frustrazione di
un individualismo vacuo, l’incertezza endemica, la globalizzazione, la paura…
Oggi alcune tesi possono apparire
anche scontate solo perché sono diventate pane comune di un discorso collettivo
che si è sviluppato con esse. Centralità di Bauman nella cultura contemporanea.
Il concetto di “società liquida” ha lo stesso impatto o addirittura maggiore che
negli anni Sessanta poteva aver avuto il termine ”società dello spettacolo” di Debord o quello di “ società del controllo”. Bisogna
intendersi su quale sia il versante su cui opera Bauman.
Egli vede con chiarezza quel “disfacimento della società” non dettato
da una generica crisi di valori ma da un incrinarsi nella capacità di giudicare
dovuto all’influsso del consumo, di un mondo fatto per essere consumato e non
più realmente esperito. È il trionfo di edonismo superficiale e imposto dal
Mercato e legato al soddisfacimento immediato, che la società con i suoi metodi
coercitivi impone come unica possibilità per vivere una vita piena. Non c’è
alternativa, come dicono spesso i politici e ci ricorda Bauman, la mancanza di
quest’alternativa è la prova che la libertà individuale, che pure a parole è
tanto esaltata, di fatto è sacrificata. Il
consumo è regolatore della felicità e l’unica libertà concessa. Le politiche
neoliberiste che credono di esaltare l’individuo in realtà lo affossano
privandolo anche di un contesto sociale in cui è possibile condividere qualcosa
con qualcun altro.
Il mercato è la nuova legge e ci
tiene in scacco, ci domina, ci forgia, ci esilia nella solitudine di coloro che
non hanno più un luogo in cui riconoscersi simili o solidali. Così l’odio per il capro espiatorio
sembra essere l’unico collante di una società altrimenti disgregata per non
dire disintegrata. Siamo tutte delle monadi che guardano altre monadi agitarsi sullo
schermo della televisione- ai tempi non c’erano gli smartphone che forse hanno
aggiunto a questa dinamica come un quid
di demenza - luogo in cui il privato diventa pubblico in una maniera
parossistica, esasperando, però, la solitudine dell’individuo che non ha più un orizzonte di senso socialmente
determinato in cui inscrivere la propria esperienza. Tocca allora all’individuo isolato lo sforzo
di trovare un “significato agli obiettivi
della vita”. Impresa vana in un
mondo in cui pubblico e privato hanno perso la loro distinzione e si dissolvono
uno nell’altro; la scomparsa di un’agora
ha reso impossibile la condivisione e le istituzioni di senso come la famiglia
tendono a sgretolarsi. In un contesto di “società
liquida” Bauman nota come ”i poteri
veramente efficaci del nostro tempo sono essenzialmente extraterritoriali,
mentre l’azione politica resta vincolata a una dimensione locale”. Sono
questi poteri finanziari e mercantili che ci condannano a essere consumatori e
precari: il Mercato è diventato Destino.
Il saggio non appare eccessivamente datato
anche se negli ultimi dieci - quindici anni questo processo di dissoluzione ha
probabilmente avuto un’accelerazione e il fenomeno del terrorismo è diventato
sempre più cruciale.
Secondo Bauman, non esiste più quel ponte fra pubblico e
privato che per i greci era rappresentato dall’agorà. Il totalitarismo è una
realtà latente e sempre in agguato anche nel progetto delle moderne democrazie.
Il problema della libertà è in
primo piano, Bauman è chiaro nel definire cosa dovrebbe fare una società giusta
composta da individui autonomi e non etero diretti:
“Ma la società buona può – e dovrebbe – rendere i propri membri liberi,
non solo liberi in senso negativo,
cioè non obbligati a fare ciò che non vorrebbero fare, ma liberi in senso
positivo, cioè in grado di usare la
propria libertà per fare delle cose… E ciò significa in primo luogo capaci di
influire sulle proprie condizioni di vita, di elaborare il significato di “bene comune” e
di rendere le istituzioni della società conformi a quel significato. Se la
questione della paideia è
ineliminabile è perché esiste ancora il progetto democratico incompiuto di una
società autonoma composta di individui autonomi.”
Il privato deve essere tradotto
in pubblico- non nella misura parodistica dei talk show e dei cosiddetti “programmi
- verità” che solo rendono reale l’immaginario- proprio
per permettere la costruzione collettiva di quel bene comune che è il fine di
una società realmente libera, giacché,
scrive Bauman, ”La libertà individuale può essere solo il
prodotto di un impegno collettivo.”
La solitudine del cittadino globale non è per nulla un libro cupo o
disperato, Bauman non abbandona mai la speranza lucida di una palingenesi che
renda la realtà in cui viviamo più consona alle nostre aspirazioni di libertà e
di autenticità. Una delle proposte di Bauman è quella del “reddito minimo garantito” che diminuirebbe il senso di incertezza
slegando la sopravvivenza dalla vendita della propria forza lavoro. Questo non
porrebbe fine al consumismo ma ne attenuerebbe la potenza di ”necessità esistenziale”.
Il discorso di Bauman è
complesso, ricco di sottigliezze filosofiche, difficile da riprodurre,
impegnativo ma mai contorto o pedante. Il suo messaggio è ormai scolpito nella Storia,
con la forza di un’indagine che è un’anamnesi clinica fra le più importanti
espresse nel nostro tempo.
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