domenica 13 gennaio 2013
“Per un po’ d’ironia si perde tutto”
Salvatore Quasimodo
Mattatoio n.5 o La crociata dei Bambini di Kurt Vonnegut fa l’
effetto di quando in una pietanza si mescolano sapori diversi o addirittura
contrastanti. Fantascienza e comicità si trovano composte in quello che
fondamentalmente è un atipico romanzo di guerra, il fantastico è così fuso al
realismo, e infine deformato addirittura
nel grottesco. Sono sapori forti che possono disgustare o affascinare per il
loro esotismo, sono sapori che a mente fredda mi sembrano troppo distanti.
Questo romanzo è un’operazione
ironica, e questa ironia smorza la sua carica eversiva di documento contro la
guerra, essendo la trama troppo caricaturale perché sia davvero presa sul
serio, in sostanza l’ ironia rende l’insieme troppo fatuo, poco credibile,
dissonante rispetto alla tragicità della guerra. Il romanzo si situa così in
quella terra di nessuno fra satira e
parodia.
Probabilmente è proprio questa
stranezza, che non mi convince, questo suo sapore agrodolce e tragicomico, che ne hanno fatto un romanzo di culto. Questa eterogeneità di sensazioni, che io
trovo quasi fastidiosa, è la ragione che forse ne ha determinato il successo, sul finire degli anni sessanta, quando questo
tipo di procedimento rappresentava una novità. A distanza di più di quaranta anni ci si chiede come questa
parodia abbia potuto incarnare qualcosa, il pacifismo e l’antimilitarismo, per giunta,
di una generazione evidentemente confusa.
Mattatoio
n.5 fu scritto, infatti, per
ricordare una delle pagine più nere della seconda guerra mondiale, il
bombardamento di Dresda, e ciò mi pare incongruo, perché in questo romanzo
quello che manca è proprio il senso del
tragico e la vicenda di Dresda è liquidata in poche pagine. A meno che tutto non si riduca a essere un
gesto di esorcismo verso una realtà dolorosa: trasformare in farsa ciò che
inizialmente era tragico. In tal caso,
l’esorcismo funziona per l’autore, meno per i suoi lettori che si trovano
davanti una storia bizzarra. Ho dei dubbi persino sull’eticità di tale
operazione, giacché tutto, anche l’orrore della guerra, è descritto come una buffonata demenziale, da non prendere troppo sul serio.
Il protagonista Billy Pilgrim è il classico
uomo medio, il classico uomo qualunque, che si trova catapultato in situazioni più
grandi di lui: la seconda guerra mondiale, con la detenzione in un campo di
prigionia tedesco, viaggi nel tempo che fanno vorticare casualmente episodi distanti della sua vita e addirittura
un viaggio spaziale verso il remoto pianeta di Tralfamadore.
Così Vonnegut mescola
ironicamente il fantastico con la realtà della guerra risultando per me dissonante:
a tratti sembra così un romanzo per ragazzi, a metà fra il fumetto e la space story, non del tutto riuscito come fumetto e non del tutto convincente come space story; le cose
migliori sono quelle legate alla guerra e alla detenzione, dove Vonnegut pesca
nei propri ricordi: egli fu effettivamente detenuto in un campo di prigionia
tedesco, durante la seconda guerra
mondiale e assistette al bombardamento di Dresda da una grotta scavata nella
roccia sotto un mattatoio, e al protagonista Billy Pilgrim capita più o meno la
stessa esperienza, da cui il titolo.
Ridotto all’osso, come romanzo di
guerra, forse sarebbe stato più interessante, gli elementi fantascientifici, palesemente
ironici oltretutto, mi sembrano un travestimento pleonastico, tolgono
credibilità alla storia e la rendono un confuso guazzabuglio di sapori. Sapori
troppo diversi, contrastanti, dicevamo all’inizio. Esiti tragici che diventano
farseschi, esilaranti quasi,
disorientano e lasciano perplessi. Il racconto è volutamente demenziale,
grottesco, il procedere della narrazione farsesco, parodistico. il romanzo
oscilla fra la satira e la favola, senza
avere la ferocia della prima né
l’incanto della seconda. Il protagonista è il classico ”uomo senza
qualità”, una sorta di Forrest Gump ante
litteram e allora ci si chiede come sia possibile affidare alle vicende di
tale insulso personaggio un qualsivoglia messaggio contro la guerra.
Il tutto è inoltre appesantito da un opaco, e forse
semplicistico, fatalismo, esemplificato
dall’espressione ”Così va la vita.”,
che si trova a ogni piè sospinto, e che si vorrebbe ironica o sarcastica. Ecco,
l’ironia dell’insieme non mi convince, il libro non è poi così divertente e
neanche come romanzo fantastico funziona, perché la distanza data dall’ironia non
permette di immergersi nella storia e di sospendere l’incredulità. Sostanzialmente
è un romanzo troppo paradossale, ”scritto
un po’ nello stile telegrafico e schizofrenico in uso sul pianeta Tralfamadore”. Mi sembra che Vonnegut strizzi troppo l’occhio a un
ipotetico lettore, dicendogli: ” Ehi non è importante, sto solo scherzando”. Ecco,
qui mi viene in mente la freudiana
differenza fra gioco e scherzo: il
gioco, infantile, è vitale, creativo e lo scherzo, adulto, è codificato, morto.
Così mi è sembrato Mattatoio n. 5, uno scherzo, non riuscito per giunta,
perché rende tutto falso, anche lo sgomento e l’orrore verso la guerra. C’è della genialità tragicomica va bene, ma
davvero questo non è il tipo di
letteratura che mi appassiona.
Anche in un romanzo che non mi è
piaciuto, c’è comunque una frase che da
sola ne vale forse l’acquisto:
“Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre,
tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su
un massacro, cose tipo ‘Puu-tii- uiit?’”.
Lo si può leggere allora in
questo senso; l’orrore della seconda guerra mondiale è indicibile, come ha
spiegato Adorno, non si può scrivere un romanzo che sia capace realmente di
esorcizzarlo, scriviamo allora una
parodia. Grande è stata, comunque, l’influenza
che questo romanzo ha avuto sulla
cultura pop: e penso a fumetti, cartoni animati, film.
In sostanza, però, Mattatoio n.5 sembra il trionfo di una visione postmoderna della
letteratura che oggi, a più di quaranta
anni dall’uscita del romanzo, mi appare logora e datata.
6 commenti:
Forse dovrei leggerlo...
A meno che il messaggio non sia proprio la perdita del senso del tragico e della capacità di partecipare al mondo, se i piani del vero e del fantastico si mescolano e regrediamo ad uno stadio infantile dove tutto è bidimensionalizzato su uno schermo, una sceneggiatura sottovetro, buffa o indifferente, comunque lontana, nauseante, irreale. Non ho letto il libro, ma il tuo commento mi fa pensare alla distanza che ci separa dal nostro futuro, alla stanchezza di un presente svuotato.
Il messaggio però non giustifica qualunque scelta narrativa e ciò che provoca fastidio resta.
Di certo, ora sono curiosa.
Ciao, Ettore
Elena
@ Euridice
Per me è stata un po’ delusione. Avevo, però, grandi aspettative. Praticamente sono cresciuto con il mito di questo libro.
Davvero un bel commento, Elena, senza neanche aver letto il libro ne hai dato un’interpretazione plausibile. Ci penserò sopra. Mi piace soprattutto il riferimento allo ” stadio infantile dove tutto è bidimensionalizzato su uno schermo”.
Tolta dal contesto, usata in senso ampio, questa tua frase si può riferire a tutta l’epoca in cui viviamo, dove un certo potere, divenuto mediatico, ha tutto l’interesse a farci rimanere allo stadio infantile. Storia vecchia di secoli, di millenni, che si ripropone ora con nuove armi.
Per rimanere al romanzo, ho proprio l’impressione che la dimensione del fantastico sia usata, anche consapevolmente, non ho ragione per metterlo in dubbio, per fuggire dalla realtà, in questo caso dalla realtà della guerra. Su Wikipedia il romanzo viene definito cosi: “una fuga nella fantasia per sfuggire agli orrori della guerra e alle miserie della vita quotidiana in America.”
Procedimento anche legittimo ma io preferisco i romanzi in cui invece il fantastico è usato come lente d’ingrandimento del presente, dove si cerca di indagare il reale e non di sfuggirvi.
Ciao
beh, fra post di Ettore e commento di Elena anche a me è venuta la curiosità di leggerlo. anche per le influenze che ha avuto. la società in cui siamo, e anche la dissacrazione e la ribellione contro di essa, come uno sterile algido automatico futile sillabante scherzo svuotato su uno schermo comico caricaturale/evasivo? la coscienza ridotta a un trabiccolo/cartone animato ridicolo, senza la grandezza epica del fantasy in cui invece, nei casi meglio riusciti, il reale è vinto, e non fuggito?
@ Diogene
Tutti i commentatori sono rimasti incuriositi, nonostante questa sia una critica negativa. Le vie della letteratura sono infinite. Ribadisco: a me non è piaciuto, però riconosco che non è un romanzo banale. E’ originale, fino alla bizzarria, appunto.
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