sabato 26 gennaio 2013
Più sommesso rispetto al
precedente Fuoco centrale, Senza polvere
senza peso, pubblicato da Einaudi nel 2006, è comunque un libro di poesie di rara bellezza, in cui il
linguaggio appare alleggerito dalle dinamiche di un pensiero poetante fra i più
intensi oggi in Italia. Alleggerito perché purificato dai luoghi comuni sempre
corrosivi ed equiparato a una danza, dove l’autrice Mariangela Gualtieri si muove
fra ispirazione e ripensamento, perché è indubbio che questa poesia
è cesellata fino ad apparire un flusso che sgorga senza sforzo, ma in
realtà lo sforzo c’è, meditazione segreta che irrora questi versi, che sono un alto colloquio fra la poetessa
e le sue ombre; così come mi pare
indubbio che non si scriva così, se non
si è in qualche modo posseduti da un’ispirazione rigorosa, che a tratti appare
potentissima, senza fondo. Ispirazione che non esito a definire religiosa, di
quella religiosità che non ha bisogno di chiese e di dei e che affonda panteisticamente
in tutte le vicende e le creature della Natura.
Se i versi di Fuoco centrale erano pensati per il
teatro, questi sono invece destinati alla pagina stampata, più alla meditazione,
dunque, che alla recitazione. Ciò nonostante si tratta di poesia: cioè di
qualcosa che vuole sempre essere recitato, mormorato in questo caso. Manca
forse il grido che connotava alcune poesie della precedente raccolta, e l’insieme
appare una meditazione in versi sulla necessità della leggerezza, sulla
radicalità stessa della gioia.
In questa raccolta ogni poesia è
un tassello di un mosaico che s’indovina vasto e, però, come incompiuto, si ha
come la sensazione che il dettato aspetti qualcosa di ancora più definitivo, un
libro a venire, qui solo accennato. Senza polvere senza peso pare un libro
di transizione in cui “ una sconosciuta
nascita” sta per avvenire, dove la poetessa è dolorosamente memore dello
scomparire di ogni cosa, dove però una “allargatura
di luce” ha la sua magica epifania, e ci redime. Tremare vuol dire capire che siamo dinanzi al
mistero, alla grazia, forse, poiché è nel
“ rinascere qui che io/ mi sostanzio
andandomi via.”
“ C’è una
pace grandiosa” nella natura dove un seme” pare niente/ e invece sogna” dove il poeta” canta il nome della terra” e il verde dell’erba gli promette che una qualche verità eterna sta per affiorare
dalla sua bocca. La Natura, nella pura semplicità dell’erba, è magnificata come
sacra:” Creatura folta, sempre
inginocchiata/ a rendere altare la crepa/ e il bordo del marciapiede. / Enigma
del tuo essere ovunque/ cresciuta.”
Già nel titolo si palesa un poco la vicenda di
questo libro, dove si tenta di sconfiggere la materia e la sua pesantezza, ma ancora di più“ la consistenza, l’odore, il nome” e infine, come Cristo risorto, la
morte stessa, che nei versi della poesia intitolata Venerdì santo diventa “ uno
stecco, un niente/ un avanzo, un imbroglio”. Davanti alla potenza della
vita, al suo “parto perenne”, essa
scompare. Qui in questi versi percepiamo l’afflato potente di una preghiera
fatta di terra, una preghiera che, in assenza di un dio, si rivolge alle cose.
Non c’è più un interlocutore divino, o è comunque
lontano - in questo senso Gualtieri fa parte della modernità - ma la Natura è sacra di per sé e non ha
bisogno di nessun altrove trascendentale. “E’
terra la sostanza del mio dire/ è terra di quella calpestata/ è terra secca
spaccata nel suo buco. “
Il senso della terra erompe come consapevolezza
estatica, perché “ Adesso fa notte – fa preghiera” e allora tutto
può trasfigurarsi. Non mancano perciò le
visioni di un altrove di sogno: “E venga
il sogno africano/ quando le palme/ e tutti i cammelli e/ le lavandaie sul
fiume/ sostano.
Il divino è presente negli animali, nelle gatte
gravide, per esempio, che diventano ”partorienti
languide”, essenzialmente esso è la potenza della vita che si moltiplica ed
è presente nel “ guizzo di delfino
festante”, come nella “danza rotante
di cielo stellato”, come nella pioggia, invocata, cantata, evocata, con la
stessa sicurezza che essa ascolti la nostra preghiera, che può avere uno
stregone, uno sciamano.
Infatti, importante è pregare, perché “Qualcuno che ascolta c’è sempre”,
pregare anche se non si sa chi, e comunque non importa, nella preghiera,
secondo Mariangela Gualtieri, c’è sufficiente forza da scardinare anche un
cielo vuoto e farlo risuonare.
Fra le poesie più belle c’è quella
dedicata al conflitto fra Palestina e Israele, dove i personaggi del Vangelo si
muovono in un contesto moderno, devastato dalla guerra fra i due popoli, a
significare come il messaggio d’amore di Cristo sia stato schiacciato dalle
bombe, e proprio nei luoghi in cui fu proferito; poesia che si conclude con questi
versi indimenticabili:
“ E noi. Dove moriremo? Mettetevi tutti giù
che è ora.
Morite piano. Non sporcate.”