mercoledì 23 ottobre 2013
La Roma di Fernando Acitelli,
descritta in questo poemetto intitolato Cantos
romani, è una città in cui il passato e il presente si compenetrano, i vivi e i morti si confondono, l’antichità
prende vita e il mondo contemporaneo sembra essere un’eco di quest’ultima, una
sua emanazione. Viene in mente Kavafis e la sua operazione di rielaborazione
del passato, qui in un florilegio di nomi l’Antica Roma si scopre ancora
vivente, i profili degli imperatori
emergono da antiche monete, le lapidi e le urne rievocano uomini ed epoche
sommerse, al tempo stesso la Roma di oggi ci sorprende con i suoi bar, le sue
strade, i suoi palazzi, i suoi negozi, visti attraverso un obiettivo fra il
cinematografico e il metafisico, che ci restituisce una città sospesa fra
sogno, memoria, realtà. Ecco un verso
che sintetizza bene questa dimensione: “uno
strato diffuso di polvere/poneva un velo sulle cose antiche/ che al riparo
sfioravano l’eterno[…]”
Così i morti della storia
convivono con i vivi del presente, in un’alleanza che costituisce il fulcro
misterioso di questo poemetto interessante anche se diseguale nella resa. Non
sempre, infatti, la poesia di Acitelli colpisce nel segno, a volte pare cadere
nella trappola di un esoterismo fine a se stesso, con versi un po’ involuti e
di difficile comprensione. Nel complesso, però, è apprezzabile questo tentativo
di disegnare la fusione fra la Roma del passato e quella del presente e il
poemetto ha dei momenti di alta poesia:
“Una ospitalità definitiva chiedevo, una stanza/ sotto il campanile, da
parroco del Delfinato/ con quell’essenziale così rarefatto/ da sembrare una
natura morta osservata troppo:/letto, comodino, bacile, anfora, candelabro, vis
à vis ad ante/ cigolanti. Una perpetua pure, di quelle con il viso/ da santino,
avrebbe vegliato sulla mia ombra e di notte/ mi sarei messo in ascolto del suo
respiro come a incitarla/ a resistere.”
Il tono narrativo permette ad Acitelli
di raccontare la città, di fotografarla nelle nervature dei bassorilievi e dei
marmi, intuendo una dimensione spettrale, notturna, ambigua che fa da sfondo
alla sua magnificenza di “città eterna”. In realtà si capisce che molte città
si agitano dentro di essa, ognuna con il suo mistero.
C’è la Roma dei reperti e della
storia, la Roma precristiana che ignora
il Natale e quella cristiana che lo celebra, c’è la Roma quotidiana un po’
sbiadita, e quella del mito con le fantasmagorie dei suoi colori, c’è la Roma
dei negozi, come il Viganò che vende abbigliamento inglese, la Roma sotterranea
delle fogne, quella pagana dei mitrei, quella delle prostitute e dei
magnaccia, quella popolare, in cui si può stare come per
magia ”a due isolati dalla verità” conoscendo “un
tempo protetto” che non ha ora e che
si fa beffe degli istanti e altro
ancora. Soprattutto, la città sembra un
luogo della mente, onirico, magico, dove
i fantasmi del quotidiano si sposano con le ombre del passato, dove le
esperienze biografiche di Acitelli si confondono con il mito e con la storia di
Roma.
Il titolo rievoca i Cantos di Ezra Pound, nel complesso il poemetto
sembra una mescolanza di echi di Montale, Pasolini (soprattutto quando racconta
della Roma più popolare) e Kavafis come già detto, perché c’è lo stesso
sentimento epico, e malinconico contemporanemente, del tempo passato. Il
passato in questo poemetto è “un aldilà a
portata di mano”, qualcosa di tangibile come una moneta accarezzata per
ravvisarvi il profilo di un imperatore e al tempo stesso evanescente come la
memoria. Acitelli disegna una mappa che, prima ancora che geografica, è emotiva
e lascia nel lettore una sensazione di nostalgia, un quid di struggimento davanti alla bellezza un po’ triste delle
rovine.
6 commenti:
Quando uno scrittore riesce a creare una sintesi tra i paesaggi interiori e quelli esterni, in genere riesce anche ad arrivare al lettore con una sorta di immediatezza che lo coinvolge emotivamente e al tempo stesso lo affascina. Forse perché attraverso il mondo interiore si riesce ad accedere alla memoria di tutti e anche i luoghi sconosciuti, come per magia, diventano familiari.
Come sempre le tue recensioni arricchiscono il testo che esamini, è sempre un grande piacere leggerle.
un abbraccio
E’ davvero come dici tu, Maria. Dentro ognuno di noi c’è come una memoria collettiva, attingere a essa ci permette di sperimentare le epoche storiche, i flussi e i riflussi. La scrittura, che è memoria, spesso serve proprio a far rivivere il passato. In questo libro in particolare l’esterno della città diventa un riflesso dell’interiorità del poeta che ricorda, come in sogno, il proprio personale passato( e i suoi morti) e quello, più antico e misterioso, di Roma. Grazie dei complimenti. Un caro saluto.
Non lo conoscevo... da recuperare.
Grazie Ettore.
Ciao
Alex
ho amato questo libercolo. rivelatore, assai vicino - spesso - al mio mood dettato dall'amore per roma e per le ombre lì contenute
Un caro saluto, Logos.
Ciao Zoon, ho scoperto questo libro perché tu ne hai scritto sul tuo blog. Pensa che l’ho comprato il giorno stesso in cui ho letto il tuo post.
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