sabato 14 settembre 2013
I poeti meditano sui simboli, ne
fanno quasi la legge dello spirito. E hanno ragione. Già Baudelaire vedeva nella
natura una “foresta di simboli” e ne
era insieme sconcertato e inebriato. Così in questo libricino edito da Passigli,
Il silenzio fiorisce e altre poesie,
scopriamo i temi, i simboli, che avvolgevano la mente di uno dei più noti poeti
russi d’inizio Novecento, Aleksandr Blok.
Per un errore o una svista dell’editore, non ci è dato sapere il nome
del traduttore, peccato. Queste poesie irrompono nella nostra sensibilità con
ieratica dolcezza, con stralunato incedere di allucinazione ipnagogica. E ci
riempiono di nostalgia. Nostalgia del non provato, nostalgia di un’epoca non
vissuta che, ambigua e oscura, si distende sotto il nostro sguardo. Sono
perlopiù poesie crepuscolari, notturne,
velate di una malinconia spettrale.
Su tutto domina un archetipo
femminile, la Bellissima Dama, che incarna le aspirazioni e gli aneliti del
poeta, figura idealizzata e sfuggente che raccoglie in sé le dinamiche di un
tardo romanticismo soffuso di sospiri, ingioiellato di una tenerezza che
appartiene a una sensibilità morbosamente accesa, come quella del poeta russo. E’
uno stereotipo tardo romantico cui, però, Blok inietta una nuova forza, la
forza della sua sognante malinconia. E come scrive Bruno Carnevali (sarà lui il
traduttore?) nella prefazione: “la
Bellissima Dama, l’ipostasi femminile della divinità[…]d’improvviso si
vanifica, si rifiuta all’amante, e la Bellissima si fa Sconosciuta.”
Altro ruolo hanno le maschere,
Arlecchino, Pierrot, Colombina, inscenano la gran commedia del mondo e
dispaiono, sono proiezioni della fantasia di Blok che vede nel mondo solo un
palcoscenico per una recita triste. Non mancano visioni, allucinazioni, la
città, sempre notturna, è trasfigurata:
“e sulla torre del campanile/ fra balli risonanti e rombo di bronzo/ una
campana festosa/ mostra la lingua insanguinata”.
Fra bettole e vicoli bui,
tagliati dalla gelida luce lunare, si muove come un fantasma il poeta,
incarnazione di tutta l’umanità,
portando il peso di un mondo segreto,
bisbigliando le parole degli indovini, rinnovellando il sapere stregato
dei maghi. “Cupi misteri mi sono
confidati” confessa il poeta, fra meraviglia e sconcerto. “mi è affidato un sole sconosciuto”
nell’ebrezza confusa dell’alcol, mischiato agli effluvi insani della primavera,
che turbano la mente, già persa nel divagare delle fantasticherie.
Il centro di questi movimenti
tellurici dell’anima è la sconosciuta, “una
figura di fanciulla avvolta di seta”. E’ un’apparizione che sta alla
finestra e sprigiona ”antiche credenze”,
e a quest’immagine il poeta è devoto come a un sogno d’immacolata perfezione.
E’ la sintesi di ciò che cerca sulla terra, l’eterno femminino che guida
l’umano verso una saggezza spesso oscura e animalesca. E’ un topos della poesia di ogni tempo, che in
queste poesie non diventa quasi mai un cliché logoro.
Accanto a poesie sintetiche e
affascinanti ci sono quadri di un decadentismo manierista, macabro e
stucchevole, come nella poesia “Per
misteriosi sentieri notturni”, che si segnala per le evidenti ridondanze (es: ”cupe bare”, con relative, banali, visioni di corpi marcescenti). Questi aspetti
macabri erano già stereotipati nel periodo in cui Blok scriveva, ma bisogna
considerare che appartengono perlopiù ad opere giovanili.
Intendiamoci, a più di un secolo
di distanza, Blok appare talvolta un poeta datato, legato al tardo simbolismo,
ma i suoi versi migliori, fragili e
intensi, hanno una loro originalità e
bellezza ancora oggi. Pochi tocchi gli bastano per descrivere “la noia delle ville suburbane” o le
passeggiate dei “navigati bontemponi”,
gli sguardi femminili e i ristoranti destinati a spegnersi “all’ora destinata”. Su tutto si spande un dolore sordo, sulle case
di città, sulle campagne, si consuma in un pianto inconsolabile la sposa, e il
poeta si chiede cosa significhi per lui il suo ”misero paese”. E’ una tristezza metafisica, che a volte pare un po’
di maniera ma conserva comunque una certa innocenza e freschezza. La sensazione
generale è che la poesia di Blok sia invecchiata conservando solo a tratti l’odore
buono del legno stagionato. Ci sono indubbiamente, qua e là, punte di grandissima poesia, come nei versi di Danze della morte, dove Blok ricorda Laforgue, o addirittura
prefigura il Prufrock di Eliot, con la sua storia di un impiegato più morto che
vivo, che si trascina stancamente lungo i giorni, saturo di nauseante mondanità.
ll silenzio fiorisce e altre poesie è comunque una raccolta interessante e sintetizza l’ opera di un poeta
che a distanza di un secolo continua a
illuminare il cammino dei contemporanei con la sua luce tremante di emozione. E
continuano a suonare per l’eternità i suoi ”violini ultraterreni”, anche se ci raccontano la
vacuità della vita e la sua oscena monotonia.
“Notte,
fanale, strada, farmacia,
luce assurda,
appannata.
Vivessi
ancora un quarto di secolo,
non
cambierebbe nulla. Senza scampo.
Muori e rinasci ancora,
e tutto sarà uguale come prima:
freddo incresparsi del canale,
notte,
strada, fanale, farmacia.”
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