sabato 29 settembre 2012
The new Babel- opera di Fortunato Depero
***
Rovereto
(TN) 4 agosto 2012
Mi colpisce subito, appena
entrato nella mostra Ricostruzione futurista, la serie di quadri dedicati al
tema della Scenotecnica da Tullio Crali. Sono sospesi fra futurismo ed
espressionismo in una sintesi unica. Sembrano nascere da una visione
profondamente cinematografica della realtà, legati all’espressionismo oltre che
pienamente futuristi, risolti in una deformazione dello spazio in chiave
filmica. Sembrano anche scene di e da un teatro impossibile.
Più in là, due opere
straordinarie di Fortunato Depero: The
new Babel e Tunnel e grattacieli. Sono visioni della città di New York, che
ricordano Metropolis di Fritz Lang, rendono armonico il caos cittadino che
rimane un agglomerato di pulsioni dinamiche, straordinariamente sintetizzate
dal pittore futurista,nato in Trentino e vissuto proprio a Rovereto. Le opere di Depero sono così potenti che
valgono come un logo di New York, un suo marchio. Una testa di Mussolini, scolpita
da Renato Bertelli, è occasione per danzarle intorno, perché a ogni movimento
oculare intorno alla statua corrisponde la stessa mascella, lo stesso elmetto,
lo stesso profilo, è come se il volto si ripetesse intorno alla sfera.
Onnipresenza del duce. L’opera s’intitola appunto Profilo continuo.
C’è anche uno straordinario
esempio di pittura aerea: Incuneandosi
nell’abitato, opera di Tullio Crali, che induce riflessioni su come la
tecnica, in questo caso l’aereo, modifichi la visione. Ci sono dipinti di
Balla, fulminei, plastici, esoterici: un vortice di linee che attraversano lo
spazio, amplificato fino a risuonare
interiormente, ad agire sui nervi.
Ci sono due foto di Vaccari: in
una si vedono Man Ray e Duchamp che giocano a scacchi, nell’altra Depero che
legge una poesia a Marinetti. Nella prima c’è una frase satirica, dal
significato politico. Non la ricordo bene, mi sembra che fosse qualcosa come ”Duchamp lavora all’eliminazione
del lavoro”, perlomeno il senso è questo.
Le sculture metalliche di Fausto
Melotti, nella mostra Angelico geometrico,
fondono geometrie sospese a un’allure decisamente metafisica, ignorando la
pesantezza del marmo, perseguono leggerezze d’oblio. La contraddizione fra
materiale usato, perlopiù metallo, e fragilità dell’opera, conferiscono una vitalità misteriosa
all’insieme. Il corrispettivo pittorico di queste figure sospese nello spazio è
Mirò, di cui la mostra ospita un paio di dipinti. La mostra di Melotti è una
continua corrispondenza, altri autori sono avvicinati alla sua scultura,
Giacometti, Calder, Louise Nevelson, per restituirci il respiro internazionale
di colui che fu uno dei più grandi e uno dei primi scultori astrattisti
italiani. La sua è una scultura aerea fatta di pieni ma soprattutto di vuoti,
basata sulla “ modulazione” più che
sulla “modellazione” di forme. E’ un dialogo
con il vuoto dove però il vuoto è inteso nella concezione taoista.
Fra le altre assonanze della
mostra, rimango colpito in particolare da un’opera di Fontana degli anni
Sessanta, Concetti spaziali- la fine di
Dio, dove una distesa di porpora è bucherellata, mangiata da dentro. Che sia ciò che resta di Dio? Una
tela bucherellata, un tessuto sbrindellato, che sembra terra battuta, un telo
che fa aria da tutte le parti, divorato dalle termiti del pensiero, concetto
svuotato crivellato dai colpi mortali dell’Illuminismo.
C’è anche un De Chirico, che con
il suo gioco di specchi riflette un interno confuso raddoppiato appunto dagli
specchi. L’opera s’intitola Interno
metafisico e insieme con Composizione di
Carrà e Le poéte di Savinio, chiude
la mostra di Melotti, viaggio nell’arte moderna, viaggio dentro una metafisica del
vuoto e del pieno, dove tutto si fa segno geometrico che sembra alludere a una
dimensione sacrale, Angelico geometrico,
appunto.
Nella mostra dedicata a Willi Baumeister mi
colpiscono soprattutto i quadri africani, quelli ispirati alle pitture
rupestri, quelli in cui il pittore raggiunge una rarefazione del segno simile
agli ideogrammi cinesi e i numerosi dipinti che ritraggono atleti: tennisti,
ginnasti, calciatori. Un quadro in particolare, intitolato Muro bianco del tempio. E’ una distesa di bianco da cui affiorano
segni grafici indecifrabili. Emozionante e al tempo stesso freddo e privo di
emozioni. Evocativo in chiave zen.
La mostra di fotografie della
collezione Trevisan è vastissima e il museo sta per chiudere. Riesco a vedere
la stupenda rielaborazione di una foto di Marylin Monroe, cui Bert Stern
aggiunge una croce rossa, l’opera s’intitola Crucifix, e ammiro i colori e la composizione della foto di Silvia
Camoranesi Studio per Ofelia, ispirata a Dante Rossetti, all’iconografia
classica dell’Amleto shakespeariano.
Faccio in tempo a vedere che è presente anche la celebre foto di Tazio Secchiaroli di un episodio del jet set romano ai tempi della Dolce Vita, foto simbolo di quell’epoca. Di Diane Arbus mi colpisce un volto qualsiasi, deformato, quasi spettrale e comico in maniera sinistra nella risata fra lo scanzonato e lo schizofrenico.
Ci sono foto di Nan Goldin, Robert Mapplethorpe, Cartier Bresson, Vanessa Beecroft; Marina Abramovich, Francesca Woodman e altri. La mostra di fotografia meritava un più lungo sostare. Ne riporto a casa frammenti e me ne dolgo.
Un’ultima annotazione, le sale sono collegate da
una sorta di tunnel in cui appaiono delle scritte, voci della memoria, che ti
sorprendono durante il percorso. E’ un serpente di parole che si srotola
davanti ai nostri occhi. La sensazione è che più che parole scritte, siano vere
e proprie voci, che risuonano nella mente.
Anche questa è un’opera emozionante, purtroppo
non ricordo il titolo né il nome dell’autore. Con la consapevolezza di non aver
preso abbastanza appunti, lascio il museo.
6 commenti:
Rompere con la tradizione è fondamentale per andare avanti e progredire in questo cammino lentissimo verso l'emancipazione dell'uomo dall'uomo e da tutte le sovrastrutture che ci allontanano sempre più dall'essenza, da ciò che siamo realmente... Proprio per questo le religioni si basano sulla reiterazione di un rituale che fermi il tempo, che stabilisca dogmi inconfutabili e impedisca al pensiero di evolversi...
Ben vengano dunque i futuristi con le loro ricostruzioni dell'universo, a ricordarci che siamo co-creatori di questo mondo e dunque in grado di cambiarlo...
Come piccolo contributo vorrei ricordare Adele Gloria, che negli anni trenta si è fatta portavoce delle donne stanche di accettare lo stereotipo femminile della donna del sud casa-marito-figli e che ha aderito al futurismo quasi per caso. Dopo avere inviato, per protesta, delle poesie a Marinetti quest'ultimo le ha fatte pubblicare nella rivista ufficiale del movimento, "Futurismo", e da lì ha avuto inizio la sua carriera di giornalista, scrittrice ed aeropittrice.
un abbraccio
Rompere con la tradizione è vitale. Ancora di più in un paese come l’Italia dove la cultura tende facilmente a essere una forma d’ imbalsamazione del passato. Grazie del bel commento, Maria, un caro saluto.
Ben ritrovato Diogene, direi che i tuoi commenti sono molto futuristi. Inoltre credo che tu abbia ragione nel dire che queste opere trascendono la visione ottimistica propugnata dall’ideologia. Ho visto Cityscape e mi sembra che in quei palazzoni micidiali ci sia qualcosa di opprimente, come nel resto nelle due opere di Depero di cui ho parlato. Un caro saluto.
Posta un commento