sabato 10 gennaio 2015
sopra una fotografia di
Charles Baudelaire e più sotto un dipinto raffigurante Giacomo Leopardi
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Quando ero adolescente e nella
giovinezza, diciamo fino ai trent’anni, il libro di pensieri che leggevo con
maggiore frequenza era Il mio cuore messo
a nudo di Charles Baudelaire. Vi trovavo una modernissima frammentazione
del pensiero, un linguaggio nervoso, l’inquietudine geniale del poeta francese,
la sua chiaroveggenza amara e spesso amaramente incattivita. Mi nutrivo della
sua disillusione e al tempo stesso
coltivavo la mia, operazione pericolosa ma che sentivo necessaria.
Intorno ai trent’anni il mio livre de chevet è diventato Pensieri di Giacomo Leopardi, un altro
grande poeta dell’Ottocento. Lo rileggo spesso, sono anni che mi accompagna e
mi rasserena con la sua prosa impeccabile. È la precisissima e sofferta
radiografia dell’essere umano che Leopardi scrisse ma che non fu pubblicata
quando egli era ancora in vita, sorta di
costola del suo Zibaldone, è un testo che mostra inequivocabilmente quanto il
poeta recanatese fosse un filosofo di genio, interprete amareggiato dell’umanità,
che amava appassionatamente e che lo
aveva disperatemente deluso.
Già l’incipit ci porta verso questa considerazione: Leopardi non era di
indole portato verso il pessimismo, come solitamente si crede, vi fu condotto
dall’esperienza del mondo. E il mondo è il ricettacolo di vizi sostanziali e di
virtù apparenti. Questo è un pensiero fondamentale, il mondo disprezza la bontà e la virtù, che
a parole magnifica e si “contenta
dell’apparenza”, quindi chiede al singolo non di essere perbene ma di
apparire tale. Così non è tanto colpevole chi compie un’azione malvagia ma
colui che ne parla, contravvenendo al patto di omertà che lega gli uomini. Leopardi
era un idealista - in senso esistenziale non filosofico - e come tutti gli
idealisti, precocemente deluso dagli uomini che conosceva bene e di cui in
questo libro ci racconta le profondità nascoste, i vizi inconfessabili, la
turpitudine essenziale di coloro che sono ”miseri
per necessità, e risoluti di credersi miseri per accidente”.
La tesi di partenza è questa: “il mondo è una lega di birbanti contro gli
uomini da bene, e di vili contro i generosi”. Per tutti i 111 aforismi che
compongono il libro questo è il sottofondo, il pensiero che lo rende tragico,
perché è facile individuare in Leopardi un generoso aggredito da una masnada di
vili, un uomo da bene infastidito dalle crudeltà dei birbanti, suoi simili solo
per scherzo del destino.
Guido Ceronetti parla di una
natura angelica di Leopardi, tale è la mia opinione del poeta. Avevo
quattordici anni e mi commuoveva la vicenda dell’albatro baudelairiano, del
kafkiano Gregor Samsa trasformato in scarafaggio. A distanza di oltre due
decenni mi commuove ancora la vicenda di questo poeta, isolato nel suo “natio borgo selvaggio”, angelo
imprigionato in un corpo deforme, che disseta tuttora coloro che vogliono bere l’acqua purissima e gelida della sua prosa e
si specchiano nell’acqua cristallina dei suoi versi. Per me Leopardi non è mai
stato una fastidiosa iattura scolastica ma un grande maestro di pensiero, un
nume tutelare e in ultima analisi, oso dire, un amico fraterno. Che a distanza
di quasi due secoli egli ci illumini ancora con il nitore della sua scrittura,
è uno dei miracoli della poesia.
8 commenti:
E' molto interessante il parallelismo (concedimi questo termine) tra Baudelaire e Leopardi. Il primo l'ho amato appena scoperto (in adolescenza e nella sua madrelingua), il secondo ho iniziato ad apprezzarlo molto più avanti; mi trovo d'accordo su ciò che hai scritto di lui.
Credo che acquisterò quegli aforismi: accanto a "Consigli sulla felicità" di Schopenhauer credo stiano bene. Quelle raccolte da leggere e riprendere in mano più volte, a consultazione.
@ Lisa Miller
Leopardi e Schopenhauer sono vicini, come pensiero, e sono stati da più parti accostati. Secondo me, entrambi hanno, malgrado il loro pessimismo, o forse, paradossalmente, grazie a esso, un effetto tonificante. I libri più utili sono quelli che ci aprono gli occhi.
Ho sempre pensato che artisti come Leopardi abbiano visto solo un po' più in profondità rispetto a molti altri. E in quella profondità hanno rintracciato gli aspetti più vili, amari e perfidi del genere umano.
Se voi lo accostate a Schopenhauer a me viene abbastanza facile l'avvicinamento a Sartre e a quell'esistenzialismo pregno di solitudine e ineluttabile disperazione che sicuramente conoscete.
@ Euridice
Posare lo sguardo nelle profondità è un’operazione che solo i coraggiosi riescono a fare. Bisogna essere duri e implacabili anche con se stessi. Tutti quelli che abbiamo citato lo sono stati.
Apprezzo e condivido quello che hai scritto. Ho sempre amato Leopardi per la sua infelicità. Io credo che se fosse stato un uomo bellissimo e non quello scarto umano che tanta sofferenza gli procurava, non avrebbe mai potuto deliziarci con la sua poesia. Egli, proprio perché non è stato mai felice, è riuscito attraverso le sue sofferenze a rendere felici noi, che lo leggiamo e lo amiamo. La poesia di Leopardi nasce da un profondo dolore, tuttavia riesce a trasmettere sempre felicità. Ciò che noi cogliamo nei suoi versi non è il travaglio interiore, che pure è presente, ma la vitalità delle parole, la musicalità dei suoi versi, seppure intrisi di tristezza.
Ciao
@Remigio
Per me Leopardi è soprattutto l’incarnazione di una suprema lucidità, che sta aldilà di ogni illusione. Grazie Remigio e un saluto a te.
Uno dei miei livres de chevet è tuttora lo Zibaldone che lessi per intero negli anni 80. Ancora oggi ogni tanto lo riapro.
Mi affascina più di tutti il tentativo di questo ragazzo ai confini del mondo, di comprendere e contenere la realtà solo con la forza della sua mente.
E' un esempio per chi corre da solo le strade del mondo.
Una vitalità immensa percorre questi appunti, nonostante la disperazione di cui viene tacciato il Leopardi.
@Massimo
Sì, la sento anch’io questa “vitalità immensa”, messa al servizio del disincanto, però, della lucidità, della disillusione. Per questo la sua opera ci è così preziosa.
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