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POESIA
La prima parola è inevitabilmente
la parola POESIA. Lungi da me proporvi una definizione netta ma alcune cose
vorrei dirle. Sappiamo tutti intuitivamente che il linguaggio è il regno
dell’ambiguità. Ora la poesia potenzia al massimo grado questa ambiguità
originaria, per cui in poesia una parola
viola il principio di non contraddizione
per cui A= A E B=B, A può essere uguale
a B o altri termini che B semplicemente evoca. La poesia è dunque il regno della massima
ambiguità semantica, in filosofia si usa il termine aporia quando un significato è indecidibile. In poesia, l’aporia è
quasi la regola. Una parola significa alla massima densità concettuale tutto
ciò che può significare. Se stessa e il suo contrario e tutte le sfumature cui
essa accenna. Ambiguità in questo caso è di per sé una parola equivoca. Perché
il sostrato morale che la accompagna forse è un impedimento ulteriore a
comprendere ciò che sto cercando di dire. Ambiguo è ciò che è indecidibile,
duplice, molteplice. In sanscrito esistono cento parole per designare
l’infinito. Ecco una lingua ricca di pensiero. L’italiano non permette questa
ricchezza e dicendo infinito pensiamo di aver detto tutto, ci illudiamo. Per
farvi capire con una similitudine: se uno scrive un saggio che parla di
fotografia, esso ha un oggetto chiaro la fotografia, se scrivo una poesia su
una singola fotografia essa non parla più di fotografia ma può dire in maniera
misteriosa tutto ciò che la fotografia non mostra direttamente ma tace e
tacendo evoca. La poesia non è didascalica, non parla di ma dice direttamente
gli abissi che il linguaggio comune cela. Io li chiamo gli effetti quantistici della poesia. La poesia sta al linguaggio
comune, quello che usiamo per comunicare, come la fisica subatomica e
quantistica sta alla fisica classica. Nessuna solidità concettuale, la massima
evaporazione, evanescenza, fluttuazione
dei concetti. La poesia in questo caso, potremmo dire, è l’esplorazione di un’interiorità
profonda, subatomica, prelinguistica, che esiste prima dei concetti, prelogica
ma non illogica o irrazionale come a volte superficialmente si dice. il poeta Flavio Ermini usa il termine precategoriale.
È il logos in realtà, nelle sua massima potenza di significazione cioè di
ambiguità, appunto. Carmelo Bene chiamava giustamente la poesia “arte della
sintesi”, momento in cui i concetti si fondono, si con-fondono uno nell’altro.
La seconda parola è AMNIOS, “annesso embrionale che
protegge e circonda l’embrione”. Qui ci viene in soccorso un’immagine da un
film. È il feto che si vede alla fine di
“2001 Odissea nello spazio”. Perché il feto è proprio il principio di una
memoria cosmica, preumana, che precede la formazione della cosiddetta mente
logica cioè del linguaggio, ciò che precede la parola è il pozzo senza
fondo cui attinge il poeta. Parlo di memoria filogenetica, cosmica, il che
permette l’accesso a quella universalità di cui il poeta è interprete, veicolo,
mezzo.
SILENZIO
Il silenzio è il non luogo in cui la musica della poesia
sboccia è proprio ciò che la rende possibile, la custodisce potremmo dire. È correlato nella mia poesia, con la parola
GRIDO che è un grido di dolore muto come
nel dipinto di Munch, anche ma soprattutto
è il grido dionisiaco in cui la vastità del silenzio cosmico semplicemente
riecheggia e trova una forma albale,
come le vocali Ah o Oh che lo compongono, nel grido di dolore o in quello di stupore.
VERTIGINE
È il titolo della poesia che apre il libro. È una
condizione estatica, dove estasi è etimologicamente ek-stasis, cioè che è fuori
dalla mente stessa, la trascende, ancora una volta il silenzio preumano,
fetale, cosmico, perché evidentemente non sto parlando di una memoria
biografica ma di una memoria composta di sensazioni primordiali, fuggevoli,
inesprimibili per loro essenza, perché anticipano il linguaggio come
codificazione di questi stessi stati aporetici, quantistici ancora una volta.
ADOLESCENZA
È il titolo della seconda poesia contenuta nel
libro. Non è tanto una notazione biografica
ma il riferimento a un’età che io considero tragica nel momento in cui si
rivela la radicale messa in discussione,
la furente riformulazione di ciò che nell’infanzia si è appreso.
Sovversione che Nietzsche, il filosofo
che su di me ha avuto più influenza proprio nell’adolescenza, chiama trasvalutazione di tutti i valori, valori, cioè
i modi che noi usiamo per valutare le cose. È il momento in cui si sente con
maggiore potenza il MUTAMENTO come dimensione essenziale di un dinamismo che
trova nel divenire il suo compimento.
Contro la staticità dell’essere, pensato come un assoluto immobile, nei cieli
fittizi dell’astrazione. Così l’adolescenza, se vissuta pienamente, è sempre catastrofica
dove la catastrofe è colta nel suo significato etimologico di rovesciamento. Se
tutto è luogo comune, pregiudizio, stereotipo, la poesia mette in crisi questi
rassicuranti puntelli della immensa vacuità cosmica che ci fa da sfondo, dove
vacuità non è assenza di significato ma di peso, leggerezza estrema,
inconsistenza suprema.
FOLLA
Folla è la dimensione in cui
l’individualità perde peso, svanisce per così dire. L’aspetto negativo di
questo è la spersonalizzazione, cui allude spesso la mia poesia, l’anonimato di
chi è etimologicamente senza nome, privato della propria identità, unicità,
singolarità. Negli anni Sessanta però si usava l’espressione “sciogliersi nella
massa” per riscoprire in questa fusione
oceanica un senso reale di comunità. Ecco il risvolto positivo della parola
folla.
SIMBOLO
In poesia, dicevamo, una cosa
significa se stessa ma anche altro. È il
senso della metafora, ponte che può unire cose anche distanti. Ancora una volta
ci aiuta l’etimologia di simbolo, dal greco sun- ballo, mettere insieme, unire
come nel coccio spezzato chiamato sunbolon appunto.
LAPSUS
È una parola ricorrente. Per
lapsus s’intende quando qualcuno dice qualcos’altro da ciò che intendeva dire.
È un errore che però,
nell’accezione freudiana, permette di capire i moventi inconsci di chi commette
l’errore. Per come intendo io la poesia, tale parola è fondamentale in quanto il poeta dice sempre
di più e cose diverse da ciò che coscientemente intendeva dire. Non siamo
proprietari del linguaggio, esso ci trascende e dice aldilà di quello che noi
vogliamo o pensiamo di dire. Non sono io che parlo dunque ma è il linguaggio
che parla attraverso di me, per cui si
potrebbe dire che in poesia è tutto un lapsus.
CAOS
Adorno lo ha detto chiaramente:
“L’arte è mettere caos nell’ordine”. Qui pulsa una dimensione aldilà del bene e
del male, cioè del semplicistico dualismo che ci forgia nel profondo . Il caos
può essere vitale e liberatorio e
l’ordine imprigionante e mortifero, così cose apparentemente opposte non
confliggono ma si compenetrano come nel
Tao.
CASO
Anagramma di caos cui è correlata
la parola caso è fondamentale. Partiamo da Eraclito: “ La vita è un fanciullo
che sposta i pezzi sulla scacchiera: reggimento di un fanciullo”. Ecco
sincronicità, connessioni segrete, coincidenze strane, tutte rette da una forza che sfugge alla razionalità, cioè ai codici normalizzanti con cui interpretiamo il reale. Chiamo caso
quelle forza più grande e sottile di questa razionalità che come vuole la
radice etimologica(ratio) è solo una parte del tutto, una porzione, una razione,
appunto. Nel caso con le sue probabilità risuona ancora la convergenza fra
fisica quantistica e poesia.
VAGARE, ERRARE
I primi poeti erano aedi vaganti,
erranti, come Omero di cui è proverbiale l’erranza. Anche qui ricordo un film:
“Il cielo sopra Berlino”, dove si vede un vecchio poeta che girovaga per la
città abitato da un canto inesauribile e sconfinato. Errare in italiano
significa anche sbagliare, la Divina Commedia stessa inizia con un errore di
percorso, il poeta erra ancora una volta, nel duplice senso.