sabato 17 novembre 2012
Saranno le atmosfere di un mondo naturale in fondo pacificato, a dispetto di un mondo umano che continua a essere dilaniato da contraddizioni, sarà il lessico colto che recupera all’esistenza parole desuete, sarà il timbro petroso, la voce sommessa eppure stentorea, ma questo libro di poesie di Massimo Caccia, Ex silentio, ha qualcosa di antico. Per questo è ancora più interessante la proposta della rivista on line La Recherche, che permette di scaricarlo gratuitamente dal suo sito in versione ebook. Bella operazione che fa cozzare la modernità del mezzo con l’antichità, direi la classicità, dei contenuti.
Perché
ci vuole poco per capire che Massimo Caccia canta e indaga il mondo che i poeti
hanno sempre cantato e indagato, incuranti del passare delle epoche, del
divenire storico, incuranti delle mode, attenti all’essenza, a ciò che dura. Vengono
in mente i versi di Ezra Pound: ”Ciò che
veramente ami rimane. / Il resto è scorie”,
e leggendo questa breve ma intensa silloge si vede come con fatica le
scorie si separino da ciò che è durevole per creare un’idea di poesia che, se
affonda nella classicità, è però anche capace di restituirci i sussulti a volte
angosciati della modernità; soprattutto indagando le ombre che essa proietta e
che il Novecento ha chiamato ora il
nulla, ora l’assurdo, avendo smarrito il senso del mistero e del divino.
La silloge si apre sull’immagine di un pioppeto, inquadrato cinematograficamente e con uno stile di scrittura maturo, Massimo Caccia descrive così un paesaggio naturale in cui è appena avvenuto un temporale, che all’orizzonte pare ancora minaccioso. Leggiamo:
“Nel silenzioso pioppeto scorre a
scuotere
una sottile bava di vento le verdi
allungate chiome contro il turchino
puntate:
lontano, oscure nubi ancora minacciano
lasciando borbottare ormai flebili
tuoni
tra deboli repentine vampate di luce.”
In
questa dimensione naturale, oggettiva, si muove la soggettività del poeta, la
cui ambizione al solito è evocare - invocare l’eternità, cioè quella dimensione
estranea al mutare e al divenire delle cose.
Ma
non si è in cerca di illusioni e consolazioni facili, queste poesie esprimono sempre
una lotta, una fatica di vivere, ed è perciò con addolorato stupore che Massimo Caccia
scrive alla fine di una poesia dedicata alla moglie: “Cos’è
il momento eterno, allora?/ Un’impronta del mondo desolato”, quasi che
l’eternità, prima ricercata come premio delle fatiche del pensare, fosse solo il negativo della desolazione che
il tempo impone all’universo intero, dove l’uomo sta “Muto davanti all’Immane, /quando la mente sciocca/chiede di progettare
il niente.”
Anche
se talvolta lo stile classicheggiante
rischia di scivolare nel manierismo (per effetto, ad esempio
dell’aggettivazione doppia) in sostanza il linguaggio elaborato da Massimo
Caccia ha una sua coerenza, una sua efficacia, una sua sofferta originalità.
Esiste
una dimensione di “dolenza”
riscattata però dal sorriso del proprio bambino, dalla felicità di vederlo
giocare, dimensione di sofferenza rischiarata dalla gioia che dà al poeta la
propria solitaria ricerca di stile e di significato.
Così
” desto seppur ignoto a me stesso”
Massimo Caccia osserva il tempo da cui stilla un aspro liquore: la
consapevolezza. Consapevolezza che il mondo ha tradito se stesso allontanandosi
troppo dal “nudo essere”, sprofondando
in un “delirio collettivo”. E dunque abbiamo la poesia, farmaco sulle
piaghe delle “umane tribolazioni”, strada
verso una consapevolezza antica e primordiale, luogo di autenticità in un
teatro in rovina come l’intero universo.
E’
la grande contraddizione umana che viene indagata in questi versi: da un lato
la coscienza della caducità del tutto ci annichila, dall’altro la ferma volontà
di estrarre un senso di bellezza, dalle
rovine che ci circondano, ci sprona. E intanto la ruota del destino gira. Disperatamente,
dolorosamente, follemente.
A noi non resta che il tentativo di acquisire “consapevolezza”(che mi sembra una delle parole chiave per interpretare e comprendere la poetica di Caccia) aspirando a qualcosa che vada oltre le banalità e le “meschinità” del quotidiano, anche se la vita somiglia sempre più a un “tradito dono”, noi dobbiamo e possiamo acquisire proprio quel barlume di consapevolezza che ci permetta di sfuggire al “delirio collettivo” e alla “cieca/ follia dell’illusorio abbandono”.
La
sensazione finale è che il lavorio sul linguaggio di Massimo Caccia nasconda e
riveli al tempo stesso il tumulto del pensiero, che non si rassegna al “silenzio di Dio”, ma cerca con fatica e
dolore di aprirsi un varco di trascendenza nel troppo umano nulla che ci
atterra.
“ Il silenzio di Dio sul mio eremo
immobile grava, infranto indugia
il nulla dallo scrocchiare
dell’esistenza.
Finalmente il baratro nella genesi
catturato dalla contemplazione:
il cielo in terra imprevisto s’apre.”
6 commenti:
Caro Ettore, la tua attenta lettura mi riempe di quell'energia che nutre l'ispirazione. Le tue note critiche, lucide, mi aiuteranno a indirizzare nuovamente la mia ricerca che, come hai colto, è mossa da una profonda indagine nell'umano. Linguisticamente ho compiuto le scelte che hai ben delineato, muovendomi nell'universo poetico del passato che, non leggo come museale o storico, ma fonte di continua ricapitolazione del presente.
Ti chiedo la cortesia di potermi permettere li "linkare" questa tua critica sul mio blog.
Grazie di cuore (consapevolmente) e buon fine settimana.
Massimo Caccia
Ciao Massimo, puoi linkare tranquillamente il post. Complimenti e buon fine settimana a te.
Caro Ettore, sei davvero un ottimo recensore soprattutto perché anche quando esamini le scelte stilistiche, non ti fermi a una semplice descrizione, ma continui ad indagare in quell'oltre che è poi l'essenza della poesia.
Non ho ancora letto le poesie di Massimo Caccia, ma se alla base c'è l'amara consapevolezza di un mondo in rovina che solo il linguaggio poetico può curare, saranno di certo una scoperta molto interessante.
un abbraccio
Grazie Maria, sei molto gentile. Un abbraccio
....egr. sig. Ettore la sua brillante recensione fa da cornice risonante alle estemporanee meditazioni del poeta Massimo Caccia, che stimo e silenziosamente seguo...la lirica "Post Mortem" è una perla di profonda sensibilità interiore...grazie...
Grazie dei complimenti e dell'intervento Sergio, un saluto.
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