Altri libertini - Pier Vittorio Tondelli

giovedì 21 gennaio 2010



Il protagonista dei romanzi di Tondelli è il linguaggio, ha detto non ricordo più chi, forse Francois Whal, ed Altri libertini ne è la prova evidente; quella di Tondelli è una scrittura costruita su un flusso di continuo ripensamento, che dà la sensazione di essere scritta di getto, come un’improvvisazione jazz; operazione quindi di estrema complessità stilistica. La sua è una scrittura spontanea solo in apparenza, tutta giocata su questo fraintendimento mimetico. Imitazione di una lingua di strada, che diventa talmente forte, rude, pervasiva, da diventare lingua di una poesia contemporanea e assumere la voce di una generazione. E’ una scrittura dai rimandi vividi, che vuole essere oggettiva e, come un fiume che trascina tronchi, esplodere nella sua dimensione orale. Tondelli fa rivivere linguisticamente gli anni settanta, però non in astratto, piuttosto incarnandoli in un gergo, la sua lingua sembra a tratti un fuoco d’artificio, a tratti ti violenta con immagini durissime, altrove fa vibrare questa nostalgia appena schizzata sul muro dell’umana vacuità.

Perché questa umanità è ben triste alla fine, vera e spietata come una cronaca e in questo senso solo Andrea Pazienza ha fatto meglio. Tuttavia l’allegria disperata delle Splash, la loro solitaria contestazione del tedio provinciale, il loro piccolo scandalo così tenero, mi fanno pensare che Tondelli registrasse anche ciò che di straordinario c’è, non tanto in una generazione, ma nella giovinezza stessa.

La prosa di Tondelli è fluente e comprende le voci più diverse, i toni più grevi si alleano con le tenerezze più ancestrali. I tic linguistici rivelano sempre la natura profonda della mente di una persona, e allora abbiamo questo gergo di naufragio, le parole vogliono bestialmente l’infinito, le frasi si interrompono dopo un crescendo che è un vortice. Tondelli crea questa gioventù eroticamente intensa, tesa al viaggio, su cui incombe però la desolazione, che è già nell’incipit,ed è quindi la sintesi di quello che Tondelli voleva esprimere. Il viaggio è quella dimensione che ci permette di fuggire le “belve dello scoramento” a tutto vantaggio di una vitalità alla Kerouac. Curiosamente la provincia italiana appare una manifestazione esotica, mentre il resto d’Europa, forse troppo ricalcato su stereotipi letterari, sembra familiare. Altri libertini voleva forse essere un libro beat, ma la realtà italiana degli anni settanta non poteva permettersi il lusso di una poetica visionaria, così diventa la testimonianza di una felicità impossibile, ma assai presente, come assenza e come anelito. Perché sbatterti in faccia la realtà, tramortirti, e poi accarezzarti per far rinsavire in te la fantasia, è il dono della prosa di Tondelli, il cui maestro era soprattutto Alberto Arbasino e non è un caso.

E’ un peccato che dopo un libro così intenso, Tondelli abbia virato verso questa letteratura stereotipata, quasi di genere, scrive Guglielmi, giallo per Rimini, rosa per Camere separate, perdendo così la sua vocazione a costruire un linguaggio che rendesse il flusso di coscienza una realtà fisica, prima che mentale, perché Altri libertini è una danza, è un fumetto schizofrenico. Il resto della sua opera, a parte Pao Pao, è televisivo, è già fiction.Qui, infatti, il linguaggio perde la sua centralità a vantaggio della ben risibile trama, ma tant’è, aver scritto Altri libertini per me è sufficiente
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