sabato 3 agosto 2013
Una nave, l’Aldébaran, ferma al porto di
Marsiglia, pignorata, che non può
ripartire. Tre uomini, Abdul Aziz, il
capitano libanese, il suo secondo, il greco Diamantis, e un marinaio, il turco
Nedim. E intorno e dentro di loro molte donne, molti ricordi, molti tranelli.
Marinai perduti, scritto da Jean -
Claude Izzo e tradotto per E/O da Franca Doriguzzi, la cui prima edizione francese risale al 1997,
è considerato il romanzo del
Mediterraneo, dove ancora una volta la città di Marsiglia assurge al ruolo di
protagonista, città multietnica che come il vasto mare congiunge e raduna molte
razze, molte nazionalità e diventa anche un luogo della mente, come sempre in
Izzo, una dimensione in cui i ricordi prendono vita e scuotono nel profondo i
protagonisti. La memoria, infatti, è centrale in diversi romanzi dello
scrittore francese. In questo ci muoviamo fra flashback, in cerca, al solito, del bandolo di una matassa emotiva
difficile da sbrogliare.
Forse per Jean - Claude Izzo non
esistono altro che gli sconfitti. E in questo senso si può leggere questa
storia, dove a vincere non è nessuno, né le donne, abbandonate, né gli uomini,
che si pentono di essere quello che sono, dei marinai, dei vagabondi del mare.
In epigrafe una bellissima frase di Michel Saunier sintetizza tutto questo: “L’eterno vagabondo non ha diritto al
ritorno”.
E non c’è ritorno possibile per questi vagabondi, che non possono, per uno strano e duro destino, ricongiungersi con la donna amata, né con la patria, né con la stessa terraferma, che per loro è soltanto una prigione.
Questi uomini, che in un altro
contesto sarebbero stati eroi, sono soltanto delle vittime sacrificali, vittime in primis di loro stessi, del loro
impulso a viaggiare, ad essere degli sradicati, poi vittime della vita, che non
perdona loro il minimo accenno di sentimento, la minima debolezza. Se c’è un
limite in tale scenario è che
l’eccessivo sentimentalismo rende un po’ patetici questi personaggi, troppo
gravati da ricordi essi non vivono il presente e questa mi sembra la cifra
stilistica di Izzo. Il passato è come un macigno ingombrante che chiude in una
caverna questi suoi personaggi e impedisce loro di varcarne la soglia e
approdare alla vita vera. Essi sono dei nostalgici, in senso etimologico:
malati del ritorno. Ma essendo dei vagabondi, non hanno nessun posto che
possano chiamare casa, e se hanno degli affetti, la prolungata lontananza ha raffreddato l’amore
di mogli e fidanzate. Quindi, tutto si gioca nel campo della fantasia:
Diamantis sogna una donna del suo passato, Amina, che gli sembra più reale
di quelle con cui si trova ad agire ora,
ma è soltanto un’illusione, ella ha cambiato nome, vita, aspetto; Abdul Aziz ha
una moglie che ormai gli si è allontanata e con la quale condivide qualcosa
solo in sogno, Nedim fantastica di una ragazza del suo paese, dalla quale ormai
lo separa l’infinito del mare.
Il mare sì, presenza costante e
insieme sfuggente, rappresenta lo sfondo su cui questi personaggi proiettano
speranze, sogni, angosce, illusioni.
Come se tutto ciò che li agita fosse fatto della materia fluida dell’acqua, e
non ci fosse nulla di solido per loro, di realmente tangibile. La terraferma,
infatti, è loro nemica, luogo in cui il passato prende la forma di un incubo presente, e il loro unico desiderio
diventa quello di salpare, di
allontanarsi da lei.
Il romanzo è tutto sommato interessante, anche se a
tratti un po’ noioso, attraversato com’è dai fremiti di una perenne malinconia, che sembra essere le chiave stilistica per
interpretarlo. Izzo racconta di naufragi esistenziali inevitabili e la sua prosa
è attraversata dal senso di una fatalità schiacciante, contro la quale, come
nelle tragedie greche, tutto è vano.
C’è però un limite: qui tutto tende più al melodramma che alla
tragedia, e il tono risulta un po’
troppo sentimentale, un po’ troppo enfatico. La trama è ben congegnata,
con numerosi colpi di scena ma ha
qualcosa del plot cinematografico; infatti, dal romanzo nel 2003 è stato tratto un film. La
scarna prosa di Izzo rende conto di enormi ingorghi emotivi ma non sempre
riesce a raccontarli con la freddezza necessaria.
***
Ci risentiamo a settembre. Buone
vacanze a tutti.
2 commenti:
Izzo.
Mai letto.
Però c'è qualcosa che non m'ispira.
Tu che ne pensi? In generale...
Da quello che ho letto (questo romanzo e “Il sole dei morenti” ma ho dato uno sguardo anche ad altri libri) i suoi personaggi mi sembrano a volte un po’ troppo patetici, il tono è spesso eccessivamente triste e desolato, per questo la tristezza può risultare perfino melensa o stucchevole. Dunque, non mi convince totalmente ma un occhio ce lo butterei comunque. Tutto sommato, i suoi romanzi si fanno leggere. Conosco gente intelligente cui queste atmosfere piacciono molto. Io, probabilmente, leggerò altro di lui, senza aspettarmi il capolavoro ma una storia ben confezionata sì.
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