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Una poesia di Patrizia Cavalli

martedì 1 agosto 2023

 



 

«Così schiava. Che roba!
Così barbaramente schiava. E dai!
Così ridicolmente schiava. Ma insomma!
Che cosa sono io?
Meccanica, legata, ubbidiente,
in schiavitù biologica e credente. Basta,
scivolo nel sonno, qui comincia
il mio libero arbitrio, qui tocca a me
decidere che cosa mi accadrà,
come sarò, quali parole dire
nel sogno che mi assegno».

da "Datura" - Patrizia Cavalli- Einaudi- 2013


Poesie (1974- 1992) - Patrizia Cavalli

venerdì 19 ottobre 2018





Quella di Patrizia Cavalli è una voce inconfondibile nel panorama della poesia italiana contemporanea, voce forse aspra, forse acida, sicuramente lontana dai cliché ampollosi della retorica ipertrofica comune a certa poesia, ora troppo barocca, ora rileccata o asettica. Così questo libro Einaudi, Poesie (1974-1992), pubblicato per la prima volta nel 1992,  che raduna le sue prime tre raccolte, è un buon viatico per cominciare ad attraversare i territori di questa poesia.

 Si va dritti alla sostanza delle cose, con pochi tocchi lievi: ”Eternità e morte insieme mi minacciano:/nessuna delle due conosco, nessuna delle due conoscerò.”

Disillusione, disincanto, che sfiorano il cinismo e il sarcasmo ma non vi sprofondano, rimanendo sullo sfondo di un discorso che sa evitare le paludi del senso comune, pur rimanendo sobria testimonianza di una vita. È una lingua scarna, spesso epigrammatica, che vibra di folgorazioni e di sentenze minimali, mai troppo ardenti, mai troppo glaciali, ma sempre inappellabili: “Ormai lo so,/ lo vedo bene, la gente in viaggio/non mi piace. […]”.

Se in questa “ perfezione di deserto” diventiamo “parenti del niente” Patrizia Cavalli è consapevole che siamo giunti all’era fatale del nichilismo. I valori si svalutano, gli orizzonti culturali si annebbiano o sfumano, Dio esce di scena, rimanendo un semplice residuo retorico,   l’arte stessa diventa un trucco da prestigiatori, che perde progressivamente prestigio, la poesia non ne parliamo, ha smesso completamente di incidere;  il titolo della prima raccolta del 1974 del resto è emblematico : “Le mie poesie non cambieranno il mondo”.

Così  non resta al poeta che una piccola ricognizione nel quotidiano, che, però,  è anche il  lusso immenso di un’ esplorazione, ”parlando sommessamente, senza strepiti e  senza sogni.

Non è quello di Patrizia Cavalli un linguaggio onirico o visionario, ma un linguaggio che, quasi  radente al suolo, sa cogliere l’humus colloquiale in cui affondano le voci della coscienza e del mondo. La forma dell’endecasillabo è quella prediletta e spesso affiorano rime interne al verso, usate in modo demistificatorio e ironico.

Così anche “L’io singolare proprio mio”, titolo di una raccolta, pare un’ironia, se l’io è in realtà qualcosa di universale, forse uguale per tutti, una mera funzione psichica omologante, una finzione.

Il tono intimo, dimesso, è risposta a una scrittura inutilmente pirotecnica che,  per Patrizia Cavalli, lascia in ombra la vera sostanza, quando a interessarle è la frase lapidaria, concisa, che condensa un’esperienza e non serve per produrre un effetto. 

Qui tutto è parco, sobrio, stilisticamente spoglio, pratico direi e le raffinatezze mai ostentate ma nascoste da una scrittura che sembra avere l’obiettivo di mascherare l’abilità dell’artefice. È una poesia la cui maestria non è immediatamente evidente, ma si apprezza dopo diverse letture, specie l’opera di un’inesausta scarnificazione.

Questo linguaggio è una risposta agli sperimentalismi che troppo spesso svuotano la parola di senso, distorcendo il reale, qui il reale è raccontato nella sua verità senza abbellimenti retorici o eccessivi stravolgimenti lirici, senza fantasmagorie lessicali. Linguaggio diretto, anche semplice, piano.

Persino la produzione poetica è minimale (qui sono raccolte tre sillogi che coprono un arco quasi ventennale). L’effusione lirica è trattenuta, si sacrifica all’equilibrio formale ogni eccesso linguistico.

Talvolta affiora un grido, che l’ordine manifesto si rompa e riveli il caos sottostante, più vitale, pericoloso e fecondo:

“Dio, fatti valere, distruggi i giardinetti
curati e fioritissimi. Vieni, foresta!”
La sensazione finale è che l’influenza di Patrizia Cavalli sia stata vasta. Dobbiamo probabilmente  a lei una parte dei versi minimali e quotidiani che si scrivono oggi, sulle sue orme, magari senza la sua abilità e padronanza tecnica.

Una poesia di Patrizia Cavalli

lunedì 24 settembre 2018





E chi potrà più dire
che non ho coraggio, che non vado
fra gli altri e che non mi appassiono?
Ho fatto una fila di quasi
mezz’ora oggi alla posta;
ho percorso tutta la fila passetto
per passetto, ho annusato
gli odori atroci di maschi
di vecchi e anche di donne, ho sentito
mani toccarmi il culo spingermi
il fianco. Ho riconosciuto
la nausea e l’ho lasciata là
dov’era, il mio corpo
si è riempito di sudore, ho sfiorato
una polmonite. Non d’amore di me
si tratta, ma di orrore degli altri
dove io mi riconosco.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      ***

da “Poesie (1974-1992)”- Patrizia Cavalli – Einaudi – prima edizione 1992