Ubik – Philip K. Dick

sabato 12 maggio 2012



Philip K. Dick è un grande narratore, uno di quegli scrittori in grado di tenerti incollato alla pagina, per sapere “come va a finire”, come nelle lande dell’infanzia, quando si leggeva per ricercare il piacere della scoperta e il senso del meraviglioso.  Così la lettura di Ubik è una rivelazione, trattandosi questo di un romanzo iperstratificato, dove il postmoderno e la fantascienza fanno a gara per confonderci, per gettarci in un’arguta architettura di eventi, che sostanzialmente hanno lo scopo di disorientare, per rivelarci come tutta la nostra vita non sia nient’altro che un sogno, essendo la realtà la costruzione fragile di una soggettività allucinata.

Ubik, spogliato dei suoi attributi fantascientifici, è, infatti, una riflessione potente sulla precarietà dell’esperienza sensoriale e della vita stessa, in un continuo gioco d’inganni e depistaggi il protagonista Joe Chip dal futuro si trova catapultato in un mondo alternativo, un’America degli anni Trenta, dove dovrà lottare insieme ai suoi compagni di avventura per la sopravvivenza. Detto così sembrerebbe lineare ma sotto c’è un sostrato d’inganni per cui le cose si riveleranno molto diverse.   Qui dove tutto è gioco, un abile giocatore come Dick ci catapulta in una storia in cui non ci sono certezze, in cui tutto è labile, provvisorio, ingannevole e falso.

Ubik è il nome di una sostanza miracolosa all’interno del romanzo ma è anche, come chiariscono i paragrafi in esergo ai capitoli, la quintessenza della merce, essendo ora un unguento, ora una marca di caffè, ora un rasoio, ora un tranquillante, ora un deodorante,  eccetera eccetera,  e infine coincidendo con Dio stesso. Parrebbe il leggendario soma vedico ma nelle sue trasformazioni racconta l’ossessione capitalistica per l’oggetto assoluto, la merce perfetta. Il romanzo, dunque, si configura come una profonda e terribile riflessione sulla reificazione dell’esistenza, Ubik, la merce perfetta, è appunto ubiqua, onnipresente, e s’identifica con il logos ordinatore; in un universo che progressivamente perde consistenza, solo lei, la merce, è in grado, nelle sue imprevedibili mutazioni, di essere il centro e il motore di ogni cosa.

Così Dick con questo romanzo mette a nudo il Capitalismo stesso, mostrando come esso sia entrato in ogni interstizio della vita ma anche della morte, giacché in questo romanzo i morti continuano una larvale esistenza, chiamata semi vita, gestita come un enorme business da imprenditori dai nomi improbabili.
La trama è talmente labirintica che riassumerla significherebbe sminuirla, perché il meccanismo che Dick crea ha una sua coerenza allucinata, che in una sinossi si perderebbe.

Quello che conta realmente è notare come in questo romanzo il reale si confonda in una fantasmagoria d’illusioni, la vita e la morte si mescolino, e tutto viene costantemente ribaltato, per sorprendere il lettore, sul piano del meccanismo narrativo, sul piano filosofico per ricordarci che il reale è fittizio, l’esperienza umana non ha più consistenza di un’allucinazione ipnagogica. Il linguaggio di Dick è semplice, il suo stile di scrittura immediato e non particolarmente elaborato, eppure la sua capacità di narratore è straordinaria e le implicazioni filosofiche evidenti. Come un prisma Ubik offre al nostro sguardo tali e tante sfaccettature che si rimane storditi, tutto condito con un umorismo nero e con un’irrefrenabile tensione alla parodia in chiave postmoderna. Suspense, humor nero, elementi di spy story, fantascienza, metafisica, sono mescolati in un affresco che ci racconta sostanzialmente l’assurdità dell’esistenza, la sua imponderabilità.

Romanzo di culto,  Ubik fu pubblicato nel 1969 e, a distanza di più di quarant’anni,  conserva il suo fascino misterioso, il suo ambiguo messaggio rimane sostanzialmente  indecifrato, il finale, infatti, spiazza il lettore rimettendo tutto in gioco, come in una spirale infinita. E’ questa l’esaltazione del divenire e della trasformazione, la stessa realtà è tutt’altro che stabile, oscillando vertiginosamente fra incubo e allucinazione.
In questo regno di mistificazioni si perde l’orientamento, lo scopo di Dick, oltre quello di sorprenderci per tenerci avvinti alla pagina, è quello di mostrare che non vi è alcuna certezza nella vita, tutto è aleatorio.

Ubik è dunque letteratura allo stato puro, un gioco sottile di contraffazioni in cui anche la stessa verità è sospetta, o meglio non è possibile,  il  procedere della narrazione di Dick  è  un grande gesto d’illusionismo, che ci seduce, ci sconcerta, ci toglie letteralmente la terra sotto i piedi e ci lascia la sensazione finale della beffa, perché qui  lo scrittore si mostra onnipotente, fa dei suoi lettori ciò che vuole, se li rigira tra le mani come  gli stessi personaggi che ha creato.

4 commenti:

zoon ha detto...

bello. l'unico romanzo di dick che mi è piaciuto davvero...

Ettore Fobo ha detto...

Io ne ho letti altri due: Redenzione immorale e Follia per sette clan. Li ho apprezzati, anche se non quanto questo.

eustaki ha detto...

ciao ettore, sono stato un fan di dick anche se col tempo l'ho un po' ridimensionato

un saluto

Ettore Fobo ha detto...

I romanzi che ho letto li ho trovati divertenti, questo in particolare mi sembra folle, geniale. Ciao Eustaki