Sicuramente Carver è maestro nel
creare situazioni di apparente normalità, banali, ordinarie, in cui
progressivamente irrompe qualcosa che distrugge il quadro e rivela
l’insensatezza della vita, la sua crudeltà, la sua follia. È come vedere sfaldarsi
un tessuto. Assistiamo così al disgregarsi del concetto di normalità.
Questa raccolta di racconti, Principianti, edita in Italia
originariamente da Einaudi nel 2009, nella traduzione di Riccardo Duranti, ha una storia interessante e travagliata. In
origine fu pubblicata con un titolo sicuramente più evocativo, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore.
Celebre fu l’operazione compiuta sul testo dall’editor Gordon Lish che ne tagliò oltre il 50%, contribuendo in
maniera decisiva a creare il mito di Carver autore minimalista, con quei finali
sospesi, quelle storie troncate all’improvviso, quella visione scarna e
affilata e come mancante di qualche pezzo. Leggendo Principianti, che ripropone i racconti senza i tagli dell’editor
e con i titoli originali, si ha
una visione diversa. Si entra più nella testa di Carver e meno nell’interpretazione
che ne diede Lish.
Per me il racconto più bello di
questa raccolta è Una cosa piccola ma buona, presente anche
in una delle raccolte successive intitolata
Cattedrale, dove la normalità è rappresentata da una mamma che compra la
torta per il compleanno di suo figlio
Scotty, otto anni. Questo sarà l’inizio di un racconto, che senza svelare troppo,
dimostra l’acume e la sensibilità di Carver, e ne svela i meccanismi narrativi.
Una famiglia normale, un evento quotidiano e l’imprevisto che trasforma tutto
in incubo.
Il procedimento si ripete in
altri racconti, un apparente scherzoso corteggiamento si trasforma in violenza,
la passione per un laghetto e i suoi pesci rari diventa un’ossessione che porta
con sé distruzione e morte, una partita a bingo che, per un ritardo imprevisto, rimette in discussione
la routine
di una coppia di pensionati, una banale
gita di pesca che getta un’ombra inquietante sulla vita di alcune persone, un
padre che racconta un episodio del suo passato al figlio, distruggendone le certezze, un banale
litigio da un barbiere che assume una strana valenza simbolica, un ex marito
che diventa il persecutore della sua vecchia famiglia.
Carver è probabilmente il
principale interprete dal minimalismo americano, anche se egli non si riconobbe
mai totalmente in questo movimento che fu tra l’altro forse solo un’abile
operazione di marketing letterario. Carver fu in ogni caso il precursore di tanta
narrativa americana e non solo, incentrata su un realismo scarno e su una
visione disincantata ma non cinica della realtà. I suoi personaggi sono
descritti con perizia psicologica, che si tratti di una donna che rischia di perdere
il figlio, di uomini qualunque cui il
destino mette davanti qualcosa più grande di loro, di minorati mentali affetti
da un’ossessione, la sua scrittura li esplora con precisione e ne descrive ora
la tragedia, ora la follia, ora l’accettazione di qualcosa di fatale.
E questo sembra essere in
filigrana il pensiero contenuto in questi racconti: la normalità nasconde quasi
sempre la follia e ciascuno di noi vive vite sospese fra incubo e angoscia.
Quelle descritte sono spesso tranche de
vie che hanno la sostanza di fotografie esistenziali che sembrano
nascondere un segreto che, però, non è rivelato del tutto. Così a volte i
racconti sembrano concludersi con un nulla di fatto che, però, ha a che fare
profondamente con l’estetica dell’autore. Francamente alcuni racconti sono
troppo esili e lasciano perplessi, come per esempio La calma, che narra in maniera forse un po’ contorta di un litigio
fra clienti di un barbiere. La conclusione è tipica di Carver, vi si accenna a
una storia più corposa, lasciata, però, cadere nel vuoto. O ancora non convince
il brevissimo racconto Mio, dove una
coppia che si sta lasciando si disputa violentemente il possesso del figlio
piccolo. Nel bel racconto eponimo, Principianti,
una conversazione fra amici finisce per rivelarsi uno struggente apologo
dell’amore, dimostrando che in Carver sussisteva un’anima romantica di rara
sensibilità, nonostante diversi dei suoi racconti parlino di crisi coniugali,
litigi violenti, incomprensioni profonde.
Quelle narrate in questa raccolta
sono per lo più vite accennate, momenti che raccontano qualcosa ma non lo
esauriscono, è questa la leggerezza con cui Carver avvicina la realtà
consapevole di non poter scalfire il diamante del suo nucleo essenziale. Realismo
fotografico quello dell’autore americano, in cui spesso i dettagli hanno più
peso specifico del soggetto stesso del racconto. Come se Carver volesse
raccontare qualcos’altro e fosse spinto misteriosamente a ripiegare sul
contorno. Così ciò che nella narrativa di solito è lasciato ai margini a volte
in questi racconti si prende tutta la scena.
Inoltre la sensazione è che
qualcosa ci sfugga sempre, nella letteratura, come nella vita. Da qui
probabilmente l’originalità e la modernità di Raymond Carver che, a trent’anni
dalla morte, avvenuta nel 1988, continua a insegnare qualcosa ai giovani
narratori di tutto il mondo.