sabato 20 maggio 2017
Leggere David Foster Wallace significa
quasi sempre affrontare un periglioso discorso sulla letteratura che ne mette
in crisi gli assiomi e ce la ripropone come gioco metaletterario e matematico,
dove la realtà è smontata e riproposta
brandello di un mistero che ci ingloba tutti. Siamo, infatti, tutti
chiamati a partecipare al gioco come lettori, costretti dall’autore a
profonderci in uno sforzo creativo, a volte davvero notevole.
I racconti di questa raccolta, La ragazza dai capelli strani,
riproposta recentemente nella collana “I grandi romanzi del 2000” dal Gruppo
Editoriale l’Espresso, nella traduzione di Martina Testa, uniscono la
leggerezza e la freschezza dell’ispirazione con le difficoltà di una scrittura
straniante che, se esce dai rassicuranti alvei della letteratura tradizionale,
s’impone come una congerie di colpi di genio e stranezze che a volte paiono un
po’ gratuite. L’insieme fa comunque dell’autore americano un punto di riferimento
importante per chiunque si occupi di letteratura.
È un discorso sulla contemporaneità
nel racconto in cui al mondo della
televisione sono restituiti una potenza e un fascino pericolosi e forse annichilenti;
è un breve ma intenso tour de force narrativo nel racconto di
un attacco di cuore, dove climax e pathos raggiungono un equilibro di
grande potenza letteraria, nel secondo
racconto; è la creazione di un altro
mondo nella decostruzione narrativa di una gioventù americana sbandata e psicotica, nel racconto
eponimo; è un duello a due voci che si contendono la
scena nella descrizione della fine di un amore, in da Una parte all’altra, dove a raccontare la storia sono i due
personaggi, che regalano riflessioni profonde sulla stessa arte di narrare e
sulla letteratura più in generale, riuscendo nel difficile intento di ampliare
il suo mistero, in un controcanto con momenti di genialità cristallina.
Molta carne al fuoco, a volte troppa, ma quel
troppo è comunque sostenuto da una scrittura vigorosa che fa perdonare, per
esempio, gli eccessi del racconto surreale intitolato John Billy, dove la storia è un pretesto per dimostrare
l’artificiosità stessa del processo letterario ma in cui l’autore per eccesso
di parodia finisce per essere meno convincente che altrove e per divorare se
stesso, per così dire.
Il meglio di Wallace in questa
raccolta sono l’attenzione ai dettagli e la gestione del tempo narrativo, il
ritmo. Wallace conosce bene la materia di cui tratta, può essere un quiz televisivo,
l’alienazione di un gruppo di giovani, le funzioni metanarrative e metaletterarie, le tensioni
nascoste di un talk show e rende il
tutto con una prosa sospesa fra cura certosina e ironia. Ecco, l’ironia di Wallace non è certo uno
scherzare con la materia della sua immaginazione ma un prendere le distanze dal
proprio ruolo di autore onnisciente e lasciare la scena ai personaggi che sono
l’incarnazione della propria ombra e di quella di tutti noi. L’ironia è
nell’etimo greco finzione, Wallace ci mostra che la letteratura è un mondo
finto, un teatro di cartapesta dove l’autore non è meno burattino dei propri
personaggi. Ciò nonostante, come in BreviInterviste con uomini schifosi creava da un banale tuffo da un trampolino
una dimensione quasi trascendente, qui uno dei racconti migliori è su un
massaggio cardiaco operato nei sotterranei di palazzo a fine giornata di
lavoro. Racconto in sé semplice in cui però Wallace è maestro nel dilatare i
tempi della narrazione toccando i vertici di un’intensità epica non disgiunta
da una verve minimalista. La fusione
di questi elementi conferma l’abilità e la consapevolezza di Wallace.
A volte il gioco gli prende un po’ la mano e
abbiamo qualcosa di fumoso o eccessivamente cervellotico, eccessivamente denso,
con cui fare i conti. Infatti, davanti a
certe digressioni metaletterarie a volta affiora un fastidio: è il fastidio che
si prova davanti al mago che svela i propri trucchi.
Tuttavia l’abilità di Wallace è
tenerci attaccati alla pagina, giostrando la tensione in un climax fondato su elementi semplici come
nel racconto sul David Letterman show dove tutto è incentrato sulla paura della
protagonista di essere ridicolizzata dal presentatore. In questo racconto Wallace si dimostra
conoscitore del mainstream televisivo
americano anche se eccede con oscuri
riferimenti alla cultura pop del suo
paese. Però, il racconto è davvero molto avvincente, e in una maniera strana,
indagando Wallace nella tensione di un’attrice coinvolta in quella che si prospetta,
più che un’intervista, un gioco al massacro.
Dire mai è invece un racconto confuso, incerto, contorto, farraginoso,
si fa davvero fatica a concluderlo. È
tutto verde è un racconto molto breve e in fondo insignificante.
Nel complesso Wallace appare uno
scrittore in grado di leggere la sua era e sviscerarne i miti e le debolezze
con una scrittura fluttuante, viva e con uno sguardo fra l’ironico e il
sornione anche se talvolta eccede nel solipsismo di una prosa che diventa uno
specchio in cui finisce per contemplarsi.
2 commenti:
Mi ritrovo molto in questa tua analisi. Il troppo che alberga in questi racconti come anche e più in Infinite Jest è una delle ragioni principali per cui David Foster Wallace viene da molti detestato. Eppure trovo che questo "troppo" sia un elemento chiave che fa dei suoi scritti quello che sono. Non voglio estremizzare affermando che Wallace sia Wallace soltanto perchè è eccessivo, non lo penso in realtà, e trovo che ci siano talmente tanti livelli di lettura da scandagliare oltre alla pura sperimentazione, da escludere l'ipotesi che si tratti di furberia o trovate a effetto. Però ho spesso riflettuto su cosa sarebbero questi racconti senza tutto il loro troppo, e l'impressione è che potrebbero risultare perfino stucchevoli.
Certo è che la lettura di Wallace non è soltanto impegnativa, è un'esperienza strana. E non passa mai molto tra un libro e l'altro di altri autori perché mi venga in mente di tornare su qualche suo racconto, su Infinite Jest, su Brevi Interviste, su La scopa del sistema, anche sulle sue interviste. Come se da lì scaturissero domande infinite, allarmi della coscienza che non si spengono mai.
@Elena
Colpisce e inquieta a un tempo la densità della sua prosa. Per me è sempre una lettura che procede con lentezza e a volte rimane come sensazione profonda da elaborare. Ciò che lo rende interessante è anche ciò che può alienarli simpatie. Le cose sue che preferisco sono, comunque, quelle più semplici, racconti in cui il minimalismo dei contenuti incontra lo sfarzo quasi barocco della prosa.
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