La figlia del papa – Dario Fo

sabato 7 giugno 2014








Dario Fo, con questo suo primo romanzo, La figlia del papa, uscito per Chiarelettere nell’aprile del 2014, dimostra tutto sommato di essere un artista capace ancora, all’età di 88 anni, di rinnovarsi, rimanendo al tempo stesso fedele alle fonti della sua ispirazione, che da sempre affondano  nell’antichità medievale o rinascimentale, spesso rielaborate anche linguisticamente.  Con questo romanzo si propone di diradare il fumo di leggende, miti o semplici maldicenze che da sempre avvolgono il personaggio di Lucrezia Borgia, di cui Dario Fo riscrive la vicenda, partendo proprio dalle fonti storiche,  interessato,  come si legge nella quarta di copertina, nient’altro che a “ricercare la verità”.
  
Che quella raccontata dal premio Nobel sia la verità pare,  però,  poco probabile, sarebbe stato più onesto riconoscere al racconto la sua natura di finzione letteraria e lasciare perdere l’ossessione tutta contemporanea per la verità. La verità, bah, questa illusione lasciamola agli storici e ai preti.

Il romanzo è abbastanza agile, scritto con una lingua immediata ed efficace che non indulge a sperimentalismi di alcun genere, solo in alcuni casi un gergo moderno traspare come un po’ incongruente. Mi sarei aspettato una maggiore aderenza linguistica all’epoca narrata, ma in fondo non è un grande problema, perché il romanzo funziona abbastanza, anche per la scelta di usare come tempo grammaticale  il presente, che conferisce ulteriore immediatezza alle vicende raccontate.

Così l’epoca narrata, con i suoi intrighi, le sue guerre, i suoi colpi di scena, i suoi assassini, pare più facilmente specchio della nostra, a conferma che l’umanità cambia d’abito, muta le proprie maschere, ma nella sostanza rimane identica. E’ proprio questo è ciò che colpisce: se la Storia è maestra in qualcosa, lo è in questo. Solo in superficie, accidentalmente, le cose cambiano, in profondità risuona sempre il detto dell’Ecclesiaste: “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”.

L’abilità, solo a tratti un po’ furbesca, di Dario Fo è quella di restituirci il periodo storico, per inciso la fine del Quattrocento e il primi due  decenni  del Cinquecento, attraverso il racconto delle gesta di una famiglia cui la vox populi,  e in parte la storiografia,  ha nei secoli attribuito ogni genere di nefandezza: la famiglia Borgia, con il capostipite Rodrigo, che diverrà papa,  i figli Cesare,  e Lucrezia, soprattutto,  la figlia del papa appunto, principalmente messi in evidenza

 E’ una storia d’inganni di cui Lucrezia soprattutto farà le spese. Sin da bambina, infatti, ella sarà vittima del padre - che si fingerà per tanti anni suo zio, lo zio cardinale, fino  quando eletto papa non rivelerà la verità alla famiglia -  e del fratello,  lo spietato Cesare. Pedina nelle loro mani ella sarà costretta a sposarsi  più volte per assecondare la ragion di stato ma saprà lentamente emanciparsi e rivelare una natura forte, libera, capace di volgere a proprio favore anche le disavventure.

Così il romanzo si configura come la celebrazione di una donna, che per la storia è controversa e  che, invece, secondo la versione di Dario Fo,  fu manovrata sin da bambina, facendo con coraggio emergere la propria personalità contro tutto e contro tutti, figura di eroina, determinata e compassionevole, che seppe sfuggire al degrado morale della sua epoca e della sua famiglia, uscendo paradossalmente pulita dal pantano di calunnie, illazioni, maldicenze che la perseguitarono tutta la vita e addirittura nei secoli successivi la sua morte. Tra queste maldicenze Fo annovera anche le accusa d’incesto con il padre papa e con il fratello Cesare, che tanto hanno infiammato l’immaginazione dei contemporanei e dei posteri, fino a fare di Lucrezia Borgia  la figura luciferina di una pericolosa e dissoluta femme fatale.   

 La ricostruzione di Dario Fo, non so quanto storicamente attendibile, è comunque interessante, al solito egli ci conquista con un’affabulazione moderna intessuta di passione per la storia, magari rielaborata secondo il suo estro.  il romanzo ha però il  limite di avere una conclusione debole, un finale in sordina, un epilogo opaco. Anche certi dialoghi sanno troppo di fiction, di feuilleton, per essere pienamente credibili, si rinnova la sensazione che linguisticamente Dario Fo avrebbe dovuto osare di più, nella ricostruzione di un linguaggio rinascimentale che fosse totalmente accettabile e magari più colorato, più sontuoso e spumeggiante, e forse anche più arduo, meno leggibile. Troppo spazio viene inoltre  dato alle vicende amorose con qualche spiacevole caduta nel romanzo rosa.

La figlia del papa è comunque un’operazione letteraria coerente con il percorso artistico di Dario Fo, ed è tutto sommato un  romanzo che si può leggere, senza,  però,  aspettarsi troppo. Un premio Nobel può scrivere anche un romanzo senza troppe pretese, gradevole, un testo che più che alla grande arte appartiene alla letteratura di consumo. Non bisogna per questo gridare allo scandalo. Io l’ho letto volentieri, traendone anche diletto, nonostante nutra da sempre riserve su Dario Fo.  Il testo è anche accompagnato da disegni dello stesso Fo, che ha realizzato anche la copertina, disegni interessanti che arricchiscono il testo e fanno del libro un’operazione artistica a tutto tondo.


4 commenti:

Mia Euridice ha detto...

Dario Fo romanziere.
Non so.
La tua scheda è abbastanza chiara e di sicuro non invita più di tanto.
Mi sa che lo lascerò andare...

Ettore Fobo ha detto...


@Euridice

Sì, non me la sento di consigliarlo più di tanto. Non è brutto, intendiamoci, ma francamente ha dei limiti.

Silvia Pareschi ha detto...

Be', consideriamo anche l'età dell'autore :-) Vorrei proprio arrivarci così, a 88 anni!

Ettore Fobo ha detto...

@ Silvia

Infatti, ho parlato anche di un artista capace di rinnovarsi. Il che non è poco a quell’età. Ma il romanzo, sebbene anche divertente, è un po’troppo facile, anche nella scelta del tema. Detto semplicemente: mi aspettavo di più.