La festa dell'insignificanza - Milan Kundera

lunedì 6 gennaio 2014







La prima sensazione che mi coglie leggendo La festa dell’insignificanza di Milan Kundera non è positiva. Il primissimo pensiero è che il titolo stesso sia addirittura una sorta di involontaria autocritica. Arrivato a 84 anni lo scrittore ceco scrive l’ennesimo romanzo a tesi. E’ la sua cifra stilistica: ogni romanzo vuole dimostrare qualcosa e si  costruisce intorno a un’idea, in questo caso sull’idea che l’insignificanza, l’ordinarietà, siano dei valori da opporre,  e probabilmente da preferire,   all’eccezionalità.  Quindi l’insignificante burocrate sovietico  Kalinin,  ridicolmente affetto da problemi urinari, finisce per dare  il proprio nome alla città di Königsberg, una serie di personaggi si muovono nella Parigi contemporanea con pensieri qualunque, vite qualunque, emozioni qualunque,  dando origine,  appunto,  a un romanzo qualunque, spento, incolore, in fondo grigio.  

Pare che solo il mestiere sorregga Kundera -  tradotto per Adelphi da Massimo Rizzante in quella che è la prima edizione mondiale del romanzo - che scrive questa apologia della mediocrità  acuendo quelli che sono i suoi difetti storici, che emergono nelle opere meno riuscite,  come questa: la mascherata della modestia, il tono un po’ troppo amicale della narrazione, la necessità di far apparire quelle che sono banalità come delle rivelazioni epocali, il tono furbescamente dimesso che nasconde labirinti di pensiero forse in questo caso un po’ inconsistenti. Ancora di più tutte queste cose sono visibili in un romanzo che fa dell’insignificanza, della mediocrità, il proprio cardine. E’ un pensiero che non regge: come è possibile scrivere qualcosa di interessante su questo tema? O addirittura qualcosa di nuovo?  Mi sembra che sia la classica buccia di banana su  cui scivolare.

Spiace dirlo ma sembra che Kundera abbia fatto il suo tempo, scritto i suoi capolavori (secondo me “La vita è altrove” e “Amori ridicoli”) e con questo suo ultimo romanzo cerchi i brandelli di un’ispirazione ormai consumata.  I suoi romanzi sono ormai dei refrain sentiti cento volte, non danno il brivido della novità  -  e questo ci può anche stare – ma nemmeno ci consolano al focolare della tradizione. In questo romanzo non c’è fuoco, rimane la cenere di un’ispirazione che a suo modo ha segnato il Novecento.

 Kundera in questo libro pare proprio  uno scrittore di un altro secolo, catapultato nel nostro per errore e che continua  a proporci la stessa formula di romanzo che lo ha consacrato. Così il romanzo procede un po’ stancamente  facendo affiorare personaggi e vicende che s’intrecciano,  lasciando nel lettore la sensazione,  che si fa via via più potente con il trascorrere delle pagine,  che Kundera imiti se stesso, incapace di rinnovarsi, di ridare impulso a una narrazione in fondo anche noiosa, tanto più noiosa quanto più  cerca di essere brillante e briosa.  Che l’insignificanza suprema si nasconda ovunque, anche nelle tragedie della storia, è un’idea che stupisce per la sua banalità, non sembra proprio un tema su cui si possa costruire un romanzo. Così La festa dell’insignificanza sembra un giocattolo che ha smesso di funzionare, un esperimento letterario non riuscito, espressione stanca  di un’ispirazione in declino.

 La consueta bonomia di Kundera, la sua ostentata leggerezza di tono, la sua placida  ironia,  in questo romanzo sono addirittura irritanti, residui di un approccio alla letteratura che ha fatto il suo tempo, e che oggi mi  pare datato, o comunque logorato dal passare del tempo e dalla ripetizione di un identico cliché. Ecco,  questa è la sensazione principale, che Kundera ripeta il modello di romanzo che lo ha reso celebre, senza avere però la forza  immaginativa degli anni migliori,  cadendo nel tranello di rifare se stesso. Può darsi che gli appassionati di Kundera ci trovino le stesse atmosfere che amano da anni, io penso invece che La festa dell’insignificanza sia un romanzo debole, realtà questa  nascosta da un titolo azzeccato, come  è già capitato allo scrittore ceco, che deve la propria fama anche alla capacità di suggerire un’atmosfera con titoli geniali, leggendari, quali “L’insostenibile leggerezza dell’essere” o “Il libro del riso e dell’oblio”.

Che La festa dell’insignificanza esca nel 2013 non è un caso,  così se non altro Kundera cattura in un’immagine l’essenza stessa dell’epoca in un cui viviamo. Che poi a il  titolo sia più suggestivo del romanzo  era capitato anche per  ”L’insostenibile leggerezza dell’essere”.  Ma se quest’ultimo  aveva comunque dei pregi, e mi era parso tutto sommato un romanzo interessante, anche se non eccelso,  la mia sensazione è che La festa dell’insignificanza non verrà annoverato  fra le opere migliori di Kundera.

2 commenti:

Logos ha detto...

Ciao Ettore,
approfitto dello spazio per un complimento circa l'articolo sulla Poesia Connettivista apparsa in rumeno.
Ciao e buon anno.
Alex

Ettore Fobo ha detto...

Grazie Logos. Confido di ricevere presto una copia della rivista in cui è apparso l'articolo, copia a te destinata, ma essendoci di mezzo le poste non so dirti quando. Già due copie sono andate smarrite. Buon anno anche a te.