“Diario di Casoli” in versione cartacea

venerdì 25 settembre 2015





Da oggi è possibile acquistare online  la versione stampata di “Diario di Casoli”. Questo per venire incontro alle richieste di coloro che desideravano una versione cartacea del poemetto. Se siete interessati, affrettatevi, perché non ne saranno stampate molte copie. Il libro è disponibile solo su IBS.  Vi ricordo che è anche possibile acquistare  l’originaria versione ebook su tutti i principali store e sul sito Kipple.  Grazie dell’ascolto.

Ettore Fobo

Sottomissione - Michel Houellebecq

sabato 19 settembre 2015





Con Sottomissione Houellebecq  scrive un romanzo potente, dando vita a uno spaccato sociale della Francia - e in fondo dell’Europa  -  fondamentale per cercare di capire questi anni convulsi più che mai. Le polemiche sorte intorno al testo sono dimostrazione della sua vitalità e della sua profonda ambiguità.  Houellebecq gioca con i generi (in fondo il suo è un romanzo di fantapolitica), scrive quello che è anche un saggio di critica letteraria su Huysmans, ha un interessante approccio storico, arriva a una condensazione filosofica dei concetti;  il risultato finale è una mescolanza arguta di sorprendente modernità. Ormai non ci può essere che un approccio multidisciplinare, una fusione alchemica di conoscenze eterogenee, per scrivere un romanzo all’altezza dei tempi (della Storia e della letteratura).

E come Orwell, come Huxley, Houellebecq disegna uno scenario di fantapolitica, immaginando che in una Francia del prossimo futuro (2022) un fantomatico partito islamico, la Fratellanza musulmana, riesca democraticamente a formare un governo, con tutto quello che questo significa per l’applicazione in occidente di un’ idea di sharia (esclusione della donna dalla vita pubblica, poligamia, sottomissione al Dio islamico…)

 È un’idea in fondo  abbastanza paradossale che però lo scrittore francese sviluppa riuscendo a essere credibile. Non sono  però, come potrebbe sembrare,  lo spauracchio dell’islamismo e la retorica sulla perdita dell’identità francese il fulcro del romanzo;  se così fosse stato il libro  sarebbe stato, a mio modo di vedere,  un fiasco.  Esso verte intorno all’idea base che Dio tornerà,  sta tornando, è tornato protagonista sullo scena del mondo.

 L’idea di Dio diventa così una risposta al nichilismo del personaggio protagonista, François, professore universitario, intellettuale ormai esausto, quasi senza vita, senza desideri, senza prospettive,  simbolo dell’europeo medio devitalizzato. Le diagnosi di Nietzsche sulla decadenza dell’occidente, sul trionfo del nulla, trova riscontri nel romanzo. Houellebecq racconta così la forma e la subdola formula del nichilismo contemporaneo,  sostenendo con l’impianto del suo romanzo che  l’ alternativa al nichilismo è questa religiosità  forse farsesca, sicuramente opportunistica, finta  e di comodo, di matrice islamica in questo caso. L’umanesimo laico, illuminista,  su cui  si crede sia fondata la modernità, (François stesso si definisce ateo) si scopre così debole e ormai al  collasso,  davanti alla seducente irrealtà di Dio.

Così finito il marxismo che aveva fornito un orizzonte di senso, la risposta al nulla che l’uomo sente dentro di sé ritorna a essere di tipo religioso. Questo è il futuro che immagina Houellebecq:  infatti,  nel romanzo islamici e cattolici sono praticamente alleati in questa lotta per la restaurazione di Dio, del senso, della famiglia, del patriarcato, fondata sull’esclusione della donna dalla vita pubblica e del suo asservimento.

Romanzo nietzschiano, eccetto che nelle conclusioni. Ciò nonostante Nietzsche stesso viene definito dal protagonista  in due occasioni ”vecchia bagascia”, caduta di stile di Houellebecq che non ha molto senso. Nessun oltreuomo all’orizzonte piuttosto il cedimento della classe intellettuale alle sirene della religiosità islamica. La morte di Dio si rivela apparente, basta poco ed ecco che l’Occidente riscopre che Dio è comodo, l’orizzonte di senso che promette troppo allettante. Sottomissione è una riflessione attuale sul nichilismo della società contemporanea, sulla crisi delle sue élite intellettuali, un’interpretazione in fondo agghiacciante e desolata, senza vie d’uscita, del nostro presente. Qualcuno rimprovera a Houellebecq la  mancanza di speranza; io vedo in essa invece la lucida constatazione di un declino inarrestabile.

Pubblicato da Bompiani nel gennaio 2015 e tradotto da Vincenzo Vega, il romanzo è ben strutturato in cinque capitoli organizzati  in paragrafi brevi e fluidi. Si ha il sospetto che questa leggibilità sia un trucco del mestiere, s’indovina il montaggio di materiale eterogeneo, come sostiene Baricco, che parla del testo come la fusione di un “romanzetto” di fantapolitica “ e di  un saggio letterario su Huysmans. Dell’intervento di Baricco mi limito a segnalare la  consueta spocchia dell’intellettuale medio italiano verso la letteratura di genere.
  
Aldilà di questo,   la lettura di Sottomissione è  avvincente;  ottimo il montaggio e il senso del ritmo. Mancano un po’  personaggi femminili veramente significativi,  qualche riferimento alla politica francese è oscuro al di fuori dei confini transalpini, le scene di sesso, per fortuna rare,  sono sgradevoli e inutili,  nonostante ciò  Houellebecq riesce a scrivere un romanzo accattivante dimostrando intelligenza e anche mestiere, appunto.  

Lo scandalo del romanzo  è che Dio torna a essere un orizzonte praticabile, un interlocutore plausibile, per intellettuali ormai strozzati da un edonismo che ha esaurito le sue attrattive, stanchi, svuotati, pronti a sottomettersi al primo totem che si presenti. L’illusione di Dio, anche se in questo caso si tratta del Dio dell’Islam, è preferibile a una realtà di tristi consumatori abbruttiti, sembra dirci Houellebecq.  La provocazione dello scrittore francese è dunque sottile, anche se morto, Dio funziona, perché non approfittarne,  se ciò significa un senso?  Come sempre aveva ragione Nietzsche quando scriveva che per l’uomo “ è meglio un senso qualsiasi che nessun senso.”

Il  libro  di  Houellebecq  si pone proprio al centro di questa vertigine. La sua è anche una riflessione sul potere, sulla religione come strategia del potere, sulla religiosità letta come espressione della volontà di potenza dell’individuo. Per François si tratta di una volontà di potenza piccina piccina, piccolo borghese, domestica.

 Qui  la dimensione religiosa torna  in auge perché fa breccia in un Occidente in declino che per stanchezza di sé recupera Dio dal  dimenticatoio dove la modernità laica,  illuminista prima, mercantile oggi, l’ha relegato. Però in questo futuro non è il Dio cristiano ma quello islamico  a prevalere sulla stessa modernità laica ormai in disarmo. Romanzo  dunque  scomodo,  dove si mette più di un dito nelle piaghe  della contemporaneità.  Possibile che si  tratti del  romanzo dell’anno.

Bestia di gioia – Mariangela Gualtieri

venerdì 11 settembre 2015





Diceva Andrea Zanzotto che il desiderio profondo di  un poeta è quello di celebrare, di lodare. Ce lo conferma questa raccolta poetica di Mariangela Gualtieri, edita da Einaudi nel 2010, dall’eloquente titolo di Bestia di gioia. Rispetto ai precedenti Fuoco centrale e altre poesie per il teatro (2003) e Senza polvere, senza peso (2006)  Bestia di gioia sembra inaugurare una nuova stagione per la poetessa. Se già in Senza polvere, senza peso le lacerazioni del dire contemporaneo, così ben raccontate in Fuoco centrale, erano state in parte suturate con questo libro ogni ferita del vivere pare davvero rimarginata e si alza come un canto di ringraziamento. Il libro pare,  diversamente forse dagli altri,  potentemente strutturato,  intorno a un’idea di sacralità naturale.  La prima delle cinque  sezioni in cui il libro è diviso s’intitola significativamente Il naturale sconosciuto.

La poesia di Mariangela Gualtieri è attraversata da una forza epigrammatica,  sempre rinnovata da un incessante lavorio sul linguaggio. Poesia  molto lavorata pare questa, poesia in cui la scissione fra fatica creativa e ispirazione pare ricomposta in unità.

Stiamo parlando, quando si tratta di libri di Mariangela Gualtieri, di classici della poesia contemporanea. Libri che nascono con l’aura del classico sono rari ma non impossibili. Perché la poetessa nata a Cesena, con il suo linguaggio terso, la sua tensione a consacrare, pare aver superato le strettoie angosciose della “bruttissima città” che ormai è il nostro mondo. Canta ciò che rimane della realtà viva: la natura.

Ma è una natura che soffre perché troppo spesso l’animale è “infranto nel suo meccanismo d’amore ma non c’è frana nel pessimismo, poiché “qualunque dolore verrà/ puntualmente cantato”,  sopra i “rumorosissimi bar” si agita “lo spettro luminoso della gioia”. Ecco la poesia, farmaco e balsamo sulle ferite,  antidoto contro il male di vivere, che si scopre in comunione con forze primigenie, pure, immacolate.

Qui la lezione di Mariangela Gualtieri è preziosa. Anche perché ella riconosce che ogni idillio è stato spezzato e che la “città piena/ di merci schiaccia l’agnello”, che tutti si nasce “Al qui./ Al tempo. Al niente.”

Il libro è colmo di poesie stupende, come quella che inizia così  Un mio me /soffre? Chi è che scalcia sul fondo/di questo inquieto piroscafo?”  Ecco che questo essere infrapsichico si scopre “ più vivo” di tutti i sé, perciò bisogna calmarlo, farlo tacere, murarlo nel profondo in quanto” bambino più vivo”. Chissà se questa privazione d’infanzia genera il senso di una mancanza di sé, che affiora in diverse poesie.

La natura non è una cosa, è una dea che si sgola, è una dea che canta, una dea che sogna, piange, danza. Una ragnatela, il volo delle api, il petalo di un fiore, le nuvole, una foglia che cade; tutto orchestra un’armonia terrestre, manifesta e minuta.

Per effetto del lavorio sul linguaggio, della complessità poetica che emerge, Gualtieri non cade mai nello stereotipo culturale della natura forzatamente benigna. Si discosta dai cliché, per effetto di veri e propri incantesimi linguistici. L’impressione finale è di trovarsi davanti  un insieme compatto, composto di frammenti luminosi,  un mosaico affascinante dove l’idillio naturale rima con le sottigliezze di una interpretazione coerente della realtà umana.

Il poema come sintesi del mondo

venerdì 4 settembre 2015




Il poema è un mondo chiuso in sé, è il mondo esaminato al microscopio, è una totalità che si specchia nei frammenti, è lo specchio infranto di un sogno di totalità. Fra i poemi  Lo Spleen di Parigi è ancora perfetto per raccontare la modernità della città industriale  e la vastità della notte metropolitana. Leggendolo si ha la sensazione di moltiplicarsi.  Più invecchia più migliora il pericoloso  vino baudelairiano. È il paradosso della poesia, anche se in prosa, diventare sempre più attuale. Se penso all’età  contemporanea, alla stessa parola contemporaneo non posso che pensare ai poemi raccolti ne Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante, più contemporaneo oggi di quando uscì nel 1968. Raccolta di poemi molto poco italiana, molto internazionale e perciò,  in Italia, pressoché  invisibile.

Il poema,  come  lo vedo io,  è un sogno sgranato (o disgregato) di sintesi universale, come ha dimostrato Eliot con La terra desolata e con la sua attività di critico.  Sintesi di un universo che io avverto soprattutto come vibrazione linguistica. Per la scienza è la forza di un formula, per la matematica la potenza di un teorema. Infatti, per me un poema può avere la stessa forza icastica di una formula di fisica o di un teorema matematico.  È una definizione del  mondo e del suo funzionamento. Poi ci sono quei poemi che sono avventure nel linguaggio,  i Cantos di Pound, ‘ L mal de’  fiori di Carmelo Bene, esperimenti in cui la parola è condotta alle sue estreme conseguenze  e il vortice linguistico persegue voragini e vertigini.

Talvolta il poema narra la dis – funzione e il delirio notturno, come Canti Orfici di Campana, altre volte si ribella e la sua ribellione è una condanna, come in Rimbaud. Può cantare anche  un cimitero in cui magicamente la vita continua con la sua miseria un po’ provinciale, tipo Spoon River. A volte quello cui il poema aspira, pensate alla Divina Commedia, è mostrare un cammino iniziatico, che nasce da una visione. E quindi ecco Urlo di Ginsberg ed ecco  la città infernale  e la città onirica, la città moderna. Iniziazione ai misteri metropolitani, scoria di una visione di totalità.  Il poema moderno perciò è   inevitabilmente il poema della città, scenario nuovamente  mitico in cui vive l’uomo di oggi. Non più la natura,  Dio o  gli dei. Tutto si fa umano anche la natura  e allora abbiamo  Paterson di  Williams:  l’uomo come città,  la città come uomo.

Per un poeta non c’è nulla di più ambizioso ed esaltante che progettare un poema. Pe me lo è stato, prima con l’inedito Ledro Land Poem, poi con Diario di Casoli. Però,  ho evitato la città.  Ho cantato l’altrove. Ma se c’è un altrove,  c’è un qui. E per me è rappresentato dalla città, dalla mia città, da Milano.

Sono altresì  convinto che la città moderna, ogni città,  sia  l’ovunque. Ovunque ben misero in fondo, per questo l’altrove è puro ossigeno. Respiriamo.