“Il limite dell’utile” di Georges
Bataille ha il pregio di attaccare alla
radice la concezione della morale utilitaristica borghese, della funzionalità,
del profitto come regolatore del destino degli individui. Una “economia
gloriosa” qui sostituisce l’idea ormai malsana del profitto. L’inutile diventa
lo sfarzo di una vita dissipata senza fini, che non siano al limite “gloriosi”
come quelli delle stelle.
La gloria è futile per il
borghese che con essa non può intraprendere alcuna impresa commerciale. La cattedrale sorge in un deserto per
glorificarlo. Concetti in opposizione
alla morale dominante che ci vuole ingranaggi del macchinario del Progresso.
La figura del lavoratore abbruttito in una
città grigia è ormai diventata di massa. Bataille elogia lo spreco inteso come
dono di sé. Oggi che anche l’inutile deve rendere e fare profitto, le sue parole suonano disperate. Ma anche
quando furono scritte la disperazione vi
allignava, se non altro nell’apologia della guerra che vi si legge in filigrana
e per la fascinazione un po’ assurda verso
i sacrifici umani degli Aztechi.
Libro impossibile, “Il limite dell’utile” continua a esercitare, però,
un fascino profondo. Sarà il linguaggio sconcertante, che evita le trappole
della leggibilità, per accrescere vertiginosamente le possibilità stesse di una
conoscenza della realtà, che non può che essere poetica, cioè votata al nulla,
allo spreco, alla vertigine, all’oblio. Libro eccessivo, dove l’eccesso è figura di una vita
straripante che non si rassegna al tranquillo tran tran di una coscienza narcotizzata dalla ragionevolezza,
depauperata dalla fissazione di produrre.
Così Bataille continua a essere
scomodo portavoce di una ribellione segreta, senza rivoluzioni chiassose e di piazza, che
avviene per “vivere all’altezza della
morte” . La morte, il grande rimosso della nostra società, è ciò che dà al libro
la sua frenetica andatura. Scrivere all’altezza della morte. Pochi ci riescono,
Bataille ha indicato una via.