domenica 5 giugno 2011
“La storia è un incubo, disse Stephen, da cui cerco di destarmi.”
James Joyce
“ Il loro progresso, come dicono, va avanti; va avanti, ma ci si chiede come possa andare avanti per sempre.”
Questa frase di un personaggio di Wells, posta all’inizio di questo saggio, immediatamente ne chiarisce le intenzioni, L’incidente del futuro si configura, infatti, come una riflessione sulla scienza e le sue applicazioni, su come esse abbiano trasformato la società in un rutilante incubo di informazioni senza freno, a rischio default; si configura come una riflessione sulle storture endemiche della tecnologia, sulle derive della scriteriata volontà di potenza insita in essa, che ormai si pone aldilà del bene del male, creando uno scenario di apocalisse etica senza precedenti nella storia dell’umanità.
La caratteristica più evidente del progresso, secondo Virilio, è la sua tendenza a imprimere al tempo un’accelerazione, il cui scopo è fondamentalmente di tipo nichilistico e consisterebbe nell’ ‘”eliminazione del mondo presente”. Se l’etica si distacca sempre di più dalla scienza, essa non è però, ne è mai stata, secondo il filosofo francese, in opposizione alla religione, ne rappresenta invece il suo completamento. Alla base del pensiero scientifico vi è una sorta di mania di grandezza che servirebbe principalmente ad evitare che l’uomo divenga consapevole della “esatta misura della sua piccolezza”. La scienza non sarebbe nient’altro che la costante profanazione di ogni limite, la sua liquidazione.
Così, sotto l’urto di questa nuova fede nell’avvenire, come aveva previsto la fantascienza di inizio Novecento, il mondo si è trasformato in una “vera democrazia virtuale, per telecittadini infantilizzati”. Come nella parole di Galimberti il progresso tecnico scientifico avrebbe ridotto l’uomo a “funzionario” di un apparato tecnico di cui egli avrebbe perso il controllo.
Allo stesso tempo sembra però che la tecnica fornisca all’umanità la soddisfazione di un desiderio infantile di onnipotenza, in nome del motto di vietato vietare, che avrebbe annullato, in una popolazione idiotizzata dai media, i confini dell’etica. Gli scienziati sono così al servizio di uno dei peggiori totalitarismi della storia, attraverso soprattutto la genetica e il nucleare si compirebbe ancora una volta quello “sfruttamento dell’uomo sull’uomo” di marxiana reminiscenza, e proprio attraverso la genetica si realizzerebbe l’incubo di una società in cui per la prima volta “ gli uomini fabbricano esseri umani per distruggerli”
” Come l’illusionismo, cui deve molto, lo sviluppo tecnoscientifico è diventato un’ ARTE DEL FALSO al servizio di un’ARTE DELLA MENZOGNA”.
Pare non ci sia soluzione nelle parole del filosofo francese, non c’è un aspetto della nostra società che si salvi da questa vertiginoso dispotismo della tecnologia, anche l’arte è completamente svuotata, puro segno vuoto di questo dominio.
Il testo rischia però di risultare un confuso agglomerato di citazioni anche slegate fra loro, e manca completamente una prospettiva di rovesciamento, come per esempio in Baudrillard, che perlomeno recupera la seduzione delle apparenze, sul piano del gioco. Virilio ci deprime, lasciandoci completamente vuoti, non dico di speranza, che sarebbe consolatorio, ci priva anche della possibilità di uno sguardo diverso, sembra gongolare del fatto che sì, a proposito del terrorismo, nei suoi scritti degli anni novanta, egli aveva visto giusto. La sensazione è che il filosofo ci dica che siamo dentro un incubo e non ci resta che applaudirlo, dato che lui, bontà sua, l’aveva predetto. La sua conclusione, terribile, è quella di molti filosofi contemporanei, egli vede soltanto” il crescere in potenza di uno STATO NERO MONDIALE“.
E il bello è che ciascuno di noi è annientato da questa prospettiva, senza nessuna possibilità di riscatto, giacché uno spaventoso “ sistema di condizionamento”, messo in moto dalla propaganda e dalla pubblicità, non lascerebbe più nessuno spazio per la libertà o per una scelta autonoma. Siamo perennemente sulle soglie di una catastrofe, la stessa che aveva visto Caraco negli anni sessanta, ma con maggiore potenza schizoide di Virilio, che in fondo scrive i suoi libri terribili con la sua bella cattedra in una prestigiosa università parigina. In nessuna parte del testo il filosofo propone qualcosa, si limita a snocciolare la sua triste litania di disfacimento, costellando la sua prosa di un’infinità di citazioni anche insignificanti. Stilisticamente il saggio somiglia a un patchwork di immagini casuali, l’insieme avvilisce senza mai affascinare realmente.
All’alba del nostro futuro il filosofo francese pare vedere soltanto una catastrofe ormai talmente annunciata, e forse desiderata, che ha già creato assuefazione e ci coglierà, probabilmente, indifferenti.
A questo punto mi chiedo a che pro Virilio continui a scrivere libri, si sforzi di comprendere una realtà di oppressione in cui l’uomo stesso è diventato inutile, pernicioso per se stesso, votato alla distruzione, se in qualche modo non è in grado di illuminare, anche flebilmente, la via di un‘alternativa.
Cosa si rischia a fare le Cassandre, preconizzando l’avvento di un totalitarismo ancora più spaventoso di quello in cui viviamo? Forse bisognerebbe allora avere il coraggio di ammettere, come Cioran, più volte citato nel testo, o come Leopardi, una banalità semplice e quasi di pubblico dominio: l’uomo e la natura sono consacrati e votati al male e questo non cambierà mai e che la storia, con tutte le sue prospettive di palingenesi, è solo una tragica buffonata, una farsa o, come diceva l’industriale Ford, citato dallo stesso Virilio, è un “bidone”.
2 commenti:
La scienza ha aperto una nuova era uminide da cui (peccato non ricorderemolo) l'uomo sarà semplicemente squartato e finirà la specie ecc ecc, finirà nel gelo o in un'orda confessionale fisiologica.
Ora siamo solo alle piccole biopsie, alle vivisezioni, autopsie in loco.
Tra poco, alle coppie verrà davvero in mente che riprodursi è una stronzata e non lo faranno più. La scienza ha garantito davvero solo materia decomponibile in grandi quantità con un massimo di efficienza dettata dalle misure protezionistiche del mercato dei consumi di massa.
Credo nel progresso diceva Pasolini, ma non in questo sviluppo.
Non è dato di avere salvezza ma almeno spero che prima del gran finale, per i rimanenti, ci sarà un po' di divertimento decadente, il bicchiere morto della staffa putrefatta... il gran finale, quello che nasce dal degenere e dal degenerato.
Per noi che siamo qui, l'unica cosa daffare è (parer mio) non credere in nulla dall'interno o dall'esterno, sghignazzare di tutto, di sé medesimi, della propria frammentarietà, delle proprie idiosincrasie e soprattutto degli sforzi, dei desideri, delle cose belle. Arrivare ad essere il disillusionista. Se vogliamo cioè essere qualcosa non potremo che essere la maschera e il trucco di noi stessi, ognun saprà quale verso, dentatura, rossetto e virgolettato donare alla propria assenza. in attesa del disfacimento delle carni e dell'assenteismo perfetto, dal lavoro e dalla vita.
ciao Ettore sempre belli (eppurtroppo sconsolanti) i tuoi scritti.
Sì, non credere più a nessuna farsa, soprattutto se intima, interiore lavoraccio per costruire un decrepito senso, cercare soltanto, fra i resti della propria disillusione, materia per de-cantarla, ma far questo unicamente per intrattenere se stessi, prima del gran finale. Grazie Daniz, sempre belli i tuoi commenti.
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