domenica 31 gennaio 2010
Ecco che improvvisamente mi sono stancato di sentir dire che i romanzi di Pasolini sono brutti, non all’altezza dei suoi versi o dei suoi film. Mi riferisco soprattutto a certi commenti sprezzanti sui romanzi di Pasolini, che sono arrivati per esempio da Guglielmi, Bevilacqua, Testori. Certo, se io penso alla sua opera, mi vengono subito in mente gli Scritti corsari, o Il caos, raccolte di suoi scritti giornalistici, in cui uno stile impeccabile nutre riflessioni tragiche e taglienti, che sembrano proiettare Pasolini molto aldilà, in quello che è il nostro presente, se non addirittura il nostro futuro.
Ma io penso che Pasolini abbia lasciato la sua impronta geniale anche con dei romanzi, uno dei quali io trovo addirittura splendido, Il sogno di una cosa, che parla dell’emigrazione dei braccianti friulani nell’ex Jugoslavia, ed è assolutamente da consigliare a chi ha dimenticato che un tempo erano gli italiani a emigrare. C’é in questo romanzo una straordinaria storia di giovinezze che si intrecciano, personaggi memorabili di un’Italia che non c'è più. Storia di una gioventù povera, ma pulita e splendida, disperata, ma allegra, su uno sfondo di puro sacrificio di sangue e sudore.
Altre cose in Una vita violenta o in Ragazzi di vita hanno la potenza della ricostruzione sociologica, lo sguardo di Pasolini è sempre esattamente posto nel cuore delle cose, il suo linguaggio unisce grazia e brutalità in uno strano intreccio.
Spesso vivificata dall’intrusione del dialetto, la sua lingua registra gli umori di una gioventù di sbandati, per la quale egli ha un rapporto di passione, intellettuale e carnale. Anche nei romanzi, Pasolini non è mai consolatorio, non ti vende speranze, non costruisce alibi alla società, sempre barbara, sempre oppressiva, sempre più violenta dei suoi ragazzi di vita. E’ uno sguardo che secondo me ha una sagacità e a volte una crudeltà antropologica, l’immersione nel sottoproletariato sembra avere un valore iniziatico. E’ il mistero del reale.
In Teorema, tanto criticato, creando questo interno borghese in maniera psicologicamente minuziosa, lo polverizza poi facendo irrompere il dionisiaco, il sacro pagano, restituendo a Milano la sua ombra dimenticata. E’ come quando Penteo ne Le baccanti di Euripide, come in un sogno vede Tebe sdoppiarsi; questi personaggi, presi da una inspiegabile mania erotica, abbandonano ogni decenza. Il borghese si accorge così di essere posseduto e più non possedere, posseduto da una realtà misteriosa su cui prima era caduto il velo opaco dell’interesse. Una realtà che ritorna reale, da ideologia che era. Tutto il mondo borghese, che ha posto fine alla mitologia e al sacro, torna a soccombere per l’irruzione della follia erotica dei protagonisti, che ha proprio risonanze mitologiche. Il deserto e il grido sono l’ultima chance per chi scopre di aver vissuto una povera vita da schiacciato. Questi borghesi sono dei fantasmi, cui un’esperienza di delirio restituisce la carne e con essa il dolore, prima assopito con gli strani riti della quotidianità. Si possono deplorare gli eccessivi riferimenti psicanalitici, ma i tempi erano quelli. E’ un romanzo strano e folle, con inserti poetici, che costituiscono il coro di questa tragedia contemporanea. Pasolini ci ricorda che l’unico modo per agire è “agire prima di capire”: per i borghesi del romanzo con la maschera sociale cade anche la faccia e l’identità si scopre vuota.
Forse la bellezza del suo cinema, o delle poesie, ha oscurato i romanzi, ma non mi sembra che la produzione narrativa di Pasolini non abbia l’efficacia di Medea, o de Le ceneri di Gramsci, quindi dire che fosse un mediocre romanziere, o snobbarlo, secondo me, è improprio. Pasolini aveva passione, e il suo linguaggio anche nei romanzi freme di tutte le lacerazioni e gli ossimori del reale.
2 commenti:
Pasolini è pensiero assoluto. I suoi versi sono stati un'esperienza unica, un viaggio struggente nell'intelletto di un uomo ostaggio della propria libertà.
C'è un romanzo a casa ad aspettarmi. Mi hai fatto venire voglia di correre a leggerlo.
Ciao
Elena
Scritti corsari è uno di quei libri che ti insegnano a pensare.Le sue poesie hanno dentro quell'energia pedagogica che servirebbe anche oggi. Ecco si, Pasolini è una figura di maestro non autoritario, non aveva nessun pulpito.Grande filologo,oltretutto.
"Ostaggio della propria libertà " è proprio ben detto. Ciao.
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