venerdì 13 febbraio 2015
La poesia sa imprecare, sa essere
un grido di rivolta, sa essere scortese, rabbiosa, aggressiva, sa attaccare
l’ingiustizia alla radice, denunciare le mostruosità del colonialismo, strepita, inveisce, e ce lo dimostra questo bel libro dello
scrittore e poeta peruviano Manuel
Scorza, tradotto dal poeta italiano, dal raffinato cineasta e intellettuale Gianni Toti, Imprecazioni e Addii. È un libro uscito
nel 1999 nella collana I Taschinabili della casa editrice Fahrenheit 451,
davvero minuscolo e agile libricino che contiene la dirompente forza eversiva
della poesia di Scorza e l’acume critico di Toti che ci regala, oltre alla
traduzione, una colta, vibrante, partecipe, commovente introduzione, che
cammina sul filo della stessa esaltazione creativa del poeta peruviano. Che
bell’incontro questo fra due artisti, che ormai ci hanno lasciato, Scorza
nell’ormai lontano 1983 e Toti nel 2007.
Due visioni che s’incontrano e si
compenetrano, sul solco di una simile concezione politica del mondo, quella
della sinistra radicale. Impegno politico che a Scorza costò l’esilio.
I poeti sudamericani sono spesso
inclini a cantare il loro continente, serrati fra l’entusiasmo per le sue bellezze
naturali e l’orrore per le sue vicende politiche e in questo libro sentiamo tutto
l’afflato di questa verità; la forza di
una visione cosmica e panica della natura e l’amarezza di una denuncia per gli
orrori commessi dal colonialismo di oggi
e di ieri, a partire da Colombo, di cui Toti ricorda una frase agghiacciante,
riferita agli indigeni americani e riportata, chissà perché, in un italiano moderno: “Questi sarebbero perfetti servitori. Con cinquanta uomini noi possiamo
soggiogarli e fare di loro qualunque cosa noi vogliamo”.
L’identificazione con i poveri è
massima in Scorza e fa di lui un vero cantore dei diseredati, degli spossessati
e poiché “la carta capisce quando un uomo
è sincero”, noi lettori siamo portati a credere nell’autenticità delle sue
grida di denuncia. "Poeti, uccidete
la tristezza” urla Manuel Scorza ma il suo progetto non sempre riesce e la
disperazione fa capolino in diverse poesie ma non diventa mai rassegnazione
semmai alimento per una rabbia civile, forse oggi divenuta impensabile per un poeta europeo. Il suo
progetto, però, in Imprecazioni (1955), la
prima delle due sillogi qui tradotte, è di annullare la lirica in favore di una
visione epica, non cantare le amarezze e le dolcezze dell’amore romantico, con
i suoi abbandoni e deliqui ma l’aspra condizione del suo amato continente sudamericano. In Addii
(1960), invece, la situazione si ribalta è la donna è cantata, esaltata, in
liriche intense che, se contraddicono gli assunti di Imprecazioni, dimostrano, però, che il poeta peruviano era dotato di una
raggiera di emozioni molto vasta.
In Imprecazioni Scorza si schiera dalla parte dei deboli, dei reietti, degli
abbandonati, considerati il cuore pulsante del suo stesso paese, in un
continente, quello americano, che pare assurgere come in Neruda a entità
divina, femmina cosmica violentata dalla crudeltà degli invasori. Le immagini
sono potenti, le metafore piene di inventiva e passione, il linguaggio reca
dentro sé la lotta del poeta contro l’usurpatore, il conquistatore, l’invasore
ed è attraversato da una scarica elettrica in cui si fondono spesso
mirabilmente indignazione, protesta, odio, collera, desiderio di redenzione.
Nel primo dei due testi, quella
di Scorza è poesia dai toni epici, la dea protettrice è l’America, continente
che diventa mitico, gli eroi sono gli indigeni, i poveri, che si trovano a
lottare contro invasori troppo potenti e vengono sconfitti, umiliati, le loro
tradizioni annichilite. Ci poniamo in ascolto di queste imprecazioni, di queste
grida, e la poesia si rivela metodo per esplorare i territori della rabbia,
dell’indignazione, della rivolta, strumento ideale per denunciare le
ingiustizie compiute in nome del cosiddetto progresso, parola fin troppo nobile
con cui l’Occidente chiama la sua avidità e il suo desiderio di sopraffazione.
Manuel Scorza s’identifica con il
dolore del suo popolo, fino al martirio e all’agonia morale, le sofferenze
della sua gente sono anche le sue. “Ahi
patria/ ci perseguitano/ ci desteranno, / ci affogano,/ senza metafora,/senza
versi,/ senza sillabe,/ non ne possiamo più.” L’amore per la propria patria
si trasforma anche in odio quando essa si prostituisce allo straniero, si
sottomette all’oppressore. Scorza non fa sconti, la sua rabbia ha accenni tragici,
disperati, è un urlo, un ringhio, un ululato.
Addii è una raccolta molto diversa, in cui tutto si stempera, e la
voce di Scorza ritrova i modi e i toni dell’elegia amorosa, sebbene colma di
rimpianto, come capita spesso nella percezione dei poeti, la donna è lontana,
perduta. Sono poesie intime che indagano il concetto di separazione, oltre che
dalla donna amata dalla patria stessa, donna amata per eccellenza anch’essa.
In sostanza due libri in uno,
diversissimi, che raccontano le contraddizioni e la poliedricità di un autore
di estrema potenza, sospeso fra il grido della rivolta e la canzone amorosa,
diviso fra l’amore per la sua terra e dall’odio per chi la volle dominata e
asservita. Scorza ama il suo popolo, di un amore disperato ed estatico al tempo stesso, amore che lo fa
gridare, strepitare, inveire ma anche cantare con dolcezza. La solenne dolcezza
che c’è in questi versi:
“Io,
poeta, io nomino il popolo
erede universale del riso e della rugiada.”
3 commenti:
Qual è l'editore?
È un piccolo editore romano: Fahrenheit 451.
Ho la sensazione che sia legato alla omonima libreria. Quella che si trova a Campo de' Fiori.
E che di tanto in tanto vado a "trovare".
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