Il 2021 mi ha lasciato al solito
numerose letture preziose. Prima di parlarvi del libro che considero il più
bello che ho letto nell’anno appena trascorso, di cui potete vedere la
copertina qui in alto, un breve accenno a quanto di meglio ho letto in questi
difficili 12 mesi.
Fra i romanzi “Babilonia” della
francese di origini iraniane Yasmine Reza, di cui negli anni ho letto altri libri ma questo
romanzo li surclassa tutti. Innanzitutto per la scrittura, ottimamente tradotta
da Maurizia Balmelli, in questa edizione
Adelphi del 2017. Storia polifonica, folle di una psicopatologia del quotidiano
perfettamente plausibile, sgangherata, commovente in un modo molto moderno.
Mi piace ricordare poi un romanzo
autoprodotto che meriterebbe un editore, “La pistola” di Roberto Parravicini,
un’ incursione alla Bret Eston Ellis nel milieu
dell’arte milanese, romanzo molto strutturato con un finale sorprendente. Ci
sarebbe da trarne un film ma è chiedere troppo al cinema italiano di oggi,
forse all’estero.
Sorprendente come il romanzo di Stephen King sulla questione dell’omicidio
di Kennedy, “22.11.63”, che leggo con un ritardo di dieci anni, in cui lo
scrittore americano dimostra, una volta di più, se ce ne fosse bisogno - e
purtroppo ce n’è - di essere un maestro di letteratura tout court e un narratore di razza.
King riesce nella difficile
impresa di fondere il romanzo fantastico con quello realistico o addirittura
storico, sebbene di storia contemporanea. Il viaggio nel tempo è un escamotage
che permette a King di elaborare una visione complessa della realtà americana
degli anni cinquanta e inizio sessanta.
Un’ultima annotazione: penso che
la storia d’amore fra Sadie Dunhill e George Amberson sia incredibilmente
struggente, la metto al pari delle più belle che ho letto nella letteratura
americana. Faccio qualche esempio: l’amore come lo racconta Hemingway in “Per
chi suona la campana”, John Fante in “Chiedi
alla polvere, o Henry Miller in “Giorni
di Clichy” ed è davvero porre King molto
in alto. È ora di spazzare via il pregiudizio che vuole King autore commerciale
(anche Dickens o per certi versi anche Fitzgerald lo furono) e soprattutto la
letteratura fantastica un sottoprodotto dell’immaginazione. Cosa vera
soprattutto in Italia, dove è molto forte la convinzione - mutuata penso soprattutto da Benedetto Croce
- che il realismo sia la vera letteratura.
Fra i saggi ho ammirato la prosa
di Benjamin Fondane nel suo “Rimbaud la canaglia”, che pone attenzione a quel tremendo dissidio metafisico che nessuna
logica poté addomesticare che si incarnò potentemente in questo straordinario
adolescente che dalle sue ferite fece sgorgare niente poco di meno che la
poesia contemporanea (con buona pace del solito Benedetto Croce).
Poi ho letto le labirintiche riflessioni contenute in
“Etica della scrittura” del filosofo Carlo Sini, saggio che mi imporrà
ruminazioni molto lunghe e un’elaborazione almeno decennale. Non ne dirò oltre
per questo motivo. Mi limito a suggerirlo a coloro fra voi che hanno fiuto per
le cose inafferrabili del pensiero più contemporaneo.
Ma è un libro di poesia il mio
preferito. Si tratta di “Egrette
bianche” di Derek Walcott. Vi rimando al mio articolo su Lankenauta.
Derek Walcott è stato uno dei
primi poeti contemporanei che ho letto. Era il 1992, avevo sedici anni, Walcott
aveva appena vinto il Nobel e io lessi “Mappa del Nuovo Mondo”, rimanendone
entusiasta. Ricordo che girovagavo nelle fredde giornate decembrine con questo
libro nella mia sacca e lo leggevo e rileggevo.
Qualche anno dopo, conobbi il
poeta a una presentazione milanese di un suo libro. Mi feci autografare la mia
copia di “Mappa del Nuovo Mondo” e poi, finito il giro di autografi, mi
avvicinai a lui e nel mio incerto e scolastico inglese lo ringraziai per tutto.
Era primavera inoltrata. Avevo i capelli lunghi e indossavo una maglietta con
l’immagine di un gatto. La scritta
diceva “I’m the boss”, Walcott strinse la mano che gli porsi e notai nei suoi
occhi un certo scetticismo, forse per la maglietta che osservò perplesso, o forse perché il mio
entusiasmo gli sarà sembrato un po’ ingenuo, chissà. Comunque, è andato così il
nostro incontro.
Buon anno a tutti.
Ettore Fobo