sabato 26 maggio 2018
In Cioran la disillusione, il
disincanto, la lucida chiaroveggenza assumono i tratti di una stregata fatalità
e si fondono con un certo stralunato lirismo per produrre una delle prose più
perfette, uno degli stili più riconoscibili del Novecento. Che da romeno si sia
espresso in francese ci convince una volta di più che spesso l’esule, lo
straniero, lo sradicato, posseggono le chiavi per accedere allo scrigno di
qualche insolita saggezza.
E quella di Cioran è saggezza,
nel momento stesso in cui l’autore riconosce e confessa i propri limiti, i
propri vizi, in primis la scrittura
stessa, che serve solo per svuotare l’animo da ciò che lo turba e che coincide
con ciò che più profondamente lo anima,
per arrivare proprio alla saggezza che è sterile, non produce nulla, è
il vuoto.
Questo Esercizi di ammirazione, tradotto da Mario Andrea Rigoni e Luigia
Zilli, vide la luce in Italia per Adelphi nel 1988, trent’anni fa dunque.
Sono ritratti, saggi, intorno a
figure che Cioran ha conosciuto, ora come lettore, ora personalmente. Sono
ritratti spesso in sospetto di essere anche autoritratti dell’autore, che tanto più racconta di De Maistre, Borges, Fitzgerald, Valéry,
Zambrano e altri tanto più si racconta, indugia nelle proprie ferite, scava
nella propria disillusione ma non proietta se stesso sullo schermo dell’altro,
solo l’altro è colui in cui indovina segrete affinità.
Il saggio più bello è, forse, quello su Mircea Eliade, che è
probabilmente agli antipodi della personalità di Cioran e che Cioran ebbe modo
di conoscere personalmente. Entusiasta l’uno e amante del proprio surplus
creativo, quanto disilluso l’altro e incline a rimuginare sull’inutilità della propria opera e di ogni
opera in generale. Il saggio si chiude in maniera semplice e mirabile: “ Siamo tutti […]ex credenti, siamo tutti
spiriti religiosi senza religione.” È una frase chiave per comprendere
Cioran, più ancora che Eliade, o forse per comprendere tutti coloro, e sono
legione, che sono attraversati nel profondo da una nostalgia verso la
trascendenza, che l’epoca contemporanea ha definitivamente seppellito fra le
superstizioni vacue del passato.
Parlando di Joseph De Maistre,
Cioran affina la sua capacità di analisi, definendo la differenza fra
temperamento reazionario e carattere incline all’utopia.
Il primo, così ben rappresentato
dal pensatore francese del Settecento, volge il suo sguardo al passato, a una
fantomatica età dell’oro, di cui i valori della tradizione sono tracce, o un
tentativo di riedificazione. L’utopista invece con la sua attesa di futuro
volge lo sguardo ad attese messianiche di salvezza e palingenesi, oppure alla
rivoluzione che non è altro che la versione laica dello stesso sogno.
Ecco se per Joyce “La Storia è l’incubo da cui voglio solo
risvegliarmi” per Cioran essa è anche il frutto di un fanatismo
dell’azione; se i mali del mondo vengono pascalianamente dall’incapacità di starsene
quieti nella propria stanza, Cioran vede nell’agire umano un forsennato e
insensato agitarsi, che non porta a nulla. Così da psicologo del profondo egli
vede in Fitzgerald colui che non ha saputo far fruttare a pieno la propria
propensione al fallimento, rimanendo troppo letterato laddove avrebbe potuto
inabissarsi in una forma letale di misticismo, intuisce la levità aristocratica
di Borges, ammira la discrezione elegante di Beckett, di cui fu intimo amico e
altro ancora.
Esercizi di ammirazione è un libro minore nel corpus delle opere di Cioran anche se alcune pagine sono
all’altezza dei suoi momenti migliori; come quelle dedicate a una donna
sconosciuta, intitolato Lei non era di qui…
,in cui vibra una potente energia
poetica di trasfigurazione, altrove lo scavo non raggiunge le straordinarie profondità
di altri suoi libri.
Cioran rimane uno spartiacque
nella filosofia del Novecento. C’è un prima e un dopo. Intaccando le nostre residue
riserve di illusione, ci ha mostrato
come la Storia sia la somma di incalcolabili fratture fra essere e
divenire e che alla base di tutto ci sia
la nostra propensione al delirio, fonte della vitalità malata e spesso demente
che contraddistingue l’umano e la sua Storia.
0 commenti:
Posta un commento