domenica 23 giugno 2024
Perché non leggo libri con la parola feeling nell’incipit
Mi piace nello scrittore la
mancanza di ogni attitudine sociale, l’incapacità anche arrogante (me ne sto in
un angolo a depensare) di arringare un pubblico con aria di conoscerlo, di
avere domiciliato nello stesso letto che oggi è fatalmente letto televisivo.
Quindi poca o nulla visibilità televisiva (Debord, Ceronetti), libri che non nascono per intrattenere platee ma per esigenze anche compulsive, viscerali, brutali (Artaud, Sade), facce scavate dallo stile, che è il carattere (Benn, Pasolini). Carattere che è la ferita essenziale della psiche, la grande incisione del collettivo sulla pelle. È nell’urto fra individuo e mondo, nello shock che ne consegue, nell’enorme spargimento di sangue e parole, che si trova la grande letteratura, non nell’acquiescenza a modelli interpretativi a consumo delle folle. E niente consolazione per favore, niente linguaggio plastificato di matrice sociale, niente imitazione della sedicente Verità. Lo stile è la dura conquista della solitudine e dei solitari, il linguaggio si plasma nelle conversazioni interiori, e là che affiora quella bestia sacra chiamata pensiero. La letteratura sia dunque uno sguardo di demone sulle nostre consuetudini angeliche, o viceversa uno sguardo angelico sulle nostre ebrietudini demoniache.
3 ottobre 2010
Ettore Fobo
4 commenti:
Mai come adesso urge dispiegare l'urlo di lacerazione tra individuo e mondo. Più attuali che mai queste parole. E se le parole non devono mai consolare, consola molto me sapere che arriveranno nuovi spunti, nuove parole crude ad accendere il pensiero.
Un saluto
Elena
Sì è necessario "accendere il pensiero" cioè il desiderio. Grazie Elena.
Ettore
Preferisco restare nell’ombra, con queste folle, piuttosto che acconsentire ad arringarle nella luce artificiale manipolata dai loro ipnotizzatori.
[Guy Debord]
Grande Debord! Grazie della citazione, Humachina.
Posta un commento