Poche cose si salvano in questo
assai deludente libricino di Guido Ceronetti. Innanzitutto una frase fra
parentesi nell’incipit (“ i molti non
sono per la poesia, altro che nulla; ai molti vanno le canzoni, la propaganda,
la democrazia…”), una citazione da lui tradotta di Eraclito (Il fuoco verrà/Giudicherà ogni cosa/ E la
comprenderà”), una frase di Léon Bloy che citerò più avanti, e qualche altra traduzione da Isaia a
Rimbaud.
Il testo è una raccolta di
scritti propri, altrui, o tradotti da
Ceronetti stesso, intorno alla figura del Messia e al pensiero messianico,
declinato sotto vari aspetti, religiosi, politici, culturali. Non si tratta,
infatti, solo della visione cattolica o ebraica ma di quella buddista, con la
figura prossima ventura del Buddha Maitreya, di quella pellerossa con uno
scritto di Alce Nero, di quella ufologica con alcuni articoli New Age e infine
di quella politica, con il sogno di palingenesi rivoluzionaria di Marx ed
Engels. Ma ci sono anche spunti puramente letterari: brani di Kafka, Beckett, Blake, Hugo,
Virgilio, Dostoevskij, Ionesco, Rimbaud e anche, fra gli altri, un
estratto di una pesantezza inaudita da un romanzo di Salgari.
Da tale materiale eterogeneo non
poteva che venir fuori una confusa accozzaglia intorno a un tema ormai così
frusto che manco i catechisti ne parlano più: il tema messianico.
Per Ceronetti si rimane
avvinghiati all’umano solo così; smarrendo questa chiave di volta si smarrisce
la propria umanità.
A suggellare misticamente il
tutto una bella ma ormai abusata citazione kafkiana. “ Il Messia verrà soltanto quando non ci sarà più bisogno di lui,
arriverà solo un giorno dopo il proprio arrivo, non arriverà all’ultimo giorno,
ma dopo l’ultimo.”
Così l’insolubile paradosso di un
Messia che viene e non viene accontenta mistici e laici bisognosi di
religiosità. Un colpo al cerchio e uno alla botte.
Si legge anche una traduzione di
Rimbaud, ma si tratta di quel Rimbaud che, così decontestualizzato, avvalora la
tesi, invero balzana, di una sua
conversione al cristianesimo.
Ceronetti è un pensatore, e in
quanto tale non può essere che laico, oggi 2017, anche se leggendo questi testi
viene qualche dubbio. Rimangono, infatti, incrostazioni bibliche,
veterotestamentarie, oppure visioni gnostiche,
a condannarlo all’attesa di qualcuno che sa essere un sogno: il Messia.
Ma tutto questo armamentario
alimenta soltanto quelle “speranze cieche”, senza le quali, per
Ceronetti, non si può vivere.
Duole dirlo, da ammiratore più
che ventennale di Ceronetti ma questo Messia
è un libricino abbastanza inutile,
sulla scorta di un altro uscito per Einaudi “Ti saluto mio secolo crudele”, che
riportava brani altrui per sviscerare l’enigma del Novecento, senza, però, dare
l’impronta del suo stile di scrittura inimitabile e prezioso.
Anche le poesie riportate in
questo Messia, edito da Adelphi
nel luglio 2017, sono fragili, poco
interessanti se non addirittura brutte ma davvero è il tema che non regge.
Il Messia oggi è buono per
fomentare i cattolici ultraconservatori se non addirittura i catastrofisti
dell’Apocalisse prossima ventura, o per ebrei ultraortodossi o per qualche
fanatico New Age.
La visione laica di un Beckett in
Aspettando Godot, di cui Ceronetti
riporta alcuni brani, ci condanna a un’ inutile attesa disperante. Così questo
libricino rimane intriso di amarezza e di sconforto.
Il brano di Victor Hugo, tratto
da I Miserabili, è sintesi di tutto
ciò. Decontestualizzato com’è appare grottesco. Il personaggio di Hugo fallisce nella sua
profezia sul Novecento: “Cittadini, il
diciannovesimo secolo è grande, ma il ventesimo sarà felice.”
L’utopia così rivela tutta la sua
ridondante assurdità anche nella citazione finale che chiude il libro, di Marx ed Engels, tratta dal Manifesto del Partito Comunista. Probabilmente questa era la volontà di
Ceronetti, costruire un testo in cui utopia e messianismo apparissero in tutta
la loro, spesso funesta, ambiguità. Ma
accostare Beckett, Salgari, Isaia, Kafka, Marx, buddismo, Alce Nero, ufologi e New Age è davvero troppo.
Certo il messianismo attraversa
tutte le culture, l’utopia non si rassegna ma c’era davvero la necessità di
questo libricino? Forse la sua utilità risiede solo nella stupenda citazione di
Léon Bloy, di cui si è parlato all’inizio: “Non
sarà probabilmente altro che un riflesso della Gloria in una cloaca, ma un
riflesso così terribile che le montagne avranno il timore di esserne dissolte.”
L’attesa del Messia è comunque un
delirio. Sarà anche l’esito apocalittico della nostra civiltà, il segreto
desiderio dei malnati Tutti, ma non è un buon motivo per starvi dietro.
Dispiace che Ceronetti, autore di grandi libri, sia in questo caso scivolato
sulla buccia di banana di un messianismo così eterogeneo da risultare
nauseante. E la fuffa New Age, per carità no. E il catechismo nemmeno.
Chiudo il libro con dispiacere.
Ceronetti rimane un faro, un maestro di sterminata erudizione, per la nostra
cultura declinante, ma questo libro poteva risparmiarcelo.
Anche perché si vede lontano un
miglio che è solo un riempitivo fra un
saggio e l’altro.