Ho letto La nuova lotta di classe, libro di Slavoj Žižek, edito da Ponte
alle Grazie nell’aprile 2016, per la traduzione di Vincenzo Ostuni, nella speranza di trovare qualche idea che
districasse il garbuglio rappresentato da temi più che mai attuali quali
l’ondata migratoria che interessa l’Europa e il
terrorismo islamico. Il sottotitolo del libro è, infatti, Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi
vicini.
La mia speranza, però, è andata
pressoché delusa e mi sono ritrovato in
mano il classico e proverbiale pugno di
mosche.
C’è anzi qualcosa di quasi
irritante in questa raccolta di saggi su questi temi di grande attualità; il che
fa pensare che sia difficile scrivere a caldo qualcosa di originale, o addirittura
di risolutivo, anche per un filosofo celebre come il pensatore sloveno. Il libro così si riduce a essere un’amara
constatazione delle sabbie mobili in cui ci troviamo.
Per quanto riguarda i migranti, l’idea
di partenza è così scontata da parere un semplice retaggio giornalistico:
l’Occidente è una torre d’avorio chiusa in se stessa assediata da orde di
disperati in fuga. La critica di Žižek si rivolge sia alla destra populista che
chiede di sbarrare le frontiere sia al buonismo di sinistra che pretenderebbe
di aprirle indiscriminatamente.
Ci si aspetterebbe allora una
soluzione alternativa e la si attende lungo il percorso di questo libro, tutto sommato abbastanza velleitario e confuso, ma non si capisce bene quale sia la
proposta di Žižek, a parte un generico appello a una nuova
formulazione della lotta di classe, sorta di alleanza fra lavoratori
sfruttati in Occidente e migranti che appare come vuota utopia e stanca
retorica. È in fondo un appello alla solidarietà che viene dalla disperazione e
dall’impotenza.
In uno di questi saggi il filosofo riconosce
le contraddizioni che agitano quello che una volta si chiamava proletariato,
che spesso si dimostra più reazionario della classe dominante, più incline al
razzismo, al sessismo, alle discriminazioni, fino alla cecità di chi sostiene
una politica che fa surrettiziamente il contrario dei suoi interessi di classe.
Žižek, però, non fornisce alcuna spiegazione convincente di questi fenomeni e
lascia cadere il discorso.
Più convincente quando scrive che
i migranti musulmani sono spesso portatori di una cultura inconciliabile con quella
occidentale, discorso per cui è stato sommerso di critiche su Internet, ma che,
secondo me, è una presa di posizione realistica e coraggiosa, la cui negazione
in nome dell’ideologia non fa che rafforzare i movimenti xenofobi. Meno convincente perché un po’ riduttiva l’interpretazione di matrice psicoanalitica
del terrorismo: il vero movente dei terroristi sarebbe, secondo Žižek, l’invidia verso lo stile di vita occidentale
che produrrebbe in loro una deriva nichilistica e autodistruttiva.
Ecco, dunque,
a dissuadermi nuovamente da una valutazione positiva del libro, il vuoto
appello del filosofo, riportato anche nella quarta di copertina: “Non limitatevi a rispettare gli altri:
offritegli una lotta comune, perché i
nostri problemi sono comuni: proponete un progetto universale positivo
condiviso da tutti i partecipanti, e combattete per realizzarlo”. Un po’
poco per contrastare la marea dilagante del populismo anti immigrati o per fornire una nuova visione alla sinistra
ormai soffocata dal “politicamente corretto”.
Insomma, in definitiva le
proposte in questo saggio sono labili, le interpretazioni non sono sempre
efficaci, manca un reale approfondimento; Žižek rispecchia l’odierna confusione
ideologica e non ci aiuta a superare le gravi impasse del nostro tempo, che
pure il filosofo en passant descrive
così bene:
“Oggi dov’è dunque l’Europa? Nella morsa degli Stati Uniti da un lato e
della Cina dall’altro. Stati Uniti e Cina rappresentano entrambi, da un punto di vista metafisico, la stessa
cosa: la medesima desolante frenesia della tecnica scatenata e
dell’organizzazione senza radici dell’uomo massificato.“
C’è una bella differenza fra un
filosofo e un opinionista. Mi sembra che troppo spesso in questa raccolta di
articoli Žižek si dimentichi di essere un filosofo e si accontenti di riempire
la pagina di opinioni neanche particolarmente originali, che ci aspetteremmo da
un qualsiasi redattore appena un po’ smaliziato, piuttosto che da un filosofo
di fama mondiale.
La nuova lotta di classe è, in sostanza, un libro disperato in cui
è forte la consapevolezza che ci stiamo dirigendo verso la catastrofe e che se
c’è una luce alla fine del tunnel essa non è nient’altro che “il faro del treno che ci viene addosso
dalla direzione opposta”.