giovedì 27 novembre 2014
Penso che la difficoltà della
poesia, o perlomeno una delle sue difficoltà, consista nel fatto che nessuno
può dire interamente il proprio pensiero. Il poeta lo sa e colmo di questa consapevolezza abbandona l’illusione di poter spiegare o
dire, didascalicamente, tutto e lascia così un grande spazio all’immaginazione
del lettore. La poesia è proprio quell’attività che richiede un forte
contributo da parte dei suoi fruitori, che ne diventano in parte autori essi
stessi; questa è forse una delle ragioni del suo scarso successo: troppo sforzo
creativo richiesto.
Wallace Stevens mi è sempre parso
uno dei poeti per cui questo è più vero, le sue poesie, pur intagliate nel
legno dei boschi del Connecticut, lasciano sempre intorno come un alone di incompiutezza, come se non
tutto fosse detto, perché non tutto è possibile dire, il lettore deve provare
con la sua fantasia a finire l’opera.
Questo Il mondo come meditazione, tradotto da Massimo Bacigalupo ed edito da Guanda nel 2010 in un’edizione riveduta dopo la prima
edizione del 1986, raccoglie le poesie
scritte da Stevens nell’arco di tempo che va dall’ottobre 1949 al 2 agosto del
1955, giorno della sua morte. È un libro che
presenta, nella prima parte intitolata “The rock”, poesie che il poeta pubblicò ancora vivente nel suo Collected poems e nella seconda parte l’opera postuma. A dispetto della linearità della lingua è un
libro complicato per le numerose riflessioni filosofiche che lo compongono e
gli conferiscono quasi l’aspetto di trattato filosofico in versi. Colpisce in
un uomo granitico, un avvocato tutto d’un pezzo, la propensione a percorrere la
via orientale del pensiero zen. È un’affinità non culturale, non voluta,
istintiva, profonda. Si capisce per
esempio dalla poesia Solitario sotto le
querce, specie dai versi finali dove leggiamo:
“Si sa infine cosa pensare
E lo si pensa senza coscienza,
Sotto le querce, completamente
affrancati.”,
dove con “affrancati”
Massimo Bacigalupo traduce l’originale ”released”.
La liberazione è dunque nell’essere senza coscienza, svagati, con la
mente leggera come vuole la tradizione filosofica indiana, poiché anche la
realtà è immaginazione o più propriamente,
come recita il titolo di una poesia, “La realtà è un’attività dell’immaginazione più augusta”. Questo è
un tema caro a Stevens, la realtà come summa della fantasia, poiché tutto per
esistere, deve essere evocato, ripensato, rimodellato dalla fantasia come
leggiamo, per esempio, nella poesia “Il
senso ordinario delle cose” dove
tutto deve passare al vaglio del pensiero creativo e anche “l’assenza dell’immaginazione doveva/ essa stessa essere immaginata. “
La quiete metafisica è sintetizzata in versi come questi: “ Vi era una calma di mente come esser soli
sul mare in barca.” in una poesia in cui questa barca allegoricamente
viaggia verso una sillaba, sua destinazione, che la frantumerà, distruggendo
così l’ordine impartito dai rematori. Qualcuno ha pensato che questa sillaba
sia God - Dio. Poesia questa comunque misteriosa come molte di questa raccolta,
pur cristallina nella forma, un inglese ricco di allitterazioni e molto classico, dove
Stevens porta a compimento la sua idea poetica fondata sull’impersonalità.
Nella poesia di Guardando attraverso
i campi e osservando il volo degli uccelli abbiamo prospettive chiare sul
pensiero di Stevens, che si ritrae nel personaggio di Mister Homburg, che sogna
il mondo come “un operandum,/ meccanico e
vagamente detestabile […]” e oltretutto “libero/ dal fantasma dell’uomo”, specchio di una “natura pensosa” che diviene spirito, ”la maniera di uno spirito”, si umanizza
nella soggettività che la pensa, e in realtà la ricrea parte della sua
fantasia, come si vede spesso in Stevens.
Ulisse e Penelope sono due
personaggi fondamentali, il primo ritorna in diverse poesie, la seconda è la
protagonista della poesia eponima Il
mondo come meditazione. L’attesa di Ulisse è anche l’attesa del sole, del
risveglio primaverile, infatti dalla loro parte i due hanno “l’incoraggiamento di un pianeta”.
Ancora una volta sembra un tema orientale lo Yin, la terra, Penelope e
lo Yang, il sole, Ulisse, “due in un
profondo proteggersi, “ two in a deep- founded sheltering” nell’originale.
Quella di Stevens è una poesia razionale che denuncia i limiti della
razionalità in cui il ”bene supremo”
è sempre rappresentato dall’immaginazione, in cui la stessa realtà divina,
personificata da Dio, coincide con la fantasia. Nella poesia Il pianeta sul tavolo, balugina, forse,
anche uno scopo per le poesie, un povero
scopo, come spesso in Stevens, mostrare “Qualche
abbondanza, anche se appena percepibile,/
Nella povertà delle loro parole, / Del pianeta di cui erano parte”.
In una delle poesie più importanti, La vela
di Ulisse, in versi stupendi Stevens
sintetizza con chiarezza il suo pensiero: essere e conoscere coincidono, ma lasciamo la parola al poeta o meglio a
Ulisse stesso che in un monologo ce ne riporta il pensiero:
“Se conoscere e conosciuto sono
tutt’uno
Così che conoscere un uomo è
essere
Quell’ uomo, conoscere un luogo
è essere
Quel luogo, e sembra questo il
senso di fondo;
E se conoscere un uomo è
conoscere tutti
E se il nostro senso di un luogo
singolo
È quel che sappiamo
dell’universo,
Allora conoscere è la sola vita,
Il solo sole del solo giorno,
Il solo accesso al vero agio,
Il profondo conforto di vita e
fato.”
2 commenti:
Il poeta probabilmente comprende che il vuoto è esattamente ciò che ci costituisce, un essenziale e indicibile non-detto.
@Humani Instrumenta Victus
Perfetto. Era proprio quello che volevo dire.
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